Milano: Investigatore Privato.Condotta sportiva violenta: quando è reato
Le lesioni provocate nel corso di una attività sportiva possono, in determinati casi, configurare reato punito sia dalla legge che dall’ordinamento sportivo.
A volte capita che, nell’attività agonistica, la foga e la determinazione per conseguire la vittoria portino l’atleta a superare i limiti del normale rischio connesso allo sport, procurando lesioni all’avversario. Fatti che nella vita ordinaria assumono rilevanza penale e civile, se verificatisi durante la pratica sportiva non comportano, di necessità, conseguenze a carico di chi li commette. Ma quando la condotta sportiva violenza è reato?
Vi sono attività sportive in cui la violenza è elemento imprescindibile, attività in cui il contatto fisico è solo eventuale e altre in cui non è per nulla previsto. Dobbiamo pertanto distinguere tra queste per calcolare le eventuali responsabilità penali dell’atleta per le ferite procurate a terzi.
Indice
* Il rischio consentito
* Le diverse attività sportive
* Come influisce la volontà (il dolo) o la colpa nell’illecito sportivo
* La valutazione della gravità della condotta
* Attività amatoriale e contesti non ufficiali
* Conclusioni
Il rischio consentito
Per essere lecita, l’azione deve essere quantomeno compatibile con la natura della disciplina praticata e con il contesto agonistico di svolgimento; viceversa, in presenza dei presupposti della volontarietà dell’infrazione e della abnormità della condotta, il fatto sarà considerato penalmente e civilmente rilevante.
La legge si preoccupa di limitare il rischio connesso allo svolgimento delle attività sportive, utili ma pericolose, individuando in maniera il più possibile puntuale delle norme cautelari, che per l’attività sportiva sono contenute all’interno dei singoli regolamenti sportivi, esistenti per ognuna delle discipline sportive riconosciute ed autorizzate dallo Stato.
Le regole cautelari suscettive di venire in gioco in tali ipotesi non possono essere costruite in base ai tradizionali criteri della prevedibilità ed evitabilità dell’evento, ma debbono tener conto dell’esigenza di permettere lo svolgimento dell’attività, mantenendo al contempo il livello di pericolosità entro limiti accettabili: soltanto il superamento di tali limiti, o, secondo una terminologia particolarmente efficace, dei margini del cosiddetto «rischio consentito», può pertanto essere fonte di responsabilità per colpa.
All’interno di quell’area del «rischio consentito» possono quindi verificarsi delle condotte che integrano reati come quello di lesioni (o, nel peggiore dei casi l’omicidio), e che malgrado ciò non portano a nessuna responsabilità penale per l’autore, per l’evidente ragione che l’ordinamento non può contraddirsi, e così da un lato autorizzare ciò che è rischioso ma socialmente utile e dall’altro punire invece chi ha realizzato quel rischio che era del tutto prevedibile.
In questo ambito trova quindi collocazione la problematica del cosiddetto illecito sportivo, che per le ragioni sin qui esposte, presenta profili del tutto speciali rispetto ad un illecito comune e necessita perciò di una disciplina autonoma.
Fuori, invece, dall’area del «rischio consentito» si applicano le normali norme del codice penale.
Occorre precisare che “rischio consentito” non equivale all’esonero indiscriminato dall’obbligo di osservanza delle regole di cautela. Anzi, vale il contrario. Cioè, il rigoroso rispetto delle regole cautelari consente di configurare la causa giustificativa avverso il pericolo connesso al tipo di attività. Tuttavia, proprio in ordine ai confini del rischio consentito nell’ambito sportivo, i dubbi esegetici non sono stati mai del tutto dissolti, tanto da giungere alla recente sentenza della Corte di Cassazione n. 3284 del 21 ottobre 2021, depositata il 31 gennaio 2022, che sembra mettere in crisi l’impostazione adottata sinora dalla giurisprudenza di legittimità e di merito.
Le diverse attività sportive
Nel caso di “attività sportiva non violenta” (es. il nuoto o il tennis), ogni condotta che provochi lesioni costituisce reato in quanto esula dal contesto di gioco [1].
