Quando il datore commette estorsione? IDFOX Agenzia Investigativa Milano

Quando il datore commette estorsione?

La differenza tra cercare lavoratori in modo ingiusto e compiere un vero e proprio reato di estorsione sta nel fatto che ci sia già un lavoro in corso tra il datore e il dipendente.

L’estorsione si verifica quando qualcuno, con la violenza o la minaccia di un danno, costringe un’altra persona a fare o non fare qualcosa, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. Questo reato si verifica spesso in ambiente lavorativo. Il datore, in ragione della sua posizione di forza contrattuale, spinge spesso i dipendenti ad accettare condizioni inique sotto minaccia di licenziamento o di altri trattamenti svantaggiosi. Ed allora è bene sapere quando il datore commette estorsione al fine di comprendere come tutelarsi. Anche perché, se è vero che per le differenze retributive e gli stipendi non pagati ci sono cinque anni di tempo per agire, che decorrono da quando il rapporto di lavoro è cessato, invece per la querela penale il termine è molto più breve: 3 mesi da quando il fatto è stato commesso.

 

 

Cerchiamo allora di fare chiarezza su questo argomento in modo da comprendere quando denunciare il datore di lavoro.

Indice

* Esempi di estorsione sul lavoro

* Come viene punita l’estorsione?

* Quando non si può denunciare il datore di lavoro per estorsione?

Esempi di estorsione sul lavoro

La giurisprudenza ha riconosciuto diverse manifestazioni del reato di estorsione nel contesto del rapporto di lavoro subordinato, identificando un ampio ventaglio di comportamenti che possono essere interpretati come minacciosi, sia in forma attiva che omissiva. Tuttavia, nonostante la varietà dei casi specifici, la Cassazione ha costantemente ribadito che costituisce estorsione la pratica del datore di lavoro che, avvantaggiandosi di una situazione di mercato favorevole, costringe i lavoratori, minacciandoli velatamente di licenziamento, ad accettare retribuzioni inferiori o inadeguate rispetto al lavoro svolto.

 

 

Commette estorsione il datore di lavoro che minaccia il dipendente di licenziamento:

* se non accetterà una riduzione dello stipendio;

* se non gli riconsegnerà in contanti una parte della busta paga versatagli sul conto;

* se non accetterà di lavorare oltre il turno, senza compensarlo per lo straordinario;

* se rifiuta di compiere lavori che non gli competono.

Insomma, in tutti questi casi c’è una situazione di forza da parte di un soggetto e di debolezza da parte della vittima che, proprio per non subire il male minacciato, è portata ad accettare il ricatto.

Come viene punita l’estorsione?

L’estorsione è un reato punito con la reclusione da 5 a 10 anni e con la multa da 1.000 a 4.000 euro. La pena può essere aumentata se il reato è commesso con violenza o minaccia grave, se la vittima è un minore o un inabile, o se il profitto ottenuto è ingente.

 

La querela deve essere presentata entro 3 mesi dal giorno in cui la vittima ha avuto conoscenza del reato.

Quando non si può denunciare il datore di lavoro per estorsione?

L’estorsione operata dal datore di lavoro nei confronti del dipendente presuppone l’esistenza di un rapporto lavorativo (sent. n. 7128, datata 16 febbraio 2024). La Cassazione ha chiarito che è fondamentale che l’assunzione sia già avvenuta, anche solo “di fatto” (ad esempio in nero e non ancora regolarizzata)

Ipotizziamo il caso di un giovane a un colloquio di lavoro. Il datore, in quell’occasione, gli offre il posto ma gli anticipa che lo pagherà meno di quanto previsto dal contratto collettivo. L’alternativa sull’altro piatto della bilancia è assumere un’altra persona al posto suo. Ebbene, un ricatto di questo tipo non configura estorsione.

Nel dettaglio, la Cassazione ha precisato che il reato in questione non scatta quando il datore di lavoro, sfruttando le aspettative di assunzione del futuro lavoratore, lo costringe ad accettare condizioni lavorative illegali o non conformi ai contratti collettivi. Questo assunto è stato già affermato in precedenti decisioni della giurisprudenza della Cassazione (sentenze n. 8477/2019 e n. 16656/2010 della sezione 2).

Quando il datore di lavoro propone ai potenziali dipendenti, al momento dell’assunzione e quindi prima dell’effettiva instaurazione di un rapporto di lavoro, di rinunciare a parte della retribuzione pattuita o ad altre prestazioni in cambio della posizione lavorativa, manca l’elemento della minaccia, poiché prima della formalizzazione dell’accordo non esiste un diritto del candidato ad essere assunto a determinate condizioni. Inoltre, non si configura il danno per il lavoratore, data la sua preesistente condizione di disoccupazione, dalla quale il mancato ottenimento di un’opportunità lavorativa non determina un peggioramento.

Diversamente, si giunge a conclusioni opposte quando il datore di lavoro minaccia di interrompere il rapporto lavorativo già in essere, tramite licenziamento o costrizione alle dimissioni, per indurre i dipendenti ad accettare modifiche contrattuali sfavorevoli. In tali circostanze, si riconoscono sia l’elemento della minaccia, realizzata attraverso l’abuso di una prerogativa contrattuale usata come mezzo di costrizione, sia il vantaggio per il datore di lavoro e il danno per il dipendente, privato di diritti acquisiti con la stipula del contratto di lavoro.

La sentenza chiarisce che la linea di demarcazione tra una ricerca di personale che si avvale di pratiche discutibili e l’effettiva commissione di un reato di estorsione risiede nell’aver già instaurato un rapporto di lavoro tra datore e lavoratore.

 

Articolo precedente
Analisi di una donazione di denaro tra marito e moglie: può essere valida anche se non c’è un atto notarile? IDFOX Agenzia Investigativa Milano
Articolo successivo
Per potersi avere mobbing non basta uno o più atti illeciti del datore di lavoro: è necessario un intento persecutorio. IDFOX Agenzia Investigativa Milano
Menu