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Patto di non concorrenza: l’oggetto deve essere limitato.

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È legittimo un patto di non concorrenza di durata 24 mesi, nel quale si prevede il divieto di svolgere attività di carattere autonomo o subordinato a favore di soggetti concorrenti o comunque operanti nel settore di appartenenza del datore di lavoro, siano essi diretti concorrenti o clienti/utilizzatori?

Il patto di non concorrenza è quell’accordo mediante il quale il datore di lavoro, per proteggersi da un eventuale attività di concorrenza da parte dell’ex dipendente, ne limita l’attività professionale successiva la cessazione del rapporto di lavoro.

Il patto di non concorrenza può essere stipulato al momento dell’assunzione, oppure durante lo svolgimento o al termine del rapporto.

Si tratta di un accordo a sestante distinto dal contratto di lavoro intercorrente tra le parti.

La legge prevede espressamente, a pena di nullità, che il patto di non concorrenza debba:

* rivestire la forma scritta

* prevedere un corrispettivo a favore dei prestatori di lavoro

* essere contenuto entro determinati limiti di oggetto, tempo e luogo

* Quanto alla durata infatti il vincolo non può essere superiore a cinque anni se si tratta di dirigenti e a tre anni negli altri casi qualora sia prevista una durata maggiore essa si riduce nella misura di legge.

Con specifico riferimento al la misura del corrispettivo in favore del lavoratore per la limitazione dell’attività lavorativa, questo deve essere equo e proporzionato al sacrificio richiesto.

Il compenso può essere corrisposto in misura fissa o percentuale e pagato durante lo svolgimento del rapporto di lavoro unitamente alla retribuzione, oppure in soluzione unica alla cessazione del rapporto di lavoro.

La legge non prevede espressamente alcun preciso limite in merito all’oggetto e all’ambito territoriale di applicazione del patto di non concorrenza.

All’assenza di previsioni normative ha supplito dunque la giurisprudenza, la quale è costante nel ritenere che l’oggetto del patto di non concorrenza possa andare anche oltre le mansioni precedentemente svolte dal lavoratore e riguardare qualunque attività potenzialmente concorrenziale nociva per l’impresa, purché tuttavia lascia impregiudicati il diritto al lavoro e la professionalità dell’ex dipendente. In altre parole, l’oggetto del patto di non concorrenza, per quanto ampio, deve comunque garantire al lavoratore la possibilità di reimpiego non in un qualsiasi lavoro, ma in un’attività consona alle proprie capacità e conoscenze professionali acquisite.

Inoltre, sempre secondo la prevalente giurisprudenza in materia, il patto di non concorrenza che preveda per il lavoratore il divieto di svolgere attività di concorrenza, non solo nei confronti di imprese direttamente concorrenti, ma anche a favore di imprese clienti/utilizzatrici dei beni commercializzati dal datore di lavoro, come nell’ipotesi oggetto dell’intestato quesito, deve considerarsi illegittimo, in quanto non più funzionale alla protezione del datore di lavoro dalla concorrenza di altri diretti concorrenti sul mercato.

Infine, con riguardo ai limiti territoriali di operatività del patto di non concorrenza, si osserva che essi sono strettamente connessi all’oggetto dell’accordo stesso: il patto potrebbe prevedere un ambito di operatività anche estremamente ampio, purché però, per contro, l’oggetto sia ristretto e circostanziato a ben precise attività.

Diversamente, un patto di non concorrenza a valenza territoriale molto ampia (o peggio indefinita) ed altrettanto ampio oggetto risulterebbe nullo, impedendo al lavoratore un opportuno reimpiego.

 

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