Milano-Investigatore Privato-Agenzia Invetigativa Milano- Perivate- Costi, Tariffario Prezzi, Listino, Chi è un investigatore privato. Agenia Investigativa IDFOX Since 1991-

 

Milano-Investigatore Privato-Agenzia Invetigativa Milano- Perivate- Costi, Tariffario Prezzi, Listino,

 

Chi è un investigatore privato

L’investigatore privato è una figura professionale che si occupa di svolgere indagini in diversi ambiti. Ingaggiato da vari clienti, il suo compito è quello di fornire risposte a domande solitamente complesse in situazioni delicate. Questo professionista deve operare rispettando la legge, mantenendosi quindi in un regime di legalità, e tutelando la privacy degli agenti coinvolti. La licenza per poter svolgere questa attività viene rilasciata dal Prefetto. Nel caso in cui la Legge fosse infranta nel corso delle indagini, infatti, egli verrà punito penalmente. La normativa cui fare riferimento è il DM 269/10.

Per diventare un investigatore privato, la fase della formazione è di estrema importanza. Un investigatore alle prime armi ha prima di tutto il compito di documentare e archiviare casi e prove; questo gli permette di studiare nei dettagli le strategie d’azione legali.

 

 

IDFOX -Internation  Detective Fox -Since 1991- è un’agenzia investigativa -organizzazione internazionale –  – Leader nella tecnologia piu avanzata e tra le prime al mondo in Global  Investigation & Intelligence.

I nostri clienti, multinazionali, manager -studi legali e svariati  professionisti, ci apprezzano per la riservatezza ed i risultati conseguiti.

La nostra organizzazione  ci permette di soddisfare al meglio le esigenze dei nostri Assistiti; siamo operavi in oltre 170 paesi nel mondo e collegati online con circa 400 agenzia investigative regolarmente autorizzate nei rispettivi paesi.

Garantiamo competenze ,riservatezza  e risultati operativi sia in Italia che all’estero.

 

Il team dell’agenzia IDFOX è formato da ex appartenenti alle Forze di Polizia, e vari consulenti informatici e ctu i quali si avvalgono di mezzi e tecniche sempre all’avanguardia e al passo con le nuove tecnologie, vantando conoscenze approfondite e certificate nel campo dell’intelligence. L’agenzia investigativa IDFOX fornisce documentazioni valide per uso legale, tra le quali: perizie e relazioni tecniche; servizi di osservazione documentati con foto e video ed e’ specializzata nella fornitura dei sottonotati servizi investigativi:

 

Investigazioni Aziendali, Private, Legali, Antifrode assicurativa, Informatiche, Forensi. Investigatore antifrode, Sorveglianza, Difesa Penale, Investigazioni Aziendali, Due Diligence e sorveglianza investigativa è essenzialmente un’indagine condotta da un investigatore privato specializzato nella raccolta di prove attraverso l’osservazione in sinergia con l potenza dei localizzatori GPS all’avanguardia per fornire soluzioni senza precedenti per le esigenze di investigazione e sorveglianza privata.

 

 

Quando le investigazioni private sono legali?

Le attività svolte da un’agenzia investigativa privata vengono affidate a veri professionisti del settore che agiscono in condizioni di legalità. Per questo è preferibile affidarsi a degli esperti e non improvvisarsi detective, incorrendo nel rischio di denunce o infrazioni di vario genere. Vediamo insieme come lavora un investigatore privato e quali sono i requisiti per ottenere la licenza per poterle svolgere nel pieno della legalità.

 

Come lavora un detective privato

Sebbene sia richiesta una gran parte di lavoro sul campo, una delle doti che un investigatore privato deve avere è quella dell’ascolto. Una parte fondamentale di questa attività, infatti, è quella di comprendere al meglio la storia complessiva, le esigenze e gli obiettivi di ogni cliente. Solo così è possibile lavorare correttamente e iniziare a ricostruire la storia in ogni sua parte. Ciascuna informazione deve essere trattata con la massima riservatezza per rispettare la privacy del cliente e degli agenti coinvolti.

 

 

 

Cerchi un investigatore privato? Sei al posto giusto!!!!!!!!!!!,

indagini aziendali, private, difensive, informatiche, commerciali bancarie ; qualunque sia la Tua necessità, la nostra direzione  è pronto a incontratati  e studiare insieme le strategie d’indagine, per condividere obiettivi, necessità e costi.

 

 

 

 

 

Grazie all’esperienza ultra trentennale , IDOFX Investigation   è un’agenzia investigativa in grado di indagare ogni questione con il massimo della riservatezza.

 

 

Quanto costa un servizio investigativa?

 

TARIFFARIO  INVESTIGATORE PRIVATO? – COSTI AGENZIA INVESTIGATIVA?

la tariffa oraria applicata ad una investigazione privata ha un costo che varia da € 40.00 a € 90.00 , oltre  e viene stabilita nella fase preliminare, insieme al Cliente, in base ai servizi investigativi richiesti.  La nostra consulenza iniziale  è sempre gratuita. La tariffe e le spese vengono trascritte e sottoscritte nell’incarico conferito con il Cliente che viene, comunque, consegnato una copia del Mandato

 

 

 

QUANTO COSTA UN INVESTIGATORE PRIVATO?

Formulare i costi di un’agenzia investigativa è molto complicato. La consulenza preliminare con il cliente per studiare insieme un piano di azione e per l’elaborazione di un preventivo; comunque   le tariffe non variano solo per la tipologia dei servizi richiesti ma anche sulla base di quanto quell’indagine sia fattibile ed in base alle difficolta’.

 

 

INVESTIGAZIONI PRIVATE COSTI

Il budget  investigativo è definito in base alla disponibilità del  Cliente dovrà sostenere:  per definire azioni, tempi e modalità. Comunque al termine  delle indagini verrà rilasciato un dettagliato report per eventuale uso legale.

 

 

 

 

 

 

 

 

COME DIVENTARE DETECTIVE PRIVATO, SCOPRI COME SI DIVENTA INVESTIGATORE PRIVATO

Il detective privato è da sempre un mestiere circondato di un’aura di mistero e fascino:

come nei telefilm…qualcuno racconta  che da piccolo restava incollato davanti alla tv a guardare Perry Mason ecc.,  forse il tuo sogno nel cassetto era quello di diventare un poliziotto e risolvere casi intricatissimi, oppure semplicemente le storie di investigazione  private sono le uniche che riescono a tenerti con il fiato sospeso e a farti passare ore immerso nella trama… qualsiasi sia il tuo caso, praticamente la realtà e completamente diversa dai telefilm.

 

Come si diventa detective  privato o investigatrice privata?

 

Investigatore privato titolare di licenza;

Agente investigativo?

come diventare un investigatore privato?

Investigatore privato requisiti:

-aver conseguito una laurea triennale in scienze politiche, giurisprudenza o equipollente;

-aver lavorato con profitto per almeno tre anni in una agenzia investigativa;

-aver svolto un corso di perfezionamento teorico – pratico;

-non aver riportato condanne penali per delitti non colposi.

-Se in possesso di questi requisiti, è possibile effettuare la richiesta alla prefettura territorialmente competente per ottenere l’apposita licenza.

-Si tratta della licenza di Pubblica Sicurezza, che è personale e assolutamente non cedibile. Inoltre, al momento della richiesta, è consigliabile disporre già dei locali in cui avrà sede per aprire un’agenzia investigativa.

 

 

COME DIVENTARE AGENTE INVESTIGATIVO

Più semplice l’iter per quanto riguarda gli agenti investigativi, i quali devono essere in possesso solo dell’ultimo requisito, ovvero non devono aver riportato condanne penali per delitti non colposi in ambito civile e in sede giudiziale. Il titolare di agenzia può quindi assumere un agente investigativo ed affidargli incarichi.

 

Cosa fa un investigatore privato? Che cosa significa svolgere questo lavoro?

Quanto costa un investigatore privato e di cosa si occupa? Quando viene assunto, il detective ha il compito di archiviare e documentare ogni prova: appostamenti, pedinamenti, fotografie e ogni sorta di materiale raccolto nel corso delle indagini. Ciò, verrà infine analizzato e studiato accuratamente al fine di fornire un dettagliato report

Per uso legale.

 

Prima di iniziare le attività di indagini l’investigatore privato dovrà:

 

-effettuare un sopralluogo nei pressi delle attività da svolgere;

-svolgere le indagini sul posto ;

-raccogliere e documentare  cio’ che avviene o fa il target ;

Attività professionale: ambiti di operatività; indagini per privati cittadini e per aziende.

Chi è e cosa fa l’investigatore privato? L’attività svolta dal professionista è legittima e utilizzabile nelle aule dei tribunali? Che valenza ha la sua testimonianza in udienza? Per conoscere le risposte a queste e ad altre domande, leggi le ultime sentenze.

Indice

* Agenzia investigativa: controllo sull’attività del dipendente

* Investigatore privato incaricato dalla società assicurativa

* Testimonianza di un investigatore privato

* Attività svolta dall’investigatore privato prima dell’iscrizione della notizia di reato

* Investigatore privato e notizia di reato

* Investigatore privato: servizio di acquisizione e di elaborazione di dati

* Documenti rinvenuti nel computer di un investigatore privato

* Dichiarazioni rilasciate dall’indagato all’investigatore

* Investigatore privato incaricato dalla compagnia assicuratrice

* Investigatore privato e procedimento penale

* Agenzia investigativa e attendibilità della certificazione medica del lavoratore

* Esercizio della professione di investigatore privato

* Attività dell’investigatore privato: in cosa consiste?

* Investigatore privato e violazioni della deontologia dell’agente immobiliare

* È consentita la relazione dell’investigatore privato nel processo civile?

 

 

Dopo il  Dm 269 del 2010,  “Vademecum Operativo” del Ministero dell’Interno –Investigazione privata, la formazione e  le specializzazioni dei detective privati e’ migliorata  in modo innovativo con svariate specializzazioni con  master universitari:-attività tecnica scientifica, criminologia, le tecniche usate dalla polizia scientifica,  informatica e scienze criminali ecc.

 

C H I     S I A MO

 

Il nostro team di esperti dell’agenzia IDFOX Srl,  parla almeno correttamente  5  lingue: inglese, francese, spagnolo, tedesco ed arabo ed è esperto nelle indagini  private, aziendali, assicurative e finanziarie internazionali ed opera sotto la direzione  dalla Dottoressa Margherita Maiellaro.  La direttrice ha maturato un’esperienza pluriennale nel campo investigativo ed assicurativo ha conseguito una Laurea in Giurisprudenza, con specializzazione in diritto internazionale, presso l’Università Bocconi.

 

L’agenzia investigativa International  Detective Fox ®  “IDFOX Investigazioni “è stata fondata da Max Maiellaro.        Il fondatore, con oltre 30 anni di esperienze investigative maturate nella Polizia di Stato, già diretto collaboratore del Conte Corrado AGUSTA, ex Presidente dell’omonimo Gruppo AGUSTA SpA, è stato inoltre responsabile dei servizi di sicurezza di una multinazionale, nonché presso vari gruppi operanti in svariati settori quale metalmeccanici, chimica, oreficeria, tessile, alta moda, elettronica e grande distribuzione, ha sempre risolto brillantemente ogni problematica investigativa connessa a: infedeltà aziendale, ai beni,  marchi e brevetti, concorrenza sleale e alla difesa intellettuale dei progetti, violazione del patto di non concorrenza, protezione know-how e tutela delle persone e della famiglia, nonché referente abituale di imprenditori, manager, multinazionali e studi Legali su tutto il territorio Italiano ed anche Estero.

 

Contatti, Contacts

 

Agency IDFOX SRL -p.iva 09741640966

www.idfox.it  max@idfox.it

Autorizzazione  134 of the T.U.L.P.S.  n. 9277/12B15E – Area Osp.1

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Sede/uffici:   – via Luigi Razza n.4, 20124 – Milano, Italy

Siamo – a 30 metri dalla fermata MM3 Repubblica (uscita via Vittor Pisani) – Tram 9, 29/30   – Tram 1, 5  – a 300 mt dalla Stazione Centrale (MM3-GIALLA) (siamo a 100 mt dall’hotel Principe di Savoia, hotel Gallia ed hotel The Westin Palace Milan-Italy)

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SENTNZE INVESTIGATORE PRIVATO E “GIURISPRUDENZA INVESTIGAZIONI PRIVATE” 

 

Giurisprudenza investigazioni private: regolamento investigazioni private (DL 269/2010),codice deontologico, sentenze del Garante Privacy e della Corte di Cassazione.  rassegna di leggi, regolamenti e sentenze, interessante per investigatori privati e loro clienti.

Giurisprudenza investigazioni private: leggi e regolamenti.

* Regolamento del Ministero dell’ Interno per le attività di investigazione privata

* Codice deontologico per le investigazioni a carattere legale o giudiziario

* Codice di condotta per il trattamento dei dati personali in materia di informazioni commerciali

* Confini della privacy

* Regolamento UE 2016/679 sul trattamento dati personali per finalità di informazioni commerciali

* Informativa in pdf sul trattamento dati personali ai sensi del Reg. UE 2016/679

* Segreto professionale degli investigatori privati

* Gratuito patrocinio per investigazioni private processuali

* Inquadramento previdenziale degli investigatori privati

 

 

Di seguito riportiamo alcune sentenze investigazioni private-Infedeltà

 

 

 1-Il datore di lavoro può ricorrere ad un’agenzia investigativa per accertare le cause dell’assenza dal luogo di lavoro e, quindi, il mancato svolgimento dell’attività lavorativa da parte del dipendente. È la conclusione a cui è giunta la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 8373 pubblicata il 4 aprile scorso. Quando è legittimato, in sostanza, il datore di lavoro a rivolgersi ad un’agenzia investigativa?