Diverso è invece il discorso nel caso delle attività sportive “necessariamente violente” (es. la boxe) e in quelle “a violenza eventuale” (es. il calcio o il basket). In questi casi, per stabilire se le lesioni siano punibili penalmente, bisogna tener presente che la condotta violenta, nell’esercizio di una attività sportiva [2], non costituisce reato quando [3]:
* avviene nel rispetto delle regole di gioco (e, in questo caso, potranno applicarsi solo le sanzioni previste dai singoli regolamenti sportivi);
* l’azione rientri nel cosiddetto “rischio consentito”: il rischio consentito è la soglia entro cui eventuali violazioni delle regole sono tollerate poiché ritenute comportamenti normali nello svolgimento dell’attività sportiva.
Come influisce la volontà (il dolo) o la colpa nell’illecito sportivo
Occorre poi distinguere tra:
* violazione involontaria delle regole del gioco (assenza di dolo/colpa): quando si fa del male all’avversario per eccessiva foga agonistica o per incapacità di interrompere la propria azione di gioco. In questo caso, l’azione lesiva resta nel limite del rischio consentito e rimane un illecito sportivo. Si pensi al contrasto particolarmente violento, effettuato per rubare il pallone all’avversario;
* violazione volontaria delle regole del gioco, ma esclusivamente finalizzata al conseguimento del risultato: si ha responsabilità penale a titolo di colpa perché il soggetto avrebbe interpretato l’importanza dell’evento sportivo con un fervore eccessivo rispetto alla situazione concreta, agendo con violenza nonostante la previsione dell’evento. In tali casi l’azione lesiva supera il limite del rischio consentito [4]. Si pensi a tutti quei falli, anche involontari, che risultano assolutamente inutili e violenti rispetto al contesto di gioco;
* violazione dolosa: qualora, lo svolgimento dell’attività sportiva diventa l’occasione per far del male, per intimorire l’avversario o “punirlo” per un fallo involontario. Si pensi al pugno sferrato a gioco fermo, al “fallo di reazione” oppure al fallo punitivo per una precedente scorrettezza dell’avversario. In questi casi è chiara la rilevanza penale di tali comportamenti [5].
Il limite del rischio consentito varia anche in relazione al tipo di attività che si sta svolgendo.
Ad esempio, varia in base al carattere agonistico o dilettantistico dell’attività sportiva oppure in base alla natura di gara amichevole o di competizione ufficiale.
Infatti, nelle competizioni amichevoli o amatoriali i partecipanti non possono avere motivazioni analoghe a quelle dei professionisti, e di conseguenza devono porre maggiore attenzione alle loro condotte, con un più attento controllo dell’ardore agonistico [6].
La valutazione della gravità della condotta
La scriminante dell’accettazione del rischio consentito da parte dell’atleta opera nei seguenti casi:
* atto posto in essere senza volontà lesiva, nel rispetto del regolamento sportivo, ove l’evento di danno sia la conseguenza della natura stessa dell’attività che importa contatto fisico eventuale;
* atto posto in essere senza volontà lesiva, pur in presenza di una violazione della norma regolamentare, ove si ravvisi il finalismo dell’azione correlato all’attività sportiva.
Al contrario, la scriminante non si applica:
* quando si constati assenza di collegamento funzionale tra l’evento lesivo e la competizione sportiva;
* quando la violenza esercitata risulti sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco e alla natura e rilevanza dello stesso;
* quando la finalità lesiva costituisca la prevalente spinta all’azione, anche ove non si rilevi alcuna violazione delle regole dell’attività.
Secondo la Cassazione (sent. n. 9559/2016) la scriminante copre azioni dirette a ledere l’incolumità del competitor esclusivamente nelle discipline a violenza necessaria o indispensabile, salvo il rigoroso rispetto della disciplina cautelare di settore, ivi inclusa la speciale cautela nell’affrontare incontri tra atleti aventi capacità e/o forza fisica impari.
La scriminante non opera qualora si accerti che lo scopo dell’agente esuli dall’attività sportiva, integrando ad ogni effetto il reato di lesioni volontarie o addirittura di omicidio.
Dirimente è la valutazione della regola di proporzionalità dell’ardore agonistico rispetto al rilievo della vicenda sportiva, da intendersi più restrittivamente al decrescere del livello agonistico del contesto. Pertanto, nell’ambito dilettantistico, i criteri di valutazione diventano più stringenti.
L’eventualità che venga violata una delle regole del gioco costituisce evenienza preventivamente nota ed accettata dai competitori, i quali rimettono alla decisione dell’arbitro la risoluzione dell’antigiuridicità, senza che però questa tracimi dall’ordinamento sportivo a quello generale.
Qualora il fatto violento, sebbene conforme al regolamento del gioco, sia diretto ad uno scopo estraneo al fine dell’azione sportiva, l’esimente non opera, così come nel caso in cui la violenza sia “trasmodante”.
