Residenza persone fisiche: nuove regole
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Non basta più avere la residenza all’estero per non pagare le imposte in Italia. Ecco le condizioni per essere considerati fiscalmente residenti in Italia.
Il D.Lgs 209/2023 prevede nuove regole per la residenza fiscale delle persone fisiche (così modificando l’articolo 2 del Tuir). La riforma si occupa anche di stabilire la residenza fiscale delle persone giuridiche (articolo 73, comma 3 del Tuir).
La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 20/E affronta le novità chiarendo, nel dettaglio, quali sono i criteri per stabilire se un cittadino è residente in Italia (sicché è tenuto a pagare le imposte nel nostro Paese) oppure all’estero (nel qual caso sarà soggetto alla tassazione straniera). Ma procediamo in Italia.
Indice
* Come si definisce la residenza fiscale di un contribuente?
o Cosa si intende per domicilio ai fini della residenza fiscale?
o Cosa si intende per “frazione di giorno”?
* Quando un lavoratore in smart working è residente in Italia?
* Smart working all’estero: dov’è la residenza fiscale?
* Cosa cambia per i frontalieri?
Come si definisce la residenza fiscale di un contribuente?
Dal 1° gennaio 2024, per stabilire se la persona fisica ha la residenza fiscale in Italia si deve accertare se, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni o 184 negli anni bisestili), essa abbia avuto nel nostro Paese:
* la residenza civilistica, ossia la dimora abituale (così come in passato). La dimora abituale consiste nel luogo ove una persona vive, dorme e fisicamente si trova per gran parte dell’anno;
* il domicilio, definito dalla riforma come «il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari»;
* la presenza fisica (in Italia o all’estero), tenuto conto anche delle “frazioni di giorno” (vedremo più avanti cosa si intende con tale locuzione);
* la residenza anagrafica, che però non è elemento sufficiente ma una semplice “presunzione”, che può essere contrastata da elementi contrari (tecnicamente si parla di «presunzione semplice»).
Cosa si intende per domicilio ai fini della residenza fiscale?
Ciò che cambia rispetto al passato è il concetto di “domicilio”, per il quale vengono in rilievo non solo gli interessi in termini lavorativi o commerciali, ma anche le relazioni familiari, personali (ad esempio convivenza) e sociali (come l’iscrizione a circoli culturali o sportivi). Un tempo invece era necessario, secondo la giurisprudenza, una valutazione globale di tutti gli elementi di fatto rilevanti, sia personali che patrimoniali.
Il giudice sarà chiamato a accertare, caso per caso, se sussistono condotte che manifestino la volontà di mantenere un «legame effettivo» con il territorio italiano, nel qual caso potrà accertare l’elemento elusivo del contribuente e ritenerlo, nonostante la formale residenza all’estero, ancora soggetto alle norme fiscali italiane.
Facciamo l’esempio di un contribuente iscritto all’Aire che ha iniziato a lavorare all’estero ma mantiene una casa in Italia, con le relative utenze attaccate, in cui trascorre i fine settimana o le vacanze. Questa a dire il vero è una casistica frequente, che dovrà essere gestita mediante applicazione delle tie break rules convenzionali.
Nelle ipotesi in cui l’individuazione dello Stato ove si concentrano le relazioni personali e familiari non sia immediata e il contribuente non sia presente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta, può essere utile, secondo l’Agenzia, accertare lo Stato in cui la persona permane prevalentemente.
Cosa si intende per “frazione di giorno”?
Per determinare la residenza fiscale in Italia, si contano i giorni di presenza fisica nel Paese. A tal proposito, è importante sapere che anche una sola ora trascorsa in Italia equivale a un giorno intero.
Tuttavia, la normativa prevede delle eccezioni per situazioni di presenza meramente temporanea. Ad esempio, se lo scalo in Italia è dovuto a una coincidenza per raggiungere un Paese estero, l’Agenzia delle Entrate potrebbe valutare la situazione specifica e non conteggiare quel giorno ai fini della residenza fiscale.