* La Cassazione ha di fatto, precisato che l’art. 2 dello Statuto dei lavoratori non preclude all’azienda di chiedere l’intervento dell’agenzia investigativa, purché questa “non sconfini nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria riservata dall’art. 3 dello Statuto direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori e giustifichi l’intervento in questione non solo per l’avvenuta prospettazione di illeciti e per l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (cfr. Cass. 14.2.2011 n. 3590)”.

* Le garanzie dei sopra citati articoli dello Statuto dei Lavoratori, si legge ancora nella sentenza, “operano esclusivamente con riferimento all’esecuzione dell’attività lavorativa in senso stretto, non estendendosi, invece, agli eventuali comportamenti illeciti commessi dal lavoratore in occasione dello svolgimento della prestazione che possono essere liberamente accertati dal personale di vigilanza o da terzi”.

* “Orbene – spiega la Cassazione nel respingere il ricorso dell’ex dipendente licenziato per giusta causa – nella fattispecie il convincimento della Corte territoriale si è basato sull’esito di un’attività investigativa, oggetto anche di prova testimoniale degli investigatori, rientrante nei poteri di controllo datoriale, in quanto esercitata in luoghi pubblici, onde è stato accertato, per 10 giorni, non solo il mancato rispetto dell’orario giornaliero di lavoro ma anche che, in orario di lavoro, al di fuori dell’ufficio, il dipendente non aveva svolto alcuna attività lavorativa”.

* Secondo i giudici di merito, nel caso in oggetto, l’attività degli investigatori rientrava quindi tra i poteri di controllo del datore di lavoro in quanto esercitata in luoghi pubblici. La Suprema Corte ha, quindi, condiviso la decisione della Corte d’appello secondo la quale il controllo effettuato dagli investigatori non era finalizzato ad accertare le modalità dell’adempimento dell’obbligazione lavorativa bensì “le cause dell’assenza del dipendente dal luogo di lavoro concernenti appunto il mancato svolgimento dell’attività lavorativa da compiersi anche all’esterno della struttura aziendale”.

 

 

 

 

 

Privacy-GDPR: Investigatore privato e controlli aziendali: obblighi privacy da osservare (Cass., Sez. lav., 28378/23)

Il CASO

Una società avviava dei controlli investigativi sospettando che un lavoratore, poi licenziato, distraesse ore di lavoro per attività non inerenti ovvero in concorrenza o comunque incompatibili con gli obiettivi aziendali, in quanto era solito operare all’esterno sempre senza divisa e senza esporre il badge.

Ormai è pacifico che in ambito lavorativo le prove possano essere raccolte anche da investigatori privati: “Quanto poi alle indagini investigative, va premesso che nel caso dei cc.dd. controlli difensivi, svolti a mezzo di impianti tecnologici, questa Corte ha escluso l’applicabilità della L. n. 300 del 1970, art. 4, qualora siano “finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purchè sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto” (Cass. 22/09/2021, n. 25732).

Tali controlli, tuttavia, nondevono sconfinare nella vigilanza della prestazione lavorativa vera e propria: “I controlli del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa, riguardanti l’attività lavorativa del prestatore svolta anche al di fuori dei locali aziendali, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3 st. lav.” (Cass. ord. 11/06/2018, n. 15094).

Per quanto riguarda il trattamento dei dati personali raccolti dall’investigatore, la Corte individua dei precisi requisiti di forma non osservati i quali le prove raccolte non sono utilizzabili in giudizio: “L’indicazione del nominativo dei soggetti che in concreto hanno eseguito le indagini, se non riconducibili alla società di investigazione che ha ricevuto l’incarico, è un requisito di validità e di liceità di tali indagini e di utilizzabilità del relativo esito, pur se demandate a soggetto all’uopo dotato delle necessarie autorizzazioni amministrative. […] Tale mancanza inficia il mandato e comporta, di conseguenza, l’inutilizzabilità, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, comma 2, dei dati raccolti da soggetti non legittimati a farlo”.

 

LA SENTENZA INTEGRALE

Cassazione civile, Sez. lavoro, Sent. del 11/10/2023, n. 28378

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PANARIELLO Francescopaolo – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 21502/2020 r.g. proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in C.so V. Emanuele II n. 209, Roma, presso avv. Luca Silvestri, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ernesto Maria Cirillo, e Francesco Cirillo;

– ricorrente –

contro

Telecom Italia Spa in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Viale Carso n. 71, Roma, presso avv. Nicola Pagnotta, rappresentato e difeso dagli avv.ti Angelo Chiello, Cesare Pozzoli, Francaesco Sibani;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 458/2020 pubblicata in data 23/06/2020, n.r.g. 16/2020;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Francescopaolo Panariello;

Udita la discussione del P.G., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Paola Filippi, che ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.

Udita la discussione dei difensori delle parti in pubblica udienza.

Svolgimento del processo

1.- A.A. era stato dipendente di Telecom Italia Spa fino al (Omissis), quando gli era stato intimato il licenziamento per ragioni disciplinari oggetto della previa contestazione del (Omissis).

Il dipendente impugnava il licenziamento, deducendone la nullità per ritorsività del motivo, ovvero per il suo carattere discriminatorio rispetto alla sanzione conservativa applicata al collega B.B. per vicenda disciplinare coeva e identica; in subordine l’illegittimità per manifesta insussistenza del fatto posto a base del recesso ovvero perchè il fatto rientrava fra le condotte punibili con sanzione conservativa; in ulteriore subordine l’illegittimità per sproporzione tra infrazione e sanzione, con conseguente tutela indennitario-risarcitoria.

  1. Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale di Milano, a conclusione della fase sommaria, accoglieva la domanda principale e ordinava la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro.

L’opposizione proposta da Telecom Italia Spa era rigettata ed il Tribunale condannava altresì la società a risarcire al ricorrente il danno liquidato in misura pari alle retribuzioni maturate dal licenziamento all’effettiva reintegrazione sulla base della retribuzione mensile di Euro 2.350,73.

  1. Proposto reclamo dalla società, la Corte d’Appello accoglieva il gravame, respingeva tutte le domande dell’ex dipendente e lo condannava a restituire quanto in ipotesi percepito in esecuzione della sentenza di primo grado.

Per quanto rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:

  1. a) in fatto va premesso che il A.A., nel periodo in esame (da (Omissis)), era inquadrato nel V livello ccnl telefonia, con mansioni di tecnico “on field” impianti e servizi, aveva come base la centrale Telecom in (Omissis), operando nella zona di (Omissis); quale tecnico “on field”, egli non faceva riferimento ad una specifica sede di lavoro, ma partiva dal proprio domicilio e dalla centrale di ricovero dell’automezzo sociale e poi iniziava l’attività presso il cliente o sul primo impianto sul quale era chiamato ad operare;
  2. b) la contestazione disciplinare ha ad oggetto la falsa attestazione di tempi e modi di esecuzione delle attività lavorative a lui assegnate, lo svolgimento di un complessivo orario di lavoro inferiore a quello contrattualmente dovuto senza alcuna riduzione corrispondente della retribuzione, l’essersi dedicato durante l’orario di lavoro ad incombenze legate alla sfera personale di interessi e comunque estranee all’attività lavorativa; nella contestazione sono analiticamente riportati i giorni e gli episodi in cui tali condotte sono state tenute;
  3. c) i motivi di impugnazione, da esaminare congiuntamente, sono volti a contrastare la tesi – accolta dal Tribunale – della sussistenza di plurimi e concordanti elementi presuntivi idonei a provare la ritorsività del licenziamento, quali:

– la volontà di punire il lavoratore che aveva avviato un terzo contenzioso nei confronti della società;

– l’abusivo ricorso a controlli investigativi disposti nei suoi confronti, con conseguente inutilizzabilità dei fatti emersi al loro esito;

– il differente e ingiustificato trattamento subito dal A.A. rispetto al collega B.B., punito con sanzione conservativa, nonostante l’identità delle posizioni e delle contestazioni disciplinari;

– l’intimazione del licenziamento quando il Tribunale non si era ancora pronunziato sulla causa relativa alla c.d. franchigia, mentre la sanzione conservativa dell’B.B. era stata comminata due giorni dopo la sentenza con cui il Tribunale aveva rigettato la domanda dei lavoratori relativa alla c.d. franchigia, ossia quando era ormai certo il risultato negativo per i lavoratori e favorevole alla società;

  1. d) in particolare l’abusività del ricorso al controllo investigativo è stato desunta dal Tribunale dalla concomitanza fra l’inizio del pedinamento ((Omissis)) e la prima udienza di discussione ((Omissis)) del ricorso promosso per la c.d. franchigia e comunque dal breve lasso di tempo intercorso fra la notifica del ricorso e la scelta di conferire l’incarico all’agenzia investigativa;
  2. e) ad avviso del Tribunale, la scelta della società è da qualificare come reazione ingiusta ed arbitraria ad un comportamento legittimo del lavoratore considerato sgradito perchè “disturbatore”;
  3. f) questa tesi non può essere condivisa, per varie ragioni:

– il ricorso del (Omissis) era stato proposto dal A.A. insieme ad B.B. e ad altri quattro lavoratori ed ineriva ad un contenzioso seriale, già avviato sia in (Omissis), sia presso altri fori sin dal 2015, da circa una quarantina di dipendenti; l’esito di questo contenzioso era stato complessivamente sfavorevole ai dipendenti, perchè solo due giudizi (non dinanzi al Tribunale di Milano) avevano avuto esito favorevole per i ricorrenti; dunque l’azione promossa dal A.A. non presentava un rischio di particolare gravità;

– i controlli investigativi sono stati avviati solo nei confronti di A.A. e B.B., il che indebolisce la tesi dell’intento punitivo, visto che i dipendenti che avevano proposto quel ricorso per la c.d. franchigia erano in tutto sei;

– il riferimento ai precedenti ricorsi promossi dal A.A. non è convincente, atteso che quello del (Omissis) per il riconoscimento del 5 livello era terminato con una conciliazione, sicchè non è plausibile una reazione a distanza di sette anni; quello del (Omissis) era stato un ricorso amministrativo tramite (Omissis) per una questione tariffaria del valore di circa 500 Euro conclusosi anch’esso con una conciliazione, sicchè non è verosimile che abbia ingenerato nella società un risentimento così forte da spingerla a licenziare il dipendente circa tredici mesi dopo;

– il contrasto con l’ufficio del personale alla fine del (Omissis) in tema di godimento di permessi del (Omissis) si è risolto senza alcuna vertenza e quindi rientrava nelle ordinarie dinamiche di gestione del rapporto di lavoro;

– i controlli investigativi sono stati avviati anche nei confronti di B.B., il quale non risulta avesse avuto precedenti contenziosi con la società;

– la scelta del momento in cui iniziare il pedinamento è stata autonomamente assunta dalla società incaricata, estranea al contenzioso, sicchè è del tutto irrilevante il fatto che quel pedinamento sia iniziato proprio il giorno prima della prima udienza del ricorso relativo alla c.d. franchigia;

– è peraltro significativo il fatto che la società abbia attivato il controllo investigativo non immediatamente dopo la ricezione della notifica del ricorso, bensì tre mesi dopo;