La scriminante non opera anche qualora il soggetto agente porti a compimento l’azione nonostante risulti prevedibile lesione dell’integrità fisica del competitor.
Attività amatoriale e contesti non ufficiali
Restano da considerare, da ultimo, i contesti non ufficiali, principalmente legati al “tempo libero”, inteso come segmento temporale “che gli individui tendono a riempire con attività scelte liberamente, non soggette a vincoli imposti dall’esterno, non finalizzate a lucro, e ritenute fonte di piacere e/o di riposo”. Ebbene, nello svolgimento in forma amichevole di attività sportive non intrinsecamente pericolose, il parametro valutativo della responsabilità per le lesioni riportate da uno dei contendenti è costituito dalle regole di comune prudenza, mentre il mancato rispetto delle regole fissate per le competizioni ufficiali non è autonoma fonte di responsabilità in capo ai partecipanti alla gara (Cass. civ., sez. III, 22.10.2004, n. 20597). Recentemente si è peraltro affermato che la sproporzione, nel caso concreto, tra l’azione sportiva violenta e il contesto di gioco si riferisce all’assenza di professionalità nell’esercizio della disciplina e non all’ardore sportivo. E, ciò, nel precipuo senso che chi esercita l’attività sportiva su basi professionali, meglio sa conformare la propria condotta al rispetto delle regole del gioco, mentre l’ansia di risultato, “costituisce “l’in sé”dell’agonismo” e a sua volta rappresenta l’anima dell’attività sportiva, anche di quella amatoriale (G. Marra), cosicché non si esclude che il predetto ardore possa permeare l’attività con intensità ben maggiore rispetto a ciò che il semplice termine “amichevole” possa far supporre (Cass. civ., sez. VI, 09.02.2023, n. 3959).
Conclusioni
Per riassumere, l’attività sportiva violenta costituisce reato quando:
* si violano le regole della disciplina sportiva praticata;
* l’uso della forza è spropositato in rapporto al tipo di sport e alla natura della gara (superamento del cosiddetto rischio consentito).
In definitiva, quindi, l’esercizio di una disciplina sportiva, soprattutto in occasione di gare di maggior rilievo, che implichi l’uso necessario (es. pugilato, lotta, ecc.) o anche solo eventuale (calcio, rugby, pallacanestro, pallavolo, pallanuoto, ecc.) della forza fisica, costituisce un’attività rischiosa consentita dall’ordinamento, a condizione che il rischio sia controbilanciato da adeguate misure cautelari, sia sotto forma di regole precauzionali che dall’imposizione di obblighi di cure e trattamento a carico delle società sportive operanti. Ovviamente, la causa escludente dell’antigiuridicità in disamina non estende la propria copertura alle azioni violente dolose poste al di fuori dell’azione di gioco, a quelle non finalizzate alla predetta azione e neppure a quelle condotte che appaiono sproporzionate ex ante, in quanto immediatamente percepibile la lesività delle stesse.
Per di più, nelle ipotesi di attività sportive a violenza necessaria, come il pugilato, le regole cautelari e disciplinari debbono essere osservate con ossequioso rispetto, onde tutelare l’incolumità degli atleti (basti pensare, sempre nel pugilato, ai colpi vietati – sotto la cintola, sulla nuca con il contendente al tappeto, o dopo che l’arbitro ne ha constato l’incapacità di difendersi).
[1] I reati che si configurano sono quelli di lesioni personali dolose (art. 582 c.p.), colpose (art. 590 c.p.), omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.), omicidio colposo (art. 589 c.p.). [2] La condotta viene “tollerata” grazie alla rilevanza costituzionale dell’attività sportiva, quale strumento importante per la realizzazione della personalità dell’individuo. [3] In base alla teoria della ”azione socialmente adeguata”, la condotta sportiva violenta viene inserita tra le cause di giustificazione (c.d. scriminanti) tacite, ossia quelle non ricomprese tra le fattispecie codificate dal codice penale (artt. 50 ss. c.p.). [4] Ricorre la figura dell’eccesso colposo ex 55 c.p.. [5] A tal proposito la Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 19473 del 23.5.05, ha giudicato colposa (e non dolosa) la condanna di un calciatore che aveva sferrato una gomitata (a causa di un salto scomposto) nel fianco dell’avversario, causandogli gravi problemi alla milza.Cass. pen. n. 33577/06.
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