Una tantum dopo la separazione: come funziona e che valore ha.
Nel momento in cui una coppia divorzia, si può pagare l’assegno di mantenimento in un’unica soluzione. Tale previsione, che può essere disposta solo se c’è l’accordo di entrambi i coniugi, viene detta una tantum. In questo modo, il coniuge obbligato si libera dall’obbligo di versare mensilmente gli alimenti.
Non è una sorta di “risarcimento”, come qualcuno lo vorrebbe vedere, né di buonuscita come ironicamente si dice: è solo il modo per tacitare ogni pretesa economica dell’ex attraverso la corresponsione di un’unica (e più elevata) somma, determinata à forfait e in anticipo o, eventualmente, tramite beni mobili o immobili (ad esempio, l’intestazione di una casa).
A quanto ammonta l’assegno una tantum? È conveniente un accordo di questo tipo? Se si concorda di pagare l’assegno di mantenimento in un’unica soluzione sarebbe poi possibile una successiva richiesta di integrazione o modifica degli accordi di divorzio presentata dall’ex? Sul punto, sarà bene fare alcune precisazioni.
Differenza tra mantenimento, assegno divorzile ed alimenti
Anche se, nella terminologia comune, si parla spesso di «alimenti» o di «mantenimento» indistintamente, se si vuole utilizzare una terminologia più corretta è bene conoscere la distinzione tra tali concetti. Lo faremo qui di seguito.
Le somme che il coniuge deve versare all’ex all’indomani della separazione vanno sotto il nome di assegno di mantenimento. Il mantenimento permane fino al divorzio.
Quando poi la coppia divorzia, l’assegno di mantenimento viene sostituito dal cosiddetto assegno di divorzio (o «assegno divorzile»). Tuttavia, i criteri di riconoscimento e calcolo di quest’ultimo sono pressoché gli stessi dell’assegno di mantenimento, così come identico è il funzionamento. Si tratta quindi, più che altro, di una differenza terminologica.
Gli alimenti sono cosa completamente differente. Si parla di «alimenti» con riferimento alle somme che i familiari più stretti devono versare a chi si trova in condizioni economiche talmente disagiate da mettere a repentaglio la sua stessa integrità fisica. L’ipotesi tipica è quella del disabile che non riesca a lavorare. Obbligati a versare gli alimenti sono innanzitutto il coniuge e i figli del bisognoso. Poi, via via, vengono individuati i parenti di grado più lontano (nipoti, genitori, generi e nuore, suocero e suocera, fratelli e sorelle).
Gli alimenti poi si differenziano dal mantenimento per l’ammontare: essi infatti sono rivolti a garantire solo la sopravvivenza e quindi rappresentano una somma minima.
Come funziona l’assegno di mantenimento?
Nel momento in cui una coppia si separa o divorzia, il coniuge più benestante deve provvedere al mantenimento dell’ex nei limiti delle proprie capacità economiche e comunque entro il limite massimo necessario a garantire a quest’ultimo la sola autosufficienza economica, indipendentemente dal tenore di vita che questi era solito godere durante il matrimonio.
Quindi, a prescindere dal reddito di cui è titolare il coniuge obbligato a versare l’assegno, l’ammontare dello stesso deve essere rivolto soltanto a consentire l’indipendenza sul piano economico, ossia un tenore di vita dignitoso, non necessariamente agiato.
Chi chiede l’assegno di mantenimento o l’assegno di divorzio deve dimostrare di trovarsi in condizioni di difficoltà economica non per propria colpa. Il che è incompatibile con la condizione di una persona giovane, ancora capace di lavorare, soprattutto se con un titolo professionale o comunque una formazione e specializzazione che gli consentono di immettersi nel mercato del lavoro.
Di solito, l’assegno di mantenimento viene riconosciuto a chi non può più lavorare per sopraggiunti limiti di età (ad esempio, 45-50 anni), perché disabile, perché privo di istruzione e sempre che dia prova di aver fatto di tutto per cercare un’occupazione. E, non in ultimo, l’assegno spetta alla donna che ha rinunciato alla carriera pur di badare alla casa e alla famiglia, consentendo così al marito di concentrarsi sul proprio lavoro incrementando la propria ricchezza.
Chi decide l’assegno di mantenimento?
A decidere l’ammontare dell’assegno di mantenimento o di divorzio è l’accordo tra i coniugi o, in mancanza, il giudice su ricorso del richiedente. Nel primo caso, si procede a una separazione o divorzio consensuale; nel secondo, invece, si dà luogo a una procedura di tipo “giudiziale”, in una normale causa nel corso della quale ciascuna delle parti dovrà dimostrare le proprie condizioni economiche e necessità, i costi che deve sostenere, l’indisponibilità di altri redditi, ecc.