  1. g) la società ha motivato la richiesta di controlli investigativi sospettando che fossero distratte ore di lavoro per attività non inerenti ovvero in concorrenza o comunque incompatibili con gli obiettivi aziendali, in quanto il A.A. era solito operare all’esterno sempre senza divisa e senza esporre il badge, pur essendo ciò invece richiesto dalla società; tale giustificazione, esposta anche nel mandato investigativo, è plausibile;
  2. h) infatti, che i controlli investigativi siano stati avviati per identica ragione anche nei confronti di B.B., il quale a sua volta operava senza divisa, ma non pure nei confronti del collega C.C., che invece indossava sempre la divisa, e il fatto che pure il C.C., con B.B. e A.A., avesse promosso la causa sulla c.d. franchigia sono tutti elementi che inducono a ritenere ragionevole il motivo addotto dalla società per iniziare i controlli investigativi e tolgono ulteriormente rilevanza al contenzioso sulla c.d. franchigia quale possibile elemento presuntivo di ritorsività;
  3. i) sulla legittimità delle indagini investigative si richiama il principio di diritto affermato da Cass. n. 4670/2019;
  4. j) quanto all’asserito ingiustificato peggior trattamento sanzionatorio del A.A. rispetto a quello riservato ad B.B., nonostante l’asserita identità delle contestazioni disciplinari, va considerato che, sul piano quantitativo, le false attestazioni del A.A. sono state 17, mentre quelle di B.B. erano state 9; inoltre, nel corso del procedimento disciplinare B.B., che lavorava in parte da remoto, a differenza del A.A. che operava solo all’esterno, aveva fornito una dettagliata ricostruzione delle modalità di svolgimento dei suoi incarichi, indicando sia il nominativo dei colleghi in grado di confermare le sue affermazioni, sia idonea documentazione, tanto da ridimensionare la gravità degli addebiti a lui mossi; invece il A.A. non ha fornito alcuna giustificazione delle condotte, ma si era limitato a riconoscere che i tempi di gestione non erano coerenti con quanto da lui dichiarato ed aveva affermato solo di aver “allungato” le tempistiche, cosa invece non esatta, in quanto gli addebiti comprendevano anche mancate esecuzioni di incarichi assegnati, rispetto ai quali il lavoratore nulla aveva replicato;
  5. k) quindi il comportamento del A.A. è stato complessivamente più grave di quello del collega B.B. e tanto giustifica il diverso trattamento sanzionatorio;
  6. l) quanto ai diversi tempi di adozione del provvedimento disciplinare, questa si giustifica per il fatto che la sanzione doveva essere adottata entro dieci giorni dalle giustificazioni e in entrambi i casi ciò è avvenuto entro due giorni da quello dell’incontro; il fatto che la sanzione per B.B. sia intervenuta dopo l’esito del ricorso è solo dovuto alle due diverse date di avvio dei due procedimenti disciplinari ((Omissis) per il A.A.; (Omissis) per B.B.), a sua volta dovute ai diversi momenti in cui erano terminate le rispettive investigazioni ed erano pervenute alla società le relazioni;
  7. m) dunque una volta ritenuti legittimi i controlli investigativi e quindi utilizzabili i loro esiti, dall’istruttoria svolta è emersa la fondatezza degli addebiti, come peraltro affermato per inciso anche dal Tribunale;
  8. n) la nullità del licenziamento va esclusa qualora concorra un motivo lecito di recesso, mancando in tal caso il necessario carattere determinate del motivo illecito ex art. 1345 c.c., che potrà essere affermato solo nel caso in cui il motivo addotto a sostegno del licenziamento risulti solo formale ed apparente (Cass. n. 9468/2019);
  9. o) le deposizioni testimoniali hanno confermato tutti gli addebiti, relativi alle WR (incarichi da svolgersi all’esterno), per i quali il A.A. non è stato in grado di fornire dati concreti, coerenti e convincenti, preferendo richiamare solo imprecisate esigenze tecniche;
  10. p) nessuna giustificazione il lavoratore inoltre ha dato in ordine alle diverse incombenze, di natura personale, svolte durante l’orario di lavoro;
  11. q) dunque il A.A., abusando dell’autonomia organizzativa propria della posizione ricoperta, attestava in maniera non veritiera l’inizio e/o il termine della prestazione giornaliera, facendo così risultare un numero di ore di gran lunga superiore a quelle effettivamente svolte;
  12. r) gli addebiti mossi, risultati tutti sussistenti, sono di gravità tale da far venir meno il rapporto fiduciario, anche in considerazione del fatto che trattandosi di un lavoratore la cui attività si svolgeva quasi esclusivamente all’esterno, da lui ci si attendeva un elevato livello di affidabilità, serietà e coscienziosità; era infatti lui che, compilando autonomamente le schede sul sistema informatico, riportava gli orari di presa in carico e di termine della WR, il rispetto delle tempistiche e l’attuazione o meno dell’intervento richiesto;
  13. s) l’eccezione di genericità della contestazione disciplinare è infondata, atteso che la lettera contiene un’analitica e completa esposizione dei fatti, con specificazione delle date, dei codici e del tipo di lavorazioni interessate, gli orari appuntati sul sistema informatico e quelli effettivamente rilevati dall’investigatore.

4.- Avverso tale sentenza A.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a dodici motivi.

5.- Telecom Italia Spa ha resistito con controricorso.

6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), il ricorrente lamenta la nullità del procedimento per violazione del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, nonchè delle linee guida della Presidenza della Corte d’Appello di Milano, per avere la società depositato note scritte non limitate alle sole conclusioni, bensì vere e proprie note difensive non autorizzate, contenenti peraltro due documenti allegati, sui quali non è stato garantito il contraddittorio, come invece previsto dalle predette linee guida.

Assume che in alcune parti della sentenza la Corte d’Appello si sarebbe basata proprio su quelle note difensive non autorizzate e sui documenti così tardivamente depositati, come ad esempio a pag. 16, laddove si era riferita al provvedimento del Garante per la privacy n. 8 del 09/01/2020 e lo aveva ritenuto inapplicabile perchè riguardante non il sistema “WFM” utilizzato all’epoca dei fatti, bensì il nuovo sistema “nWFM”.

Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione fra le parti, a causa dell’omessa considerazione dell’inutilizzabilità e/o inammissibilità dei dati estratti dal sistema WFP determinata sia dal fatto che quel sistema rappresentava un controllo a distanza, sia dalla mancata prova della necessaria informativa al lavoratore L. n. 300 del 1970, ex art. 4, comma 3.

Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” della L. n. 300 del 1970, art. 4, artt. 2119, 2014 e 2106 c.c., del D.Lgs. n. 196 del 2003, vigente al tempo dei fatti, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., per non avere la Corte territoriale considerato applicabile la L. n. 300 del 1970, art. 4.

I tre motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

Con riguardo al primo, l’eventuale violazione del contraddittorio relativo a quel profilo controverso – l’essere il sistema WFM destinato oppure no al controllo a distanza della prestazione lavorativa – è irrilevante, poichè la Corte d’Appello ha motivato soprattutto sul fatto che era lo stesso tecnico ad inserire nel sistema informatico tempi e modalità di esecuzione della sua prestazione lavorativa (v. supra sub r). La condotta oggetto di contestazione disciplinare è consistita nell’aver inserito nel sistema informatico dati falsi, ossia non rispondenti al vero.

Ne deriva che quel sistema WFM nel presente giudizio rileva non come sistema del datore di lavoro per effettuare un controllo sulla prestazione lavorativa, ma come mezzo adoperato dal dipendente per fornire al datore di lavoro dati falsi.

L’ulteriore conseguenza è l’irrilevanza del provvedimento del garante datato 09/01/2020 e, dunque, l’evidente superfluità della motivazione della Corte territoriale sul punto (pur volendo prescindere dalla considerazione per cui l’inapplicabilità di quel provvedimento ratione temporis è desumibile dalla collocazione temporale – anno (Omissis) – delle condotte contestate in via disciplinare).

Quindi, nessun rilievo effettivo hanno avuto quelle note e quei documenti sul convincimento della Corte territoriale, sicchè l’asserita violazione del contraddittorio è stata solo formale, ma non ha comportato alcun effettivo pregiudizio al diritto di difesa del A.A., nè ha avuto reale incidenza sulla decisione del gravame da parte dei giudici del reclamo.

Anche il secondo ed il terzo motivo sono infondati.

Va premesso che il lavoratore non ha mai eccepito di non sapere adoperare il sistema WFM o di essere caduto in errore nel suo utilizzo o di non aver digitato quei dati tecnici (che non attengono alla dignità e alla riservatezza del dipendente), utilizzati dalla società nella contestazione disciplinare, ma si è limitato ad una difesa meramente formale, volta a negare di aver ricevuto le informazioni relative al sistema WFM invece necessarie ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 4, comma 3.

Ciò esclude che sussista una causa di inutilizzabilità di quei dati, forniti dallo stesso lavoratore, dal momento che essi rilevano non quale esito di un controllo a distanza della prestazione lavorativa, bensì come elementi da raffrontare con l’esito delle indagini investigative. A ben vedere, quegli elementi integrano proprio gran parte delle condotte disciplinarmente rilevanti, sicchè non è pertinente il richiamo alla L. n. 300 del 1970, art. 4.

Quanto poi alle indagini investigative, va premesso che nel caso dei cc.dd. controlli difensivi, svolti a mezzo di impianti tecnologici, questa Corte ha escluso l’applicabilità della L. n. 300 del 1970, art. 4, qualora siano “finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purchè sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto” (Cass. 22/09/2021, n. 25732).

A tal riguardo si è precisato che “spetta al datore l’onere di allegare, prima, e di provare, poi, le specifiche circostanze che l’hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico “ex post”, sia perchè solo il predetto sospetto consente l’azione datoriale fuori del perimetro di applicazione diretta dell’art. 4 st. lav., sia perchè, in via generale, incombe sul datore, L. n. 604 del 1966, ex art. 5, la dimostrazione del complesso degli elementi che giustificano il licenziamento” (Cass. 26/06/2023, n. 18168).

Orbene, che nel caso di specie vi fosse un “fondato sospetto” lo ha accertato la Corte territoriale (v. supra, sub g) senza che sul punto sia stata mossa censura alcuna da parte del ricorrente. Dunque esattamente i giudici d’appello hanno ritenuto adempiuti i predetti oneri datoriali.

Le medesime considerazioni consentono di escludere l’applicabilità anche della L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3. Questa Corte ha già affermato che “Le disposizioni dell’art. 2 dello statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative, purchè queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 dello statuto direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione” (Cass. 14/02/2011, n. 3590). Dunque “I controlli del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa, riguardanti l’attività lavorativa del prestatore svolta anche al di fuori dei locali aziendali, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3 st. lav.” (Cass. ord. 11/06/2018, n. 15094).

Ciò è quanto ricorre nel caso di specie: come accertato dalla Corte territoriale, la condotta tenuta dal A.A. è stata connotata da frode idonea a conseguire indebiti arricchimenti a danno della società datrice di lavoro. Dunque si è trattato di comportamenti fraudolenti fonti di danno per la società datrice di lavoro.

Con ulteriore deduzione – sviluppata dal ricorrente nella sua memoria – il ricorrente sostiene che il sospetto che aveva giustificato l’avvio di indagini cc.dd. difensive era per eventuali atti di concorrenza compiuti dal dipendente, sicchè – a suo dire – una volta che quelle indagini avevano dato esito negativo si sarebbero dovute arrestare o comunque non avrebbero potuto investire altri comportamenti del lavoratore, nè tantomeno risolversi in controlli sulla prestazione lavorativa, pena l’inutilizzabilità dei dati raccolti.

Anche tale deduzione è infondata.

Il sospetto – oggettivamente sussistente e giustificato – consente l’avvio delle indagini investigative e la loro legittimità, ma non ne limita affatto l’oggetto. Certo questo non può sconfinare in controlli sulla prestazione lavorativa, che non possono essere affidati a terzi estranei all’organizzazione datoriale (L. n. 300 del 1970, art. 3). Ma nel caso in esame non si è verificato questo sconfinamento, atteso che i comportamenti scoperti a seguito delle predette indagini hanno avuto ad oggetto prestazioni rese in favore di terzi (non in concorrenza con Telecom Italia) durante l’orario di lavoro o per scopi estranei all’attività di impresa datoriale. Quindi gli esiti di quelle indagini sono stati utilizzati dalla datrice di lavoro non per controllare la prestazione lavorativa (anche sotto il profilo della sua esattezza), bensì per accertare prima e dimostrare poi le falsità integranti “artifici e raggiri” tipici di un vero e proprio reato (truffa), posto in essere dal dipendente nel momento in cui trasmetteva i dati attraverso il sistema WFM. Inammissibile, infine, è il motivo nella parte in cui si denunzia la “violazione e falsa applicazione” di tutto il D.Lgs. n. 196 del 2003, per evidente ed assoluta genericità (o aspecificità), non avendo il ricorrente indicato quale delle varie norme contenute nel predetto testo normativo sarebbe stata asseritamente violata dalla Corte territoriale. Come questa Corte ha precisato, “In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa” (Cass. sez. un. 28/10/2020, n. 23745).

2.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto storico determinate ai fini della decisione e oggetto di discussione fra le parti. In particolare addebita alla Corte territoriale l’omessa considerazione della mancata indicazione, nel mandato investigativo, dei nominativi degli investigatori delegati all’esecuzione delle indagini.

Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 2119 c.c., L. n. 300 del 1970, artt. 2, 3, 4, 8 e 18, D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 11 e 12, art. 8 del relativo allegato A.6, artt. 2, 3, 13, 14 e 15 Cost., sul diritto alla riservatezza, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., come conseguenza dell’omesso esame oggetto del quarto motivo.

I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati.

L’indicazione del nominativo dei soggetti che in concreto hanno eseguito le indagini, se non riconducibili alla società di investigazione che ha ricevuto l’incarico, è un requisito di validità e di liceità di tali indagini e di utilizzabilità del relativo esito, pur se demandate a soggetto all’uopo dotato delle necessarie autorizzazioni amministrative (nella specie Sicuritalia Spa per la quale peraltro il ricorrente ha contestato nei vari gradi di giudizio il possesso delle predette autorizzazioni, contestazioni poi tradotte nell’ottavo motivo).

Nel caso di specie dagli atti del giudizio di primo grado, riportati anche dal ricorrente, risulta che l’autore materiale del pedinamento (tale D.D.) dichiarò in sede di deposizione testimoniale di lavorare per E.E. Investigazioni.

Questo fatto è rilevante. E’ vero che – come ammesso pure dal ricorrente – in sede di opposizione Telecom Italia Spa produsse la lettera di incarico a Sicuritalia Spa in cui vi era l’espressa clausola (1.4.) che autorizzava quest’ultima società ad “avvalersi della collaborazione operativa di agenti della Società del Gruppo E.E. Investigazioni Srl … mantenendo sempre la governance, il coordinamento operativo e l’attività di reporting finale” (v. ricorso per cassazione, p. 30).

