Registrazioni all’insaputa del conversante: cosa dice la legge sulle prove in Tribunale.

 

 

Registrazioni all’insaputa del conversante: cosa dice la legge sulle prove in Tribunale.

In alcune situazioni non c’è altro modo di procurarsi la prova di un illecito ai propri danni se non registrando una conversazione. E questo perché, nel processo civile, le dichiarazioni delle parti non hanno valore di prova (come invece succede nel processo penale solo per la vittima). Pertanto, in assenza di testimoni, sarebbe impossibile dimostrare, ad esempio, un prestito avvenuto verbalmente, un’ingiuria, una minaccia e così via. Se ciò è vero, ci si chiede altresì se si possono registrare le conversazioni telefoniche all’insaputa dell’altro conversante.

Il dubbio è giustamente sorto per via di un principio di carattere generale legato alla privacy: se anche è vero che è possibile registrare di nascosto una conversazione, senza quindi chiedere l’autorizzazione ai presenti, ciò non può avvenire nel domicilio di questi ultimi. Ebbene, non è raro che, quando si parla al telefono, ci si trovi in casa propria. Dunque, il sospetto che tali registrazioni non possano poi essere utilizzate in Tribunale come prova dell’illecito è più che fondato.

Senonché, come chiarito più volte dalla Cassazione, è lecito registrare conversazioni telefoniche. Tali prove infatti non rientrano nel concetto di “intercettazioni” in senso stretto che solo la polizia giudiziaria potrebbe eseguire, previa autorizzazione del giudice.

Quindi, chiunque può posizionare un registratore innanzi al telefono per registrare ciò che dice l’altro conversante. E ciò al fine di difendere un proprio diritto dinanzi al Tribunale, sporgere una querela o una denuncia, oppure per procurarsi il materiale probatorio da utilizzare dinanzi a un’autorità amministrativa (ad esempio l’Ispettorato del Lavoro).

In passato si era ritenuto tuttavia illegittimo il comportamento di chi, mettendo in vivavoce la chiamata, faceva ascoltare la chiacchierata anche a un terzo. Tale interpretazione è stata superata da una pronuncia della Cassazione che ha sdoganato la condotta di una donna, recatasi dinanzi alla caserma dei carabinieri, per far loro ascoltare la confessione di un uomo, resa tramite il telefono, di una violenza sessuale. Chiaramente, il colpevole non sapeva di essere ascoltato dalle autorità. Ne abbiamo già parlato in Chi registra in vivavoce una telefonata commette reato? Se anche in quella circostanza lo scopo non era la registrazione ma l’audizione dei carabinieri per poter ottenere la loro testimonianza, il principio applicabile è comunque lo stesso.

In ogni caso, la registrazione acquisita legalmente è prova in un processo e quindi può essere acquisita dal giudice agli atti e portata a fondamento di una sentenza di condanna, salvo che sia validamente contestata dalla controparte. Quest’ultima però non può limitarsi a una generica opposizione: dovrebbe anche suggerire al magistrato i sospetti della non genuinità della dichiarazione, ad esempio in relazione al tempo in cui è stata resa o eventualmente a una situazione di violenza o minaccia a cui si è stati soggetti prima della registrazione stessa.

Secondo la Cassazione, neppure il disconoscimento esclude la possibilità, per il giudice, di valutare autonomamente e secondo la propria discrezionalità la veridicità del materiale fonografico prodotto dalla parte, mediante il ricorso ad altri mezzi probatori. In particolare, la Corte ha chiarito che, in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni fotografiche e delle registrazioni video o audio, «il disconoscimento non produce gli stessi effetti del disconoscimento delle scritture private previsto dall’articolo 215, comma 2 del Codice di procedura civile, perché mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo, preclude l’utilizzazione della scrittura prodotta in giudizio, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cassazione, 13519/2022)».

Detto ciò, se è vero che registrare una telefonata è lecito e non integra reato, quando invece tale comportamento può essere censurato? Sicuramente la registrazione può essere utilizzata, non solo per fini giudiziari, ma anche per una propria memoria (ad esempio per essere custodita nei propri archivi). Non può invece essere inoltrata a terzi, né pubblicata su un social per denunciare a tutti la violazione della legge commessa dalla controparte. Se anche dovesse trattarsi di un’ammissione di responsabilità, la divulgazione a terzi (anche tramite una chat WhatsApp) integrerebbe illecito. Si potrebbe pertanto subire anche una querela per diffamazione, per quanto vero possa essere il fatto e attendibile la registrazione.

FONTE INTERNET

 

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