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È del 7 agosto scorso la sentenza della Cassazione n. 14197 con la quale la Suprema Corte ribadisce la liceità del controllo sui dipendenti da parte dell’investigatore privato pagato dall’azienda quando ci sia il sospetto della eventuale commissione di reati.
La possibilità, per il datore di lavoro, di effettuare indagini sui dipendenti infedeli (o assenteisti) a mezzo di investigatori privati è stata più volte ribadita dalla giurisprudenza, che ha considerato lecita la verifica in ordine all’eventuale realizzazione di comportamenti illeciti esulanti dalla normale attività lavorativa, ammettendo il ricorso alla collaborazione di investigatori privati. In questa direzione si è mosso un trend costante della giurisprudenza, che ha tuttavia escluso che l’attività investigativa commissionata dal datore di lavoro possa estendersi all’ordinaria attività lavorativa.
Nel caso in oggetto la Corte ha respinto il ricorso di un dipendente avverso il licenziamento subito in conseguenza del fatto di essere stato sorpreso ad appropriarsi dei beni dell’albergo in cui lavorava. La sentenza de qua costituisce per la Corte l’occasione per ribadire una serie di paletti all’attività investigativa del soggetto incaricato dal datore di lavoro sospettoso dei propri dipendenti. I giudici di legittimità hanno, in particolare, precisato che il detective privato può controllare il dipendente solo nel caso in cui ci sia il sospetto di un illecito ma non anche per verificare l’esatto adempimento della prestazione lavorativa dovuta. Non solo, viene aggiunto che, pur nell’ambito dei controlli leciti, l’investigatore può procedere alla perquisizione personale, cioè corporale, del dipendente ma non alla perquisizione dell’auto o dell’abitazione. Viene specificato, infine, che solo l’investigatore privato può controllare l’attività del dipendente in relazione alla sottrazione di beni aziendali, facoltà esclusa per le guardie particolari giurate.