Tuttavia è altresì vero che, come lamenta il ricorrente, nel medesimo mandato investigativo all’art. 2 era previsto che, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, qualora Sicuritalia si fosse avvalsa di altri investigatori privati esterni alla propria struttura, avrebbe dovuto indicare i relativi nominativi in calce all’atto di incarico.

Invece, l’indicazione dei nominativi degli investigatori D.D. e F.F., collaboratori di E.E. Investigazioni, è mancata sia ab origine, sia ex post in calce al mandato ricevuto.

Tale mancanza inficia il mandato e comporta, di conseguenza, l’inutilizzabilità, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, comma 2, dei dati raccolti da soggetti non legittimati a farlo. In tal senso è l’autorizzazione n. 6/2016 del Garante per la protezione dei dati personali, registro dei provvedimenti n. 528 del 15/12/2016, invocata dal ricorrente a pag. 43 della memoria nella fase di opposizione del giudizio di primo grado (v. ricorso per cassazione, pp. 30-31), in cui è previsto che “l’investigatore privato deve eseguire personalmente l’incarico ricevuto e non può avvalersi di altri investigatori non indicati nominativamente all’atto del conferimento dell’incarico oppure successivamente in calce a esso qualora tale possibilità sia stata prevista nell’atto di incarico”.

Nello stesso senso, ancora più in generale, è l’art. 8, comma 4, del provvedimento del garante n. 60 del 06/11/2008, allegato A.6 al D.Lgs. n. 196 del 2003 – REGOLE DEONTOLOGICHE RELATIVE AI TRATTAMENTI DI DATI PERSONALI EFFETTUATI PER SVOLGERE INVESTIGAZIONI DIFENSIVE O PER FARE VALERE O DIFENDERE UN DIRITTO IN SEDE GIUDIZIARIA (indicato e richiamato nello stesso art. 2 dell’incarico investigativo conferito a Sicuritalia come riportato dal ricorrente: v. ricorso per cassazione, p. 30). In particolare, l’art. 8 cit. dispone:

“1. L’investigatore privato organizza il trattamento anche non automatizzato dei dati personali secondo le modalità di cui all’art. 2, comma 1.

  1. L’investigatore privato non può intraprendere di propria iniziativa investigazioni, ricerche o altre forme di raccolta dei dati. Tali attività possono essere eseguite esclusivamente sulla base di apposito incarico conferito per iscritto e solo per le finalità di cui al presente codice.
  2. L’atto d’incarico deve menzionare in maniera specifica il diritto che si intende esercitare in sede giudiziaria, ovvero il procedimento penale al quale l’investigazione è collegata, nonchè i principali elementi di fatto che giustificano l’investigazione e il termine ragionevole entro cui questa deve essere conclusa.
  3. L’investigatore privato deve eseguire personalmente l’incarico ricevuto e può avvalersi solo di altri investigatori privati indicati nominativamente all’atto del conferimento dell’incarico, oppure successivamente in calce a esso qualora tale possibilità sia stata prevista nell’atto di incarico. Restano ferme le prescrizioni relative al trattamento dei dati sensibili contenute in atti autorizzativi del Garante.
  4. Nel caso in cui si avvalga di collaboratori interni designati quali responsabili o incaricati del trattamento in conformità a quanto previsto dagli artt. 29 e 30 del Codice, l’investigatore privato formula concrete indicazioni in ordine alle modalità da osservare e vigila, con cadenza almeno settimanale, sulla puntuale osservanza delle norme di legge e delle istruzioni impartite. Tali soggetti possono avere accesso ai soli dati strettamente pertinenti alla collaborazione a essi richiesta.
  5. Il difensore o il soggetto che ha conferito l’incarico devono essere informati periodicamente dell’andamento dell’investigazione, anche al fine di permettere loro una valutazione tempestiva circa le determinazioni da adottare riguardo all’esercizio del diritto in sede giudiziaria o al diritto alla prova”.

Sulla valenza “normativa” delle prescrizioni contenute nei codici deontologici non può esservi dubbio. Essa è conferita dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 12, che ne prevede anche un regime di pubblicità sulla Gazzetta Ufficiale (comma 2) e prescrive il relativo rispetto come “condizione essenziale per la liceità e correttezza del trattamento dei dati personali effettuato da soggetti privati e pubblici” (comma 3). La qualificazione giuridica in termini di “illiceità” del trattamento qualora non rispettoso delle regole conformative dettate dai predetti codici, infatti, implica necessariamente la natura normativa (e inderogabile) della fonte violata.

La medesima forza normativa è ora riconosciuta ai predetti codici dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 2-quater, comma 4, introdotto dal D.Lgs. n. 101 del 2018, contenente “Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)”.

Il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 12 – e oggi dall’art. 2 quater, comma 4 del medesimo D.Lgs. – si desume allora la natura normativa di tali codici, che vanno qualificati esattamente come “fonti normative integrative”. In tal senso si è già pronunziata questa Corte (Cass. 06/06/2014, n. 12834 in materia di conflitto tra riservatezza, attività giornalistica e diritto di cronaca “fotografica”).

Ne consegue che per tali codici vale il principio iura novit curia, sicchè il giudice deve individuarli e farne applicazione a prescindere dalla loro invocazione dalla parte interessata. Ulteriore conseguenza è la loro invocabilità con ricorso per cassazione sub specie di “violazione o falsa applicazione di norma di diritto”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) Sul piano delle conseguenze, la violazione di tali codici determina l’inutilizzabilità dei dati in tal modo raccolti. In tal senso dispone lil D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, comma 2, vigente ratione temporis: “I dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati”.

Tale norma è stata poi abrogata dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, che, con l’art. 2, l’ha sostituita con l’art. 2-decies contenente identica formulazione, con l’unica aggiunta della salvezza di quanto previsto dal D.Lgs. n. 196 cit., art. 160 bis (quest’ultimo pure introdotto nell’anno 2018) A sua volta l’art. 160 bis dispone: “La validità, l’efficacia e l’utilizzabilità nel procedimento giudiziario di atti, documenti e provvedimenti basati sul trattamento di dati personali non conforme a disposizioni di legge o di Regolamento restano disciplinate dalle pertinenti disposizioni processuali”.

Orbene, a differenza del codice di procedura penale (ad esempio artt. 33 nonies, 62, 64, 141 bis, 191, 195, art. 203, comma 1 bis, art. 357, comma 3 ter etc.), quello di rito civile non prevede espressamente la categoria giuridica della “inutilizzabilità” della prova o di un atto processuale. Da questa lacuna potrebbe dedursi che nel processo civile la predetta clausola (contenuta nel D.Lgs. n. 196 cit., art. 2-decies) implicherebbe la salvezza del potere discrezionale del giudice di decidere caso per caso se il dato (rectius la sua valenza rappresentativa del fatto da provare) sia utilizzabile oppure no ai fini della decisione e, ab imis, se il relativo mezzo di prova chiesto dalla parte sia ammissibile oppure no, prescindendo del tutto dalla illiceità della formazione del dato e del suo trattamento.

D’altro canto potrebbe obiettarsi che, sebbene non espressamente prevista, la categoria della “inutilizzabilità” della prova o dell’atto processuale sarebbe comunque evincibile dal complessivo sistema processuale civile, in quanto desumibile sia dal regime delle preclusioni istruttorie (art. 183 c.p.c., nella formulazione anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. n. 149 del 2022), sia più in generale da quello della nullità degli atti processuali ex art. 157 c.p.c. (secondo cui l’atto nullo non può produrre alcun effetto e, pertanto, non può essere “utilizzato”: Cass. n. 23352/2022, secondo cui nel giudizio di cassazione la procura speciale deve essere rilasciata a margine o in calce al ricorso o al controricorso, atteso il tassativo disposto dell’art. 83 c.p.c., comma 3, che implica necessariamente “l’inutilizzabilità” di atti diversi da quelli suindicati).

A conforto di questa seconda ricostruzione sarebbe possibile invocare la giurisprudenza civile di questa Corte, che ricorre sovente alla categoria dell’inutilizzabilità della prova (Cass. ord. n. 22915/2023, secondo cui l’inosservanza del termine ordinatorio per ottemperare all’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., non comporta “l’inutilizzabilità” a fini probatori della relativa produzione documentale; Cass. ord. n. 2397/2022, secondo cui il disconoscimento della scrittura privata prodotta in giudizio, ove non sia raggiunta la prova della sua provenienza dalla parte che l’ha disconosciuta, determina “l’inutilizzabilità” del documento ai fini della decisione, anche soltanto in termini di fonte di indizi).

Tuttavia, in questa sede non occorre esaminare funditus la questione, poichè la portata della novella del 2018 non rileva ratione temporis nel caso in esame.

Pertanto, trova applicazione il D.Lgs. n. 196 cit., art. 11, nella sua formulazione originaria ed assoluta, ossia senza limiti nè clausole di salvezza, sicchè deve ritenersi che il legislatore abbia inteso imporne un’accezione rilevante sia in sede processuale, sia in sede extraprocessuale.

La tesi, pur sostenuta da parte della dottrina, secondo cui la disciplina del trattamento dei dati sarebbe (anche prima della novella del 2018) “irrilevante” nell’ambito del processo civile, che resterebbe soggetto alle regole sue proprie, non può essere condivisa. La sua conseguenza, infatti, sarebbe l’utilizzabilità di quei dati sia dalle parti per adempiere i propri oneri probatori, sia dal giudice per la sua decisione. Ma in tal modo si finirebbe per porre l’ordinamento in contraddizione con sè stesso, poichè da un lato qualificherebbe quel trattamento dei dati come “illecito”, dall’altro permetterebbe la produzione di quei dati in un giudizio civile, ossia una diffusione altrimenti vietata, ed inoltre consentirebbe alla parte di trarre in tal modo vantaggio da un’attività illecita (con pericolosi effetti incentivanti di tale illecito), ciò che è contrario ai principi generali, fra i quali quello del “giusto processo” ex art. 111 Cost..

Pertanto, il D.Lgs. n. 196 cit., art. 11, nella sua formulazione originaria, va inteso nel senso assoluto di cui si è detto.

Ne consegue che sul piano processuale tale norma preclude non solo alle parti di avvalersi dei predetti dati come mezzo di prova, ma pure al giudice (nella controversia diversa da quella avente ad oggetto il provvedimento del Garante relativo al trattamento dei dati personali) di fondare il proprio convincimento su fatti dimostrati dal dato acquisito in modo non rispettoso delle regole dettate dal legislatore e dai codici deontologici.

D’altronde, questa assolutezza si spiega in chiave “funzionale”: la ratio della norma è quella di scoraggiare la ricerca, l’acquisizione e più in generale il trattamento “abusivi” di dati personali e per realizzare questa funzione il rimedio previsto dal legislatore è quello di impedirne la realizzazione dello scopo (id est la successiva utilizzazione di quei dati).

Nel caso in esame, non essendo stati indicati neppure successivamente (in calce alla lettera di incarico) i nominativi degli investigatori “esterni” di cui si è avvalsa Sicuritalia – come accertato in fatto dalla Corte territoriale -, viene meno l’utilizzabilità (in senso assoluto) della relazione investigativa e dei dati da essa evincibili.

Ne deriva un’ulteriore conseguenza: viene meno la possibilità del raffronto di quei dati con quelli dichiarati dal A.A. nel sistema WFM e, quindi, la possibilità di verificarne la veridicità e, in ultima analisi, di contestarne la falsità mediante il procedimento disciplinare. In tal senso l’inutilizzabilità, proprio perchè “assoluta” (ratione temporis), opera già in fase extraprocessuale e, quindi, sul piano sostanziale nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato come limite al potere datoriale.

L’eccezione della controricorrente di inammissibilità di tale questione, perchè non tempestivamente sollevata dal A.A. nel giudizio di opposizione, è infondata.

Come precisato sul punto dal ricorrente (v. ricorso per cassazione, pp. 30-31) egli in sede di memoria difensiva rispetto all’opposizione proposta dalla società, a pag. 43 aveva puntualmente dedotto la questione. Tale atto processuale è stato ritualmente da lui prodotto (all. E al ricorso per cassazione).

Il giudice di rinvio dovrà pertanto trarne le relative conseguenze, anche sul piano degli oneri probatori, alla luce del seguente principi di diritto:

“1) i codici deontologici di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, hanno natura normativa e pertanto possono e devono essere individuati ed applicati anche d’ufficio dal giudice (iura novit curia);

2) la violazione dei predetti codici deontologici può essere fatta valere con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e determina l’inutilizzabilità dei dati così raccolti;

3) l’inutilizzabilità dei dati raccolti in violazione dei codici deontologici di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, nel periodo anteriore alla novella introdotta dal D.Lgs. n. 101 del 2018, è da intendersi come “assoluta”, quindi rilevante in sede sia processuale che extraprocessuale;

4) tale inutilizzabilità “assoluta” determina l’impossibilità sia per il datore di lavoro di porli a fondamento di una contestazione disciplinare e poi di produrli in giudizio come mezzo di prova, sia per il giudice di merito di porli a fondamento della sua decisione”.

