Stress lavorativo e responsabilità del datore
Straining e burnout: come ottenere il risarcimento del danno quando il datore di lavoro non tutela la salute dei dipendenti.
Il burnout è una sindrome da stress cronico che può colpire i lavoratori in qualsiasi ambito professionale. Si manifesta con sintomi come esaurimento fisico e mentale, distacco emotivo dal lavoro e calo della produttività. In Italia, il burnout non è ancora riconosciuto come una vera e propria malattia professionale. Tuttavia, diverse sentenze hanno riconosciuto la sua rilevanza giuridica quale conseguenza di una situazione di stress lavorativo, ritenuta di per sé illegale e per la quale sussiste la responsabilità del datore. Si tratta, precisa la Cassazione, di una situazione distinta dal mobbing – caratterizzato invece da uno specifico e doloso intento vessatorio nei confronti del singolo dipendente – ma non per questo meno tutelata. Cerchiamo di fare il punto della situazione e di comprendere meglio i rimedi che ha il dipendente che, a causa di un eccessivo carico di lavoro riporti conseguenze sulla propria salute psicofisica.
Indice
* Stress da lavoro correlato: cos’è e quando ricorre
* Come viene tutelato dalla legge lo stress lavorativo?
* La responsabilità del datore di lavoro in caso di stress lavorativo
* Cosa deve fare il dipendente vittima di burnout e stress lavorativo?
* Conclusione
Stress da lavoro correlato: cos’è e quando ricorre
Lo stress da lavoro correlato (SLC) è una condizione di malessere psico-fisico causata da un eccessivo carico di lavoro o da un ambiente di lavoro stressante e vessatorio.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce lo SLC come “una risposta umana al lavoro caratterizzata da uno squilibrio tra le richieste percepite e la capacità del lavoratore di farvi fronte, con conseguenti effetti negativi sulla salute fisica e mentale, sul benessere e sull’efficienza lavorativa”. Spesso si parla anche di burnout.
Le cause dello SLC possono essere diverse:
* carico di lavoro eccessivo: troppe ore di lavoro, scadenze ravvicinate, compiti complessi e mancanza di autonomia;
* ambiente di lavoro stressante: clima aziendale negativo, rapporti conflittuali con i colleghi o con i superiori.
Come viene tutelato dalla legge lo stress lavorativo?
In particolare la Suprema Corte ha recentemente ribadito, con la sentenza n. 2084/2024 del 19 gennaio, che, in tema di tutela della salute dei dipendenti, la responsabilità del datore di lavoroprevista dall’articolo 2087 del codice civile, va ben oltre il mobbing, ma si estende a tutte le situazioni di stress da lavoro.
Non importa dunque – ed è questo il cuore della sentenza – se il dipendente intenta una causa per mobbing: se anche non riesce a fornire la prova della malafede del datore di lavoro e dello scopo persecutorio ai suoi danni, qualora il giudice rilevi un ambiente lavorativo stressogeno – o, secondo la dizione che viene spesso usata in queste situazioni – di straining, allora l’azienda può essere condannata a risarcire i danni alla salute che il lavoratore abbia subito.
La tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore è un principio inderogabile e nessun fattore, comprese eventuali considerazioni di fattibilità economica o esigenze produttive, può giustificare una diminuzione delle misure di protezione e prevenzione.
La responsabilità del datore di lavoro in caso di stress lavorativo
La Cassazione ha chiarito che per individuare la responsabilità del datore non è necessario dimostrare l’esistenza di un comportamento unificante e vessatorio, tipico del mobbing. È sufficiente che vi siano comportamenti, anche se non intenzionali, che possano ledere la dignità morale del lavoratore, come un ambiente lavorativo eccessivamente stressante.
Esempi concreti di tali comportamenti possono includere:
* l’assegnazione di carichi di lavoro irragionevoli,
* la mancanza di sostegno e di comunicazione efficace,
* la persistenza di condizioni lavorative che inducono ansia e tensione.
Alcune condotte, quindi, pur non essendo vessatorie, possono risultare esorbitanti o incongrue rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, soprattutto se sono continue e ripetute nel tempo. Esse, conclude la Corte, violano l’articolo 2087 del Codice civile qualora contribuiscano alla creazione di un ambiente logorante e produttivo di ansia, e come tali generano un pregiudizio per la salute che deve essere risarcito.
La sentenza in questione riafferma come la Cassazione non ammetta interpretazioni riduttive della responsabilità del datore in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Questo approccio rigoroso è coerente con l’obbligo di valutare e prevenire i rischi associati allo stress lavorativo correlato, un fenomeno ormai riconosciuto e al centro delle politiche di prevenzione dei danni alla salute.
Cosa deve fare il dipendente vittima di burnout e stress lavorativo?
Cosa può fare il dipendente che sia vittima di burnout e di una sindrome da stress lavorativo correlato? Dovrà ovviamente agire in giudizio attraverso un legale e, rivolgendosi al tribunale ordinario del lavoro, chiedere il risarcimento del danno biologico. Naturalmente, non basterà dimostrare lo straining, ma dovrà anche fornire la prova delle conseguenze sulla propria salute e che tali effetti hanno, come causa, proprio l’ambiente lavorativo e non altri fattori. A tal fine sarà opportuno un certificato medico e una perizia medico legale.
Tuttavia, anche le dichiarazioni testimoniali di colleghi di ufficio potrebbero avere un fattore decisivo sull’ottenimento di una sentenza favorevole.
Conclusione
In conclusione, questo caso sottolinea l’essenzialità di un ambiente lavorativo sano e la necessità per i datori di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per prevenire situazioni lavorative che possano causare stress eccessivo ai dipendenti. La responsabilità legale in questo ambito è ampia e comprende la prevenzione di tutte le forme di danno alla salute psicofisica dei lavoratori, sottolineando l’importanza di un approccio proattivo alla gestione del benessere in ufficio.