Come funziona il mantenimento in un’unica soluzione
Tanto l’assegno di mantenimento quanto quello divorzile possono essere versati, su accordo di entrambe le parti, in un’unica soluzione, ossia tramite il cosiddetto assegno una tantum. Questo però si atteggia in modo diverso a seconda che venga privato all’atto della separazione o del divorzio. Distinguiamo le due ipotesi.
Cos’è il mantenimento in un’unica soluzione?
I diritti del coniuge più debole economicamente possono essere liquidati, per espressa previsione di legge, non solo attraverso il pagamento di un assegno periodico, ma anche attraverso la corresponsione di una somma in un’unica soluzione o, eventualmente, tramite la cessione di cespiti mobiliari o immobiliari (ad esempio, l’intestazione di una casa). È ciò che si chiama una tantum.
In buona sostanza, se c’è l’accordo tra le parti, il coniuge beneficiario del mantenimento può accontentarsi di un unico versamento: immediato o dilazionato in due o più tranche. Tale pagamento non consentirà di chiedere poi il mantenimento mensile, salvo quanto diremo a breve.
È chiaro quindi che la corresponsione dell’assegno una tantum presuppone una procedura di tipo consensuale, non potendo mai intervenire in una separazione o divorzio giudiziale, neanche su richiesta della parte al giudice. Il giudice infatti, in presenza di una causa, può solo fissare l’assegno mensile.
A quanto ammonta l’assegno una tantum?
La legge non dice a quanto debba ammontare l’assegno una tantum: tutto è rimesso alla libera trattativa tra le parti. Ciò non toglie che il giudice, chiamato ad omologare l’accordo di separazione o divorzio, possa valutare la congruità della somma ed eventualmente (anche se poco probabile) modificarla.
Assegno una tantum con la separazione
A differenza di quanto accade per l’assegno divorzile, nella separazione dei coniugi non è prevista la corresponsione dell’assegno di mantenimento in un’unica soluzione.
Tuttavia, la giurisprudenza ritiene ammissibile l’assegno di mantenimento una tantum in base ad un accordo fra le parti.
È bene però sapere che gli accordi presi in sede di separazione consensuale non sono vincolanti al momento del successivo divorzio e quindi possono essere oggetto di ripensamento. Pertanto, il coniuge debole, al quale è stata corrisposta una forma di mantenimento in un’unica soluzione, ha la possibilità di richiedere successivamente, con il divorzio, la corresponsione di un assegno periodico.
Dunque, non può escludersi che il coniuge debole formuli in sede di divorzio una domanda finalizzata al riconoscimento di un assegno a suo favore, malgrado i coniugi in sede di separazione abbiano pattuito la corresponsione di una somma una tantum per la definizione dell’obbligo di mantenimento.
Questo significa che non è affatto conveniente stabilire l’assegno una tantum in sede di separazione.
Assegno una tantum con il divorzio
L’articolo 5 della legge sul divorzio prevede che «Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico».
L’una tantum non deve essere costituita necessariamente da una somma di denaro, ma può riguardare anche il trasferimento della proprietà di immobili e persino l’obbligo, che il coniuge forte si accolla, di versare ad una banca le rate del mutuo garantito da ipoteca su immobili di proprietà dell’altro.
La corresponsione dell’una tantum è destinata ad avere effetti per tutto il corso della vita del coniuge debole. Come già detto, la corresponsione in unica soluzione impedisce al coniuge debole di chiedere una successiva modifica delle condizioni di divorzio e persino di chiedere gli alimenti in presenza di una grave situazione di disagio economico.
La norma, tuttavia, consente il pagamento in un’unica soluzione esclusivamente in presenza di due condizioni:
– l’accordo fra le parti;
– il successivo controllo di equità da parte del tribunale (anche se, come anticipato, si tratta di un controllo formale che quasi mai dà origine a una modifica dell’importo concordato tra i coniugi).
Non è possibile, di conseguenza, che un procedimento contenzioso di divorzio venga definito, per iniziativa del tribunale, attraverso il riconoscimento di una prestazione una tantum a favore del coniuge più debole in luogo dell’assegno periodico.
La giurisprudenza più recente ritiene che anche l’intestazione di un immobile come accordo di divorzio non precluda al coniuge beneficiario, qualora si modifichino le sue condizioni economiche sostanzialmente, di chiedere una successiva integrazione.