3- Restano pertanto assorbiti:

– il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con cui il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto storico determinante ai fini della decisione e oggetto di discussione fra le parti, ossia l’avvenuto conferimento del mandato investigativo da parte di un soggetto – tale sig. G.G. – privo dei relativi poteri;

– il settimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con cui il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1703 e 2119 c.c., L. n. 300 del 1970, artt. 2, 3, 4, 8 e 18, D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 11 e 12 e del relativo allegato A.6, nonchè degli artt. 2, 3, 13, 14 e 15 Cost., e degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

– l’ottavo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con cui il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto storico determinate ai fini della decisione e oggetto di discussione fra le parti, per avere la Corte territoriale omesso di pronunziare sull’eccepita mancanza, in capo a Securitalia, delle prescritte licenze prefettizie ai sensi dell’art. 134 TULPS e del D.M. n. 269 del 2010;

– il nono motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) con cui il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 134 TULPS e del D.M. n. 269 del 2010, nonchè – nuovamente – del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 11 e 12, artt. 2, 3, 13, 14, e 15 Cost., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto legittime le investigazioni pur in assenza delle necessarie licenze prefettizie;

– il decimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con cui il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” della L. n. 300 del 1970, artt. 2, 3, 4, 8 e 18, art. 45 ccnl telecomunicazioni, nonchè degli 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto legittime le indagini investigative nonostante fossero attinenti all’adempimento della prestazione lavorativa;

– l’undicesimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con cui il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 47 e 48 ccnl telecomunicazioni, artt. 2119 e 2106 c.c., L. n. 183 del 2010, art. 30, L. n. 300 del 1970, art. 18, per avere la Corte territoriale omesso di verificare se gli addebiti disciplinari potessero rientrare nell’ambito di una sanzione conservativa, come invece impone la L. n. 183 cit., art. 30;

– il dodicesimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) con cui il ricorrente lamenta “violazione e falsa” (applicazione) degli artt. 2119, 2106 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 18, artt. 2712 e 2719 c.c., D.Lgs. n. 82 del 2005, artt. 21 e 23 (codice dell’amministrazione digitale), art. 155 c.p.c. (rectius art. 115) e art. 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale fondato la sua decisione anche sugli “estratti della procedura aziendale, registrazione dei dati del badge”, di cui egli aveva contestato l’idoneità rappresentativa dei fatti contestati, sia in relazione all’autenticità, sia in relazione al contenuto, sia in relazione alla riconducibilità di quei dati al lavoratore.

4.- La sentenza della Corte territoriale va pertanto cassata e la causa rinviata alla medesima Corte, in diversa composizione, affinchè decida il merito alla luce dei principi di diritto sopra formulati e regoli le spese processuali, anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi, accoglie il quarto ed il quinto, dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, per la decisione del merito e per la regolamentazione delle spese di tutti i gradi e del presente giudizio di legittimità.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 14 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-La relazione dell’investigatore privato è prova sufficiente per il licenziamento

Confermato dalla Cassazione il provvedimento nei confronti del lavoratore reo di svolgere un altro lavoro mentre è in malattia

* Condotte incompatibili con lo stato di malattia

* La tesi del dipendente

* Dossier investigativo in giudizio

* La decisione della Cassazione

Condotte incompatibili con lo stato di malattia

La vicenda trae origine dal licenziamento di un dipendente, il quale è stato allontanato per giusta causa per aver tenuto, durante l’assenza per malattia, condotte incompatibili con lo stato di salute e comunque pregiudizievoli della sua guarigione. Il lavoratore si è quindi rivolto al Tribunale, che nel corso del procedimento di urgenza ha confermato la validità del provvedimento sanzionatorio. All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale ha invece accolto l’opposizione del lavoratore, ordinando la reintegra del dipendente nell’organico dell’azienda. Quest’ultima ha quindi proposto appello, ottenendo la riforma della sentenza di primo grado. Contro la sentenza di secondo grado è ricorso per Cassazione il lavoratore.

I difensori del lavoratore, oltre a sostenere argomentazioni di natura procedurale, hanno chiesto alla Suprema Corte di annullare la conferma del licenziamento lamentando l’utilizzo, ai fini della decisione dei giudici di appello, del dossier redatto dall’agenzia investigativa incaricata dall’azienda, in quanto il report era stato formalmente disconosciuto dal lavoratore.

Dossier investigativo in giudizio

Il suddetto motivo è stato ritenuto inammissibile in quanto il ricorrente ha sollecitato alla Corte un apprezzamento delle modalità con cui le investigazioni sono state condotte, circostanza riservata al giudice di merito. Il disconoscimento della relazione investigativa da parte del lavoratore, inoltre, non produce un effetto processuale in quanto la relazione è una scrittura privata proveniente da un terzo.

È stato inoltre rilevato che l’investigatore privato incaricato è stato regolarmente escusso durante il procedimento, ed ha deposto attribuendosi la paternità dell’elaborato prodotto in giudizio, il cui contenuto ha confermato nella sua totalità, fornendo quindi al giudice elementi utili per il proprio convincimento.

Il detective ha infatti confermato che il lavoratore, durante la malattia, ha svolto continuativamente l’attività di istruttore di kick boxing, mentre i testi addotti dal lavoratore sono risultati del tutto inattendibili.

Attività lavorativa che era certamente incompatibile con la malattia, in quanto avrebbe pregiudicato o ritardato la guarigione. Circostanza da valutare ex ante, vale a dire nel momento in cui il dipendente era malato e mentre svolgeva altra attività, e che certamente non può essere smentita da una consulenza tecnica eseguita nel corso del giudizio. A ciò si aggiunge che le certificazioni mediche hanno dimostrato un progressivo peggioramento della patologia da cui era gravato il lavoratore (problema alla spalla destra), certamente poco compatibile con l’attività di istruttore di arti marziali.

 

La decisione della Cassazione

Con il provvedimento numero 5002 del 26 febbraio 2024, la sezione lavoro della Suprema Corte ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso del lavoratore, confermando il suo licenziamento e condannandolo anche al pagamento delle spese.

 

 

 

Agenzia investigativa: controllo sull’attività del dipendente

Gli artt. 2,3 e 4 dello Stat. Lav. prevedono dei limiti alla potestà datoriale di controllo dell’attività dei lavoratori. Tuttavia, allo scopo di vigilare sull’attività dei lavoratori a tutela del patrimonio aziendale e per prevenire e reprimere la commissione di fatti illeciti durante la prestazione lavorativa, sono considerati legittimi i controlli ‘occulti’ da parte di investigatori privati incaricati dal datore di lavoro, ma solo a condizione che essi siano finalizzati all’accertamento di illeciti a carico del patrimonio aziendale e non di meri inadempimenti contrattuali. Dunque non solo i controlli possono essere legittimamente organizzati dal datore di lavoro, ma questi può validamente demandarli anche a personale estraneo all’organizzazione aziendale, fermo restando che l’accertamento si svolga con modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti.

 

Corte appello Palermo sez. lav., 15/07/2021, n.936

Investigatore privato incaricato dalla società assicurativa

In materia di truffa assicurativa, le dichiarazioni rilasciate dall’imputato all’investigatore privato incaricato dalla società assicurativa, non essendo dichiarazioni assunte dal difensore dell’indagato nell’esercizio dell’attività investigativa difensiva, sono pienamente utilizzabili, non potendo essere sottoposte alla disciplina ex art. 391 bis c.p.p. in quanto sono inquadrabili come confessioni stragiudiziali e pertanto possono essere utilizzare in dibattimento nel quale entrano mediante la relazione tecnica dell’incaricato dalla compagnia.

Tribunale Udine, 13/07/2021, n.928

 

Testimonianza di un investigatore privato

Grava sulla parte che richiede, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge, l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà (nella specie, l’infedeltà era stata ritenuta comprovata sulla base della testimonianza di un investigatore privato, la cui relazione era stata confermata in udienza, assurgendo al valore di prova piena).

Cassazione civile sez. I, 06/08/2020, n.16735

 

 

Attività svolta dall’investigatore privato prima dell’iscrizione della notizia di reato

In tema di indagini difensive, è legittima ed utilizzabile l’attività svolta da un investigatore privato, prima della iscrizione della notizia di reato, al di fuori dell’ambito applicativo dell’art. 391-nonies c.p.p., atteso che l’attivazione dello statuto codicistico previsto per l’attività investigativa preventiva è rimessa alla volontà del soggetto, avendo natura del tutto facoltativa.

Cassazione penale sez. II, 25/10/2019, n.4152

 

Investigatore privato e notizia di reato

In tema di indagini difensive, è legittima ed utilizzabile l’attività svolta da un investigatore privato, prima della iscrizione della notizia di reato, al di fuori dell’ambito applicativo dell’art. 391-nonies, c.p.p., atteso che l’attivazione dello statuto codicistico previsto per l’attività investigativa preventiva è rimessa alla volontà del soggetto, avendo natura del tutto facoltativa.

Cassazione penale sez. IV, 08/01/2019, n.13110

 

Investigatore privato: servizio di acquisizione e di elaborazione di dati

L’attività di investigatore privato, volta alla produzione di un servizio di acquisizione di dati e di elaborazione degli stessi, va inquadrata ai fini previdenziali ed assistenziali nel settore del commercio, con la conseguenza che chi esercita tale attività deve iscriversi non alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della l. n. 335 del 1995 – non essendo le professioni intellettuali oggetto di detta normativa assimilabili all’attività professionale svolta dall’investigatore privato – ma nella gestione assicurativa degli esercenti le attività commerciali, in applicazione del disposto della lett. d) dell’art. 49 della l. n. 88 del 1989, che, nel classificare ai fini previdenziali ed assistenziali (in forza di una norma generale ed esaustiva della materia, come tale modificabile solo attraverso successive norme speciali) le diverse attività lavorative e nell’includere nel settore terziario quelle commerciali, comprende in esse anche le attività che si concretizzano in una prestazione di servizi.

Cassazione civile sez. lav., 12/01/2018, n.669

 

Documenti rinvenuti nel computer di un investigatore privato

Le garanzie previste dall’art. 103 c.p.p. si applicano esclusivamente nei confronti di colui che rivesta la qualità di difensore o investigatore in forza di specifico mandato conferitogli nelle forme di legge ed a condizione che i predetti soggetti non siano sottoposti a indagine.

(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la decisione con la quale era stata affermata l’utilizzabilità di documenti rinvenuti in un computer in uso da un investigatore privato e sequestrati nell’ambito del procedimento in cui il predetto era indagato).

Cassazione penale sez. VI, 09/11/2018, n.8295

 

Dichiarazioni rilasciate dall’indagato all’investigatore

Il ricorso all’attività di investigazione preventiva prevista dall’art. 391 nonies cod. proc. pen., cui consegue l’attivazione del relativo statuto processuale, è del tutto facoltativa e il conferimento dell’incarico di analizzare la dinamica del sinistro da parte della compagnia assicuratrice all’investigatore privato non soggiace a tale regime.

Si ribadisce inoltre che le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona che assumerà la veste di indagato all‘investigatore delegato non devono essere garantite dalla somministrazione degli avvisi, configurandosi come dichiarazioni extraprocedimentali, sempre utilizzabili in sede processuale, sebbene valutabili secondo le regole che governano il mezzo di prova che le immette nel processo.

Cassazione penale sez. II, 08/06/2018, n.53770

 

L’utilizzo di investigatori privati nei controlli difensivi

Inutilizzabilità assoluta delle risultanze delle indagini se acquisite in violazione della normativa privacy (Cassazione civile, sentenza n. 28378/2023)

 

 

 

  1. I controlli difensivi

I controlli difensivi, ovvero quei controlli volti ad accertare la commissione di condotte illecite da parte di un dipendente, rappresentano una aperta deroga al divieto generale di controllo dei lavoratori stabilito dall’art. 4, L. 300/1970.

Tale deroga è giustificata dalla necessità, per il datore di lavoro, di assicurare la tutela del patrimonio aziendale nel caso di fondati sospetti circa la fedeltà di un proprio dipendente.

I controlli difensivi rappresentano pertanto il risultato di un difficile bilanciamento, da compiere caso per caso, fra gli interessi del lavoratore e quelli del datore di lavoro, sostanzialmente equivalenti.

  1. I fatti

La Società licenziava un dipendente per essersi più volte dedicato durante la prestazione lavorativa “on field” ad attività personali, inserendo dati inesatti nel sistema di registrazione degli orari di lavoro.

Tali contestazioni originavano dal raffronto che la Società aveva condotto fra la reportistica del dipendente e quanto emerso dalle indagini di investigatori privati.

Il licenziamento veniva impugnato di fronte al Tribunale di Milano, il quale accoglieva la tesi del lavoratore e annullava il provvedimento espulsivo della Società poiché ritorsivo, ritenendo pertanto illegittimi i controlli datoriali.

In appello al contrario, non ritenendo i giudici sussistere detto intento ritorsivo, veniva ammesso l’esito delle indagini difensive e conseguentemente confermato il licenziamento.

Avverso tale sentenza, il lavoratore proponeva infine ricorso in Cassazione, sollevando (per la prima volta in questa sede) che il software WFM (Work Force Manager), utilizzato per registrare gli orari lavorativi, fosse in realtà un illegittimo strumento di controllo a distanza, e contestando altresì la violazione delle Regole Deontologiche Privacy sulle investigazioni privati, in quanto non erano presenti nel mandato investigativo i nomi degli investigatori delegati che avevano, nei fatti, compiuto le indagini.