Quando un lavoratore in smart working è residente in Italia?
In caso di smart working, il contribuente è residente nel luogo in cui si verificano i requisiti di residenza, domicilio e permanenza a prescindere dalla residenza del datore di lavoro o committente.
Dal 2024, per determinare la residenza fiscale di chi lavora in smart working, conta anche il tempo trascorso fisicamente in Italia. Se la presenza supera la metà dell’anno (183 giorni), si è considerati residenti fiscali italiani.
Questa è una delle novità introdotte dalla circolare 20/E/2024 dell’Agenzia delle Entrate, che analizza gli effetti della nuova normativa sulla residenza fiscale per chi lavora da remoto in contesti internazionali.
La Legge delega 111/2023 aveva l’obiettivo di adattare la normativa sulla residenza fiscale al lavoro agile. La nuova versione dell’articolo 2, comma 2 del TUIR introduce tre importanti cambiamenti:
* definizione di domicilio: si basa sulle relazioni personali e familiari, non solo su quelle economiche;
* iscrizione anagrafica: non è più un requisito assoluto, ma si valuta la situazione reale del contribuente;
* presenza fisica: si ritiene residente chi trascorre più di metà dell’anno in Italia, anche solo per frazioni di giorno.
La circolare 20/E/2024 si concentra proprio sul nuovo requisito della presenza fisica, analizzando gli effetti per chi lavora da remoto in Italia o all’estero.
In precedenza (circolare 25/2023), si consideravano residenti nel nostro Paese i lavoratori che, pur lavorando da remoto, soddisfacevano almeno uno dei criteri di residenza (iscrizione anagrafica, domicilio, residenza).
Ora, con la nuova normativa, basta trascorrere più di 183 giorni nello Stato italiano per essere ritenuti residenti fiscali, indipendentemente dagli altri criteri.
Smart working all’estero: dov’è la residenza fiscale?
Nel caso in cui l’attività di smart working viene svolta dall’estero e lì il contribuente è fisicamente presente per almeno 183 giorni all’anno (o 184 nel caso di anni bisestili), bisogna verificare se la persona fisica soddisfa «per la maggior parte del periodo d’imposta almeno uno degli altri tre criteri di collegamento individuati dall’articolo 2, comma 2, del Tuir, come modificato dal decreto, ossia mantenga la sua residenza civilistica o il suo domicilio in Italia, ovvero risulti iscritto nell’anagrafe della popolazione residente».
L’Agenzia evidenzia, infine, che i lavoratori agili che si qualificano fiscalmente residenti dovranno tassare i redditi ovunque prodotti (cosiddetto world wide taxation principle), fatta salva l’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni che potrebbero determinare una diversa ripartizione della potestà impositiva tra l’Italia e l’altro Stato contraente.
Cosa cambia per i frontalieri?
L’introduzione del concetto di “frazione di giorno” per determinare la residenza fiscale potrebbe causare problemi ai frontalieri che lavorano in Italia. Infatti, anche poche ore di lavoro nel nostro Stato potrebbero essere sufficienti a farli considerare residenti fiscali italiani, con il rischio di una doppia tassazione (sia in Italia che nel Paese di residenza).
Per evitare questo problema, la circolare dell’Agenzia delle Entrate ricorda l’importanza delle convenzioni contro le doppie imposizioni. Questi accordi internazionali stabiliscono regole per evitare che una persona venga tassata due volte sullo stesso reddito.
Alcune convenzioni, come quelle con Germania, Svizzera e Panama, prevedono il cosiddetto “split year“. In pratica, se un lavoratore trasferisce la residenza durante l’anno, il periodo d’imposta viene diviso in due parti, e la tassazione viene applicata separatamente in ciascun Paese.
Lo split year scatta solo in caso di conflitto di residenza, ovvero quando entrambi i Paesi considerano il lavoratore come residente fiscale.
Fonte internet