  1. Gli argomenti della Cassazione

Più precisamente, in relazione all’illegittimo utilizzo del software, il lavoratore sollevava la violazione dell’art. 4 L. 300/1970.

Tale norma disciplina il ricorso, da parte del datore di lavoro, a strumenti di controllo indiretto dei lavoratori, stabilendo che le informazioni relative ai lavoratori eventualmente acquisite sono utilizzabili per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a condizione che venga fornita ai dipendenti un’adeguata informativa (comma 3).

Il lavoratore sosteneva quindi l’inutilizzabilità dei dati raccolti dal software, non avendo egli mai ricevuto alcuna informativa.

La Corte rilevava tuttavia che tali dati valessero non come risultanze di un controllo a distanza non autorizzato, bensì come elemento di raffronto con le indagini investigative, emergendo solo allora la condotta illegittima.

Di conseguenza, respingeva la tesi del ricorrente poiché inconferente con il caso in esame.

Diversa, invece, la posizione della Corte rispetto alla violazione delle Regole Deontologiche.

Il lavoratore, infatti, sollevava la violazione dell’art. 8, co. 4, del Codice Deontologico relativo ai trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive (All.6.A, Codice Privacy pre-GDPR).

Tale disposizione prescriveva che l’investigatore incaricato potesse avvalersi nelle indagini solo di delegati indicati nominativamente nel mandato investigativo, oppure aggiunti successivamente in calce a esso.

La Cassazione appurava che, nel caso di specie, seppure il mandato prevedesse la possibilità di avvalersi di investigatori esterni alla Società mandataria, riportandone i nomi in calce, nei fatti – invece – erano stati utilizzati investigatori esterni senza riportare i nominativi, in violazione del contratto ma soprattutto delle Regole Deontologiche.

Tale difetto, seppure di natura prettamente formale, comprometteva però a ritroso la legittimazione dei soggetti che avevano materialmente acquisito le informazioni, determinando l’illegittimità del trattamento e di conseguenza l’inutilizzabilità assoluta delle informazioni stesse. Ciò in forza di quanto prescritto dall’art. 11 del Codice Privacy (vecchia formulazione) che rendeva inutilizzabili i dati acquisiti in violazione della normativa privacy. La Corte di legittimità, ritenendo quindi inammissibili le risultanze delle indagini, giudicava insussistente ab origine il fatto contestato nel procedimento disciplinare.

Interessante, infine, il confronto operato dagli Ermellini fra la vecchia e l’attuale normativa.

L’art. 11 Codice Privacy è stato infatti sostituito nel 2018 dall’art. 2 decies di identica formulazione, ad eccezione del richiamo all’art. 160 bis, che rimanda a sua volta alle pertinenti disposizioni processuali sull’inutilizzabilità della prova in sede giudiziale.

Pur non essendo espressamente prevista nel 2 decies l’inutilizzabilità dei dati nel sistema processuale civile, a parere della Suprema Corte la stessa sarebbe comunque desumibile dal complesso dei principi che lo regolano: corollario di ciò, la conferma della portata dell’inutilizzabilità, come sancita dal precedente Codice Privacy, anche nella nuova normativa.

  1. Conclusioni

Con questa pronuncia la Corte di Cassazione, oltre a rimarcare il valore “normativo” dei Codici Deontologici, ha inteso lanciare un importante monito al datore di lavoro negligente in materia di privacy: nell’ambito dei cd. controlli difensivi, l’ingerenza datoriale trova un limite nel rispetto della dignità e della riservatezza del lavoratore, garantita attraverso un corretto trattamento dei suoi dati personali; pena, l’inutilizzabilità delle risultanze probatorie.

Agenzia investigativa leader in Italia legalmente autorizzata dalla Prefettura di Milano

La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che quando il coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento trova un impiego anche se non a tempo indeterminato nel momento in cui questi sia impiegato in un’attività di lavoro non importa a quale titolo vengono a modificarsi i presupposti in base ai quali il giudice ha originariamente concesso l’assegno di mantenimento. Inoltre se non si verificano modifiche in crescendo del reddito dell’ex coniuge debitore il dovere di mantenimento può venire a mancare. La Corte di Cassazione ha così accolto la richiesta del coniuge debitore facendo venir meno il diritto in capo al creditore

 

Rapporto di lavoro » Corte di Cassazione, sentenza 11 ottobre 2023, n. 28378

Corte di Cassazione, sentenza 11 ottobre 2023, n. 28378

Delegabili le indagini difensive, ma previa indicazione dei nominativi nell’incarico all’agenzia investigativa.

Tipo di Atto: Giurisprudenza di Cassazione

Nell’ambito di una complessa vicenda originata dal licenziamento disciplinare del dipendente di una compagnia telefonica, svolgente la propria attività all’esterno presso i clienti della società, al quale era stato contestato di essersi dedicato in orario di lavoro a incombenze estranee all’attività lavorativa, la Corte d’appello, ribaltando la sentenza di primo grado, aveva riconosciuto la legittimità del provvedimento espulsivo, dando rilievo decisivo agli elementi raccolti da un’agenzia investigativa, su incarico del datore di lavoro, nel corso di una serie di pedinamenti. In cassazione, il lavoratore aveva contestato, tra gli altri, l’utilizzabilità degli esiti dell’indagine investigativa in quanto svolta da agenti dipendenti da un’agenzia diversa da quella incaricata. La Cassazione, nell’accogliere il ricorso, osserva che: (i) dagli atti del giudizio emerge incontestabilmente che l’agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro aveva subappaltato l’esecuzione dei pedinamenti a investigatori privati esterni alla propria struttura; (ii) dai medesimi atti emerge altresì che il mandato investigativo, pur autorizzando l’agenzia investigativa ad avvalersi della collaborazione di soggetti esterni, prevedeva che, in tal caso, essa avrebbe dovuto indicare i relativi nominativi in calce all’atto di incarico, indicazione che è invece mancata nel caso di specie; (iii) si ravvisa dunque un contrasto con l’art. 8 del Codice di deontologia per i trattamenti di dati personali effettuati per lo svolgimento di indagini difensive (all. A.6, d.lgs. 196/03), secondo cui “l’investigatore privato deve eseguire personalmente l’incarico ricevuto e può avvalersi solo di altri investigatori privati indicati nominativamente all’atto del conferimento dell’incarico, oppure successivamente in calce a esso qualora tale possibilità sia stata prevista nell’atto di incarico”; (iv) la violazione di tale regola deontologica – alla quale va riconosciuta valenza normativa e che può pertanto essere individuata e applicata dal giudice anche d’ufficio – comporta l’inutilizzabilità dei dati raccolti nel corso dei pedinamenti, stante il disposto dell’art. 11, co. 2, d.lgs. 169/03, che, nella formulazione vigente all’epoca dei fatti, prevedeva che “i dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati”; (v) si tratta, nello specifico, di una inutilizzabilità assoluta, vincolante anche per il giudice.

 

Tribunale di Roma, Sentenza n. 15385/2021 del 04-10-2021

del resto anche il teste ### (investigatore privato) ricorda di aver visto (date 9-10 marzo 2018) il resistente e l’altra donna scambiarsi effusioni amorose (baci ed abbracci); – del tutto inidonee a scardinare tale quadro probatorio sono poi le dichiarazioni dei testi ### (che riferisce circostanze apprese de relato actoris) e ### (rimanendo irrilevante la circostanza che la teste abbia appreso della relazione solo nell’aprile del 2018). Deve ritenersi pertanto raggiunta la prova della violazione del dovere di fedeltà, cui conseguì l’allontanamento del marito dalla casa coniugale; tanto basta, in assenza di prova di una crisi coniugale antecedente, a ritenere fondata la domanda formulata dalla moglie. Per ciò che concerne i provvedimenti consequenziali, va premesso quale sono nati.

causa n. 25783/2018 R.G. – Giudice/firmatari: D’Auria Daniela, Ienzi Marta

 

Tribunale di Lamezia Terme, Sentenza n. 348/2024 del 15-04-2024

del consulente tecnico di parte e dell’investigatore privato autorizzato”, prevede: “Gli importi spettanti al difensore, all’ausiliario del magistrato, al consulente tecnico di parte e all’investigatore privato autorizzato sono ridotti di un terzo.” In forza di ciò, solo attraverso l’assicurazione del certo sostegno economico del ceto forense, impegnato nel patrocinio a spese dello Stato, esattamente con i compensi quantificati e### lege, si può garantire l’esistenza di una difesa preparata e quantitativamente ben presente nell’intero territorio nazionale, in grado di assistere i non abbienti in regime di patrocinio a spese dello Stato (così testualmente, all’interno del ricorso in atti). ###. ### aveva depositato, unitamente alla richiesta di liquidazione, il proprio prospetto di parcella,

causa n. 163/2024 R.G. – Giudice/firmatari: Garofalo Giovanni

 

 

 

Tribunale di Pescara, Sentenza n. 251/2021 del 27-05-2021

… del 26.6.2018 redatta da ### investigatore privato, è nella fattispecie pienamente utilizzabile non trattandosi, come pacifico, di controllo a distanza del lavoratore sul luogo di lavoro mediante impianti o apparecchiature (cfr. Cass. Sez. L. nn. 15094 del 11/06/2018 rv. 649245 – 01; 25162 del 26/11/2014 rv. 633482 – 01; 3590 del 14/02/2011 rv. 616087; 16196 del 10/07/2009 rv. 609379; 8388 del 12/06/2002 rv. 555005), e non risultando affatto che l’investigatore abbia fatto abusivo ingresso in luoghi di privata dimora, avendo egli, contrariamente a quanto sostenuto dall’opponente, osservato dall’esterno ciò che accadeva negli edifici e locali in cui questi entrava e si tratteneva. 4.1. Da tale relazione, e dalle fotografie ivi allegate, nonché dalla restante documentazione prodotta, già (leggi tutto)…

causa n. 2029/2019 R.G. – Giudice/firmatari: De Cesare Massimo

 

 

Tribunale di Velletri, Sentenza n. 954/2024 del 24-04-2024

… teste escusso in quel procedimento, ### investigatore privato specializzato incaricato dalla ### di effettuare accertamenti di “secondo livello” sull’asserito furto del mezzo – ne consegue, quindi, che risulta smentito l’assunto invece riportato, per quanto sopra rilevato, nella denuncia presentata dalla ### secondo cui la vettura sarebbe stata furtivamente asportata dal parcheggio sottostante la sua abitazione nella notte tra il ### e il ###, trovandosi invero il mezzo, appena cinque giorni prima, in ### e non essendone stato registrato, altresì, in tale assai circoscritto intervallo di tempo, il rientro in ### Non solo, ma come ha specificamente allegato e documentato la ### – con deduzioni e documenti poi richiamati, a ben vedere, anche dall’attrice, a preteso supporto delle sue pretese.

causa n. 8658/2014 R.G. – Giudice/firmatari: Nardi Federica

 

 

 

Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sentenza n. 85/2024 del 10-01-2024

… confermata in udienza dallo stesso investigatore, escusso come teste di parte ricorrente (cfr. dichiarazioni rese dal teste di parte ricorrente, ### all’udienza del 21.05.2021), sicchè assume valore di piena prova (cfr. e### multis, Cass. n. 16735/2020; Cass. n. 24976/2017). Tale assunto risulta ancor più evidente se si considera che sul punto la difesa della resistente è alquanto generica, ma soprattutto contraddittoria. Invero, la ### in sede di interrogatorio formale, ha confermato, sia pur escludendo la sussistenza di una relazione e###traconiugale, di aver trascorso diverse giornate con tale ### di essere stata a casa dello stesso, di aver pernottato fuori casa nel periodo antecedente alla separazione, dichiarando di aver pernottato o presso la scuola di danza o presso la casa.

Investigatore privato pedina moglie infedele, ma viene assolto (Cass.2243/22)

20 gennaio 2022, Cassazione penale

 

 

 

investigatore privato privacy dati personali

Non c’è reato nell’illecito trattamento dei dati personali da parte di una agenzia di investigazione privata se non c’è nocumento della persona offesa:l’articolo art. 167, comma 1, del d.lgs. 196/03 è reato di pericolo concreto, non di pericolo presunto.

La fattispecie di cui all’art. 167, comma 1, relativa alla violazione degli artt. 23 e 24, precedente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 101 del 2018, non è più prevista dalla legge come reato.

Sono penalmente sanzionate, ai sensi dell’art. 167, comma 1, solo le violazioni – purché sorrette dal dolo specifico di trarre per sé o per altri profitto o di recare all’interessato un danno e purché produttive di “nocumento” a quest’ultimo – delle norme relative:

  1. a) al trattamento dei dati relativi al traffico, riguardanti contraenti ed utenti tratti dal fornitore di una rete pubblica di comunicazioni o di un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico (c.d. tabulati, art. 123 del Codice);
  2. b) al trattamento dei dati relativi all’ubicazione, diversi da quelli relativi al traffico, riguardanti i medesimi soggetti (art. 126);
  3. c) alle c.d. comunicazioni indesiderate (art. 130);
  4. d) alle violazioni dei provvedimenti del Garante in tema di inserimento ed utilizzo dei dati personali negli elenchi cartacei od elettronici a disposizione del pubblico (art. 129).

Il novellato art. 167, comma 2, punisce altresì, più gravemente, la violazione delle disposizioni in tema di trattamento dei dati sensibili e dei dati giudiziari, mentre le nuove disposizioni introdotte al comma 3 dell’art. 167 e quelle previste dagli artt. 167 bis e 167 ter prevedono sanzioni penali, rispettivamente, per la violazione delle disposizioni in tema di trasferimento dei dati personali verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale, per la comunicazione e diffusione illecite e per la acquisizione fraudolenta di dati personali oggetto di trattamento su larga scala.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

(data ud. 15/10/2021) 20/01/2022, n. 2243

SENTENZA

P.W., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 13/01/2012 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aldo ACETO;

lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DI NARDO Marilia, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per prescrizione.

Svolgimento del processo

  1. Il sig. P.W. ricorre per l’annullamento della sentenza del 13/01/2021 della Corte di appello di Milano che, rigettando la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena di sei mesi di reclusione inflitta con sentenza dell’11/02/2019 per il reato di cui agli artt. 110 c.p., D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, comma 1, commesso a (OMISSIS) dal 20 marzo 2012 al 7 aprile dello stesso anno.

1.1. Con il primo motivo deduce l’omessa motivazione in merito alla regolare verifica della costituzione delle parti e violazione del D.L. n. 137 del 2020, art. 23 bis, comma 4, sotto il profilo della mancata indicazione delle conclusioni rassegnate per iscritto dalla difesa dell’imputato e regolarmente consegnata via PEC alla Corte di appello e alle altre parti.

1.2. Con il secondo ed il terzo motivo deduce la prescrizione del reato maturata prima della sentenza impugnata che, nell’affermare il contrario, ha violato l’art. 159 c.p., artt. 79 e 484 c.p.p., D.L. n. 80 del 2020, art. 83.

1.3. Con il quarto motivo deduce l’omessa valutazione di una prova decisiva ed, in particolare, della testimonianza di S.G. il quale aveva dichiarato di essere il responsabile del trattamento dei dati ai sensi della normativa sulla tutela della riservatezza.

1.4. Con il quinto motivo deduce l’inesistenza del nocumento della persona offesa, con conseguente insussistenza del delitto di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, comma 1, che e? reato di pericolo concreto, non di pericolo presunto.

1.5. Con il sesto motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 62 bis c.p., sotto il profilo della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche negate per comportamenti processuali ingiustamente definiti come “sleali” dalla Corte di appello.

1.6. Con il settimo motivo deduce l’omessa motivazione in ordine alla mancata applicazione dei doppi benefici.

Motivi della decisione

  1. Il ricorso e? fondato.
  2. Il ricorrente risponde del (residuo) reato di cui all’art. 110 c.p., D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, comma 1, perche?, quale responsabile dell’agenzia investigativa “(OMISSIS)”, in concorso con il committente, aveva effettuato la raccolta e la conservazione dei dati relativi alla moglie di questi senza il consenso della donna e al di fuori dei casi previsti dall’art. 23, art. 24, lett. f), stesso decreto, nonche? oltre i termini stabiliti dal mandato. In particolare, ad insaputa della donna, le aveva scattato fotografie e aveva installato un localizzatore satellitare GPS sulla sua autovettura per il periodo che va dal 20/03/2012 al 02/04/2012, rilevando illecitamente i dati relativi a tutti gli spostamenti della stessa in eccedenza rispetto all’esigenza di consentire al marito committente di tutelare i propri diritti nella causa di separazione; inoltre l’agenzia aveva divulgato tali dati fornendo al committente una copia di tutti i tabulati degli spostamenti e benche? il mandato scadesse il 30/03/2012, le operazioni di rilevazione satellitare ed i pedinamenti erano proseguiti perlomeno fino al 07/04/2012.

3.1. Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che l’odierna parte civile, sig.ra V.Y., aveva denunciato il marito, sig. L.M. che nel corso della causa civile di separazione aveva depositato, tramite i difensori, una memoria ex art. 183 c.p.c., alla quale era stato allegato un report confidenziale redatto dall’agenzia “(OMISSIS) s.r.l.” in cui venivano rappresentati gli spostamenti quotidiani della donna corredati da varie fotografie. A seguito delle indagini preliminari era emerso che l’agenzia svolgeva attivita? autorizzata di investigazioni private con sede secondaria la cui apertura non era stata comunicata.

In occasione dell’accesso alla predetta sede secondaria, gli agenti avevano sorpreso un dipendente, S.G., amministratore di sistema con autorizzazione a trattare i dati personali dei clienti (la cui testimonianza il ricorrente deduce non essere stata valutata nemmeno in primo grado), che stava tentando di distruggere dei documenti attraverso un trita documenti; si trattava dei fogli relativi all’investigazione commissionata dal L. riguardanti al tracciatura del dispositivo GPS per il periodo dal 20/03/2012 al 02/04/2012.

Erano state altresi? acquisite le copie del libro giornale attestanti la ricezione dell’incarico del L. di controllare la figlia e l’ex compagna per il periodo dal 20/03/2012 al 03/04/2012. Nello specifico, il L. aveva incaricato l’agenzia investigativa di localizzare la moglie per un periodo di dieci giorni (dal 20/03/2012 al 03/04/2012) per non piu? di tre ore al giorno, al fine di rilevare un eventuale comportamento non idoneo nei confronti della figlia minore della coppia.

All’esito dell’attivita? investigativa erano state acquisite informazioni sulla vita personale e sentimentale della donna, in particolare circa la frequentazione di un nuovo compagno (il sig. C.C.). Il Tribunale aveva affermato l’illiceita? dell’attivita? investigativa ascritta all’imputato per eccesso del mandato sia perche? la donna era stata pedinata e fotografata anche quando non si trovava in compagnia della figlia, sia perche? l’attivita? era stata posta in essere anche in epoca successiva al periodo richiesto dal cliente, al quale pero? l’agenzia aveva trasmesso il report contenente i dati da lui richiesti salvo trattenere quelli eccedenti il mandato che il dipendente del P. stava distruggendo all’atto dell’accesso della polizia giudiziaria presso la sede secondaria.

3.2. La Corte di appello ha precisato che la documentazione che il S., era intento a distruggere era costituita da 64 fogli, i primi 16 dei quali erano custoditi in una cartelletta denominata “eccedenti” e contenevano i dati relativi alla data del 02/04/2012, i fogli da 17 a 51 si riferivano al periodo dal 24/03/2012 al 02/04/2012, gli altri 13 contenevano informazioni relative alla moglie del committente ed al suo nuovo compagno oltre ad immagini amorose con il C. al tavolino di un bar e fotografie del C. stesso. Era stata altresi? rinvenuta una relazione relativa ad un servizio di pedinamento della V. anche dopo che aveva lasciato la figlia minore in custodia al padre.

3.3. Nel disattendere i rilievi difensivi circa l’insussistenza del fatto, la Corte di appello ha ribadito che il materiale rinvenuto presso la sede secondaria (non autorizzata) dell’agenzia di investigazioni documentava senza alcun ombra di dubbio la violazione del mandato sotto il duplice profilo dell’oggetto e dei limiti temporali. Tale documentazione, annota la Corte di appello, era allegata alla memoria difensiva depositata in tribunale dai difensori del L., Quanto al nocumento arrecato alla V., i Giudice distrettuali affermano che le informazioni sulla relazione della donna con un nuovo compagno sono state utilizzate dall’ex marito nella causa civile di separazione: “tali informazioni – sostiene la Corte di appello – avrebbero sicuramente contribuito ad un trattamento piu? sfavorevole, in sede civile, nei confronti della V.”. Tale nocumento era bene presente nella mente dell’imputato il quale sapeva l’uso che del dossier illegalmente formato avrebbe fatto il committente.

  1. Tanto premesso, e? fondato il terzo motivo di ricorso.

4.1. Il reato per il quale si procede e? punito con la pena della reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi; il tempo necessario a prescrivere e? di sei anni (art. 157 c.p., commi 1 e 2), aumentato di un anno e sei mesi ai sensi dell’art. 161 c.p., comma 2. Trattandosi di reato consumato fino al 07/04/2012, il termine massimo di prescrizione maturava al piu? tardi il 07/10/2019. La Corte di appello, nel disattendere l’eccezione di prescrizione sollevata dall’imputato, ha aggiunto il periodo di sospensione della prescrizione pari ad un anno, due mesi e sei giorni in conseguenza della istanza di messa alla prova (art. 168 ter c.p.), con conseguente slittamento del termine al 13/12/2020, e l’ulteriore termine di sospensione di sessantaquattro giorni di cui al D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, commi 2 e 4, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 40 del 2020, con definitivo slittamento del termine di prescrizione al 15/02/2021.

4.2. A prescindere dalla fondatezza del secondo motivo (in effetti l’imputato non risulta essere stato ammesso alla prova, ne? risulta essere stata adottata l’ordinanza di sospensione del processo), cio? che rileva e? che non sussistevano le condizioni per l’applicazione dell’ulteriore sospensione del termine di sessantaquattro giorni. Come autorevolmente affermato da Sez. U., n. 5292 del 26/11/2020 (dep. 2021), Sanna, Rv. 280432 – 02, la sospensione del termine per complessivi sessantaquattro giorni, prevista dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 4, convertito com modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, si applica ai soli procedimenti la cui udienza sia stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all’11 maggio 2020, nonche? a quelli per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale. La Corte ha escluso che la sospensione della prescrizione possa operare in maniera generalizzata, per tutti i procedimenti pendenti, in quanto la disciplina introdotta dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 4, presuppone che il procedimento abbia subito una effettiva stasi a causa delle misure adottate per arginare la pandemia.

4.3. Nel caso di specie, il processo, definito in primo grado con sentenza dell’11/02/2019, e? stato celebrato in appello per la prima volta all’udienza del 13/01/2021, con conseguente inapplicabilita? dell’ulteriore termine di sospensione di sessantaquattro giorni. Ne consegue che il reato era prescritto prima della data della prima udienza, con conseguente assorbimento delle questioni poste con il primo, secondo, sesto e settimo motivo.

4.4. Il reato, dunque, e? estinto per prescrizione.

4.5. E’ tuttavia necessario verificare, anche alla luce della decisione sulle statuizioni civili, se sussistano cause di proscioglimento nel merito piu? favorevoli all’imputato.

  1. Al riguardo e? fondato (ed assorbente) il quinto motivo.

5.1. Va in primo luogo precisato che il reato di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, comma 1, non e? proprio del titolare e responsabile del trattamento dei dati, me e? reato comune che puo? essere commesso da “chiunque”. Nel caso di specie, e? incontestato che il ricorrente aveva avuto mandato dal L. di pedinare la ex-moglie in quanto titolare dell’agenzia investigativa, ne? questi ha mai dedotto che la violazione del mandato fosse ascrivibile ad autonoma iniziativa di un dipendente posta in essere a sua insaputa. In nessun passaggio dell’atto di appello si rivendica l’estraneita? dell’imputato allo specifico fatto a lui ascritto, con conseguente irrilevanza della questione dedotta.

5.2. Il quarto motivo e? percio? del tutto infondato. E’ invece fondato, come detto, il quinto motivo.

5.3. Il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 167, comma 1, intitolato “Trattamento illecito dei dati”, nella versione vigente “pro-tempore”, sanzionava la condotta di chi, al fine di trarne profitto per se? o per altri o di recare ad altri un danno, procedeva al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli artt. 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’art. 129 “se dal fatto deriva nocumento”.

5.4. Per “nocumento” deve intendersi un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura patrimoniale o non patrimoniale, subito dalla persona alla quale si riferiscono i dati o le informazioni protetti (cosi?, Sez. 3, n. 30134 del 28/05/2004, Barone, Rv. 229472; Sez. 5, n. 51089 del 12/05/2014, Rv. 261726; Sez. 3, n. 23798 del 24/05/2012, n.m. sul punto; Sez. 5, n. 17744 del 16/01/2009, Rv. 243601 – 01; cfr. altresi? Sez. 5, n. 44940 del 28/09/2011, Rv. 251448), ovvero da terzi (Sez. 3, n. 17215 del 17/02/2011, Rv. 249991; Sez. 3, n. 7504 del 16/07/2013 Rv. 259261 – 01).

Il nocumento puo? anche coincidere, nei fatti, con il cd. “danno-evento” di matrice civilistica ma non e? giuridicamente sovrapponibile ad esso e soprattutto non va confuso con il cd. “danno-conseguenza” risarcibile ai sensi dell’art. 185 c.p., artt. 2043 e 2059 c.c.. Come bene ed articolatamente spiegato da Sez. 3, n. 23798 del 2012, cit., il “nocumento” assolve alla funzione di dare “effettivita?” alla tutela della riservatezza dei dati personali ed ha un suo nucleo di dannosità? che e? certamente meno ampio di quello civilistico e non puo? essere confuso con esso.

5.5. La giurisprudenza piu? recente ha condivisibilmente affermato che il nocumento previsto dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 167, costituisce per la sua omogeneita? rispetto all’interesse leso, e la sua diretta derivazione causale dalla condotta tipica – un elemento costitutivo del reato, non una condizione oggettiva di punibilita? (Sez. 3, n. 15221 del 23/11/2016, dep. 2017, Rv. 270056 – 01; Sez. 3, n. 40103 del 05/02/2015, Rv. 264798 – 01). Ne? e? stata trattata la conseguenza che la produzione in un giudizio civile di documenti contenenti dati personali, ancorche? effettuata al di fuori dei limiti del corretto esercizio del diritto di difesa, non integra il nocumento all’interessato che permette di configurare il reato di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 167, in assenza di elementi fattuali oggettivamente indicativi di una effettiva lesione dell’interesse protetto, trattandosi di informazioni la cui cognizione e? normalmente riservata ai soli soggetti professionalmente coinvolti nella vicenda processuale sui quali incombe un obbligo di riservatezza (Sez. 3, n. 23808 del 29/03/2019, Rv. 275648 – 01; cfr., altresi?, Sez. 3, n. 35553 dell’11/05/2017, Rv. 271240 – 01, secondo cui non configura il reato di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, la produzione di un CD contenente foto e filmati ritraenti altre persone nel corso di un giudizio civile – nella specie di separazione personale dei coniugi -, in quanto tale condotta non costituisce una forma di “diffusione”, bensi? di “comunicazione” di dati destinata a circolare e ad essere conosciuta tra persone determinate).

5.6. Il D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, recante “Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonche? alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)”, ha profondamente modificato i Codice in materia di protezione dei dati personali.

5.7. Il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, non ne e? rimasto indenne.

Attualmente il comma 1 cosi? recita: “Salvo che il fatto costituisca piu? grave reato, chiunque, al fine di trarre per se? o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, operando in violazione di quanto disposto dagli artt. 123, 126 e 130, o dal provvedimento di cui all’art. 129, arreca nocumento all’interessato, e? punito con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi”; il comma 2 prevede che “salvo che il fatto costituisca piu? grave reato, chiunque, al fine di trarre per se? o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trattamento dei dati personali di cui agli artt. 9 e 10 del Regolamento ((UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016) in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 2 sexies e 2 octies, o delle misure di garanzia di cui all’art. 2 septies, ovvero operando in violazione delle misure adottate ai sensi dell’art. 2 quinquiesdecies, arreca nocumento all’interessato, e? punito con la reclusione da un atto a tre anni”; il comma 3 stabilisce che “Salvo che il fatto costituisca piu? grave reato, la pena di cui al comma 2 si applica altresi? a chiunque, al fine di trarre per se? o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trasferimento dei dati personali verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale al di fuori dei casi consentiti ai sensi degli artt. 45, 46 o 49 del Regolamento, arreca nocumento all’interessato”.

5.8. Nella nuova formulazione dell’art. 167, comma 1, il “nocumento” costituisce l’evento cagionato dalla condotta di dolosa violazione “di quanto disposto dagli artt. 123, 126 e 130 o dal provvedimento di cui all’art. 129”; sparisce dalla fattispecie incriminatrice ogni riferimento al D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 18, 19, 23 e 130. Le relative sottoclassi di condotta poste in essere in violazione delle predette norme sono strutturalmente estranee alla nuova fattispecie.

Resta, nel comma 1, il riferimento agli artt. 123, 126 e 130, la cui violazione, pero?, non e? contestata dalla rubrica e che non hanno alcuna attinenza con il caso di specie. L’imputazione, come visto, ipotizzava la violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 23, art. 24, lett. f), entrambi abrogati dal D.Lgs n. 101 del 2018. L’art. 24, lett. f), in particolare, escludeva la necessita? del consenso dell’interessato quando il trattamento, “con esclusione della diffusione, (fosse) necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla L. 7 dicembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati (fossero) trattati esclusivamente per tali finalita? e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale”.

5.9. L’art. 9 del Regolamento (UE) 2016/679, stabilisce al p.1 il divieto, in assenza di consenso dell’interessato, di trattare dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonche? trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona. Il p.2 elenca le eccezioni al divieto indicando, alla lettera f), la necessita? di “accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorita? giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali”.

5.10. Il reato di cui al novellato D.Lgs. n. 196 Cit., art. 167, comma 2, sanziona la condotta di chi arreca nocumento all’interessato procedendo al trattamento dei dati di cui agli artt. 9 e 10 del regolamento in violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 2 sexies e 2 octies, o delle misure di garanzia di cui all’art. 2 septies, D.Lgs. cit.. La fattispecie prevedeva, quale modalita? alternativa della condotta, anche la violazione delle misure adottate ai sensi dell’art. 2 quinquiesdecies, articolo abrogato, pero?, dal D.L. 8 ottobre 2021, n. 139, art. 9, comma 1, lett. c), emanato nella more della stesura della presente motivazione e convertito, con modificazioni, dalla L. 3 dicembre 2021, n. 205, che ha soppresso le parole “ovvero operando in violazione delle misure additate ai sensi dell’art. 2 quinquiesdecies” di cui alla seconda parte del comma 2 dell’art. 167 cit..

5.11. Anche il delitto di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, comma 2, il “nocumento” costituisce evento del reato; oggetto materiale della condotta, pero?, sono solo i dati di cui agli artt. 9 e 10 del regolamento e cioe?, quelli che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonche dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona (art. 9), e quelli relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza (art 10). Il divieto di trattare i dati personali indicati dall’art. 9 non si applica quando si tratti di “accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziale o ogniqualvolta le autorita? giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali”.

5.12. Ai fini dell’integrazione del reato, la violazione pura e semplice del divieto di trattamento non e? sufficiente; e? altresi? necessario che essa avvenga in violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 2 sexies e 2 octies, o delle misure di garanzia di cui all’art. 2 septies, D.Lgs. cit..

5.13. L’art 2 sexies disciplina il trattamento dei dati per motivi di interesse pubblico e stabilisce che “i trattamenti delle categorie particolari di dati personali di cui all’art. 9, paragrafo 1, del Regolamento, necessari per motivi di interesse pubblico rilevante ai sensi del paragrafo 2, lett. g), del medesimo articolo, sono ammessi qualora siano previsti dal diritto dell’Unione europea ovvero, nell’ordinamento intero, da disposizioni di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento che specifichino i tipi di dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e il motivo di interesse pubblico rilevante, nonche? le misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato”. Il comma 2 della norma elenca i casi nei quali si considera rilevante l’interessa pubblico relativo a trattamenti effettuati da soggetti che svolgono compiti di interesse pubblico o connessi all’esercizio di pubblici poteri nelle seguenti materie. Il comma 3 stabilisce che “per i dati genetici, biometrici e relativi alla salute il trattamento avviene comunque nel rispetto di quanto previsto dall’art. 2 septies”.

5.14. Le misure di garanzia di cui all’art. 2 septies, riguardano, anticipato, solo i dati genetici, biometrici e relativi alla salute, non anche quelli relativi alla vita sessuale delle persone.

5.16. Sono espressamente escluse dalla nuova fattispecie incriminatrice, quali modalita? esecutive della condotta, le violazione delle regole deontologiche approvate dal Garante ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 2 quater, e dettate, per i trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, con provvedimento del Garante n. 512 del 19/12/2018 allegato al Codice in materia di protezione dei dati personali con D.M. 15 marzo 2019.

5.17. In precedenza, il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 24, (abrogato dal D.Lgs. n. 101 del 2018, art. 27, comma 1, lett. a) escludeva la necessita? del consenso dell’interessato quando il trattamento era “necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla L. 7 dicembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalita? e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale” (lett. f). L’editto accusatorio (e la sentenza di condanna) si basano proprio sulla violazione dei limiti entro i quali poter lecitamente trattare i dati in assenza di consenso.

5.18. Ance il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 2 quater, comma 4, afferma che “Il rispetto delle disposizioni contenute nelle regole deontologiche di cui al comma 1 costituisce condizione essenziale per la liceita? e la correttezza del trattamento dei dati personali”. Tuttavia, la violazione dell’art. 2 quater, integra l’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 166, comma 2, e non costituisce modalita? esecutiva tipica del delitto di cui all’art. 167, comma 2, stesso Decreto.

5.19. Peraltro, la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 2 sexies e 2 octies, e delle misure di garanzia di cui all’art. 2 septies, non e? di per se? sufficiente ai fini dell’integrazione del reato di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, comma 2: e? altresi? necessario che la condotta arrechi nocumento all’interessato e che sia posta in essere allo scopo di trarre per se? o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato. In mancanza di questi ulteriori elementi, la mera violazione delle regole di condotta integra l’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 166, comma 2.

5.20. In conclusione, deve affermarsi che la sottofattispecie di reato di cui all’art. 166, comma 1, relativa alla violazione degli artt. 23 e 24, precedente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 101 del 2018, non e? piu? prevista dalla legge come reato. Ne? la condotta posta in essere dall’imputato e? prevista come reato dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, comma 2.

5.21. Del resto, come gia? affermato da Sez. F, n. 40140 del 2019, “il D.Lgs. n. 101 del 2018, ha considerevolmente ridotto l’ambito della risposta sanzionatoria penale: il nuovo testo dell’art. 167 – che nei due commi della precedente formulazione sanzionatoria anche la violazione delle disposizioni, oggi abrogata, di cui agli artt. 18, 19, 23 (comma 1), 17, 20, 21, 22, 26, 27 e 45 (comma 2) – ha tenuto ferma la rilevanza penale solo di alcuni specifici comportamenti. In particolare, continuano ad essere penalmente sanzionate, ai sensi dell’art. 167, comma 1, solo le violazioni – purche? sorretta dal dolo specifico di trarre per se? o per altri profitto, o di recare all’interessato un danno, e purche? produttive di “nocumento” a quest’ultimo – delle norme relative al trattamento dei dati relativi al traffico, riguardanti contraenti ed utenti tratti dal fornitore di una rete pubblica di comunicazioni o di un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico (cd. tabulati, art. 123 del Codice); al trattamento dei dati relativi all’ubicazione, diversi da quelli relativi al traffico, riguardanti i medesimi soggetti (art, 126); alle cd. comunicazioni indesiderate (art. 130); nonche? le violazioni dei provvedimenti del Garante in tema di inserimento ed utilizzo dei dati personali negli elenchi cartacei o elettronici a disposizione del pubblico (art. 129). Il novellato art. 167, comma 2, punisce altresi?, piu? gravemente, la violazione delle disposizioni in tema di trattamento dei dati sensibili e dei dati giudiziari, mentre le nuove disposizioni introdotte al comma 3, dell’art. 167, all’art. 167 bis e all’art. 167 ter prevedono, rispettivamente, sanzioni penali per la violazione delle disposizioni in tema di trasferimento dei dati personali verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale, in tema di comunicazione e diffusione illecite, e di acquisizione fraudolenta, di un archivio automatizzato o di una sua parte sostanziale, che contenga dati personali oggetto di trattamento su larga scala” (nello stesso senso, Sez. 5, n. 3050 del 17/12/2020, dep. 2021, n.m.).

5.22. Nell’ambito degli illeciti amministrativi introditti dall’art. 83 del Regolamento rientra la violazione dei principi di base del trattamento, comprese le condizioni relative al consenso, a norma degli artt. 5, 6, 7 e 9, che in precedenza erano penalmente sanzionate dal D.Lgs. n. 296 del 2003, art. 167, comma 1.

5.23. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perche? il fatto non e? piu? previsto dalla legge come reato, con conseguente revoca delle statuizioni civili di condanna, fermo restando il diritto della parte civile di agire “ex novo” nella sede naturale, per il risarcimento del danno da fatto illecito (Sez. U., n. 46688 del 29/09/2016, Rv. 267884 – 01).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche? il fatto non e? previsto dalla legge come reato. Revoca le statuizioni civili.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita? e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Conclusione

Cosi? deciso in Roma, il 15 ottobre 2021. Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

 

 

 

DIRITTO DI FAMIGLIA

LE FOTO DELL’INVESTIGATORE PRIVATO SONO PROVA VALIDA PER DIMOSTRARE L’INFEDELTÀ CONIUGALE

(A cura dell’Avv. Maria Zaccara )

La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 4038/2024 pubblicata in data 14 febbraio 2024 ha confermato che le foto dell’investigatore privato costituiscono una valida prova per dimostrare l’infedeltà coniugale.

Il procedimento portato all’attenzione dei giudici di legittimità trae origine dalla sentenza di separazione del Tribunale di Trani che, in accoglimento della domanda formulata dal marito, addebitava la separazione alla moglie a causa del di lei tradimento, documentato dalla relazione e dalle fotografie di un investigatore privato.

La moglie proponeva ricorso in Appello ma i Giudici di merito confermavano la pronuncia di addebito.

La moglie, allora, adiva il terzo grado di giudizio.

Per quanto oggi di interesse, la moglie lamentava che i Giudici di secondo grado avevano ritenuto provata l’asserita violazione dell’obbligo di fedeltà da parte della stessa attribuendo, del tutto illegittimamente, rilevanza probatoria alle relazioni investigative prodotte dal marito.

La ricorrente in particolare, assumeva che le relazioni investigative costituirebbero prova solo a condizione che l’investigatore venga escusso nel contradditorio tra le parti, ed invece, nel caso di specie, l’investigatore non era mai stato sentito come teste nel corso del giudizio, pertanto, alcuna valenza probatoria poteva ascriversi alle relazioni investigative.

In aggiunta, la ricorrente lamentava che la motivazione della sentenza impugnata non era congrua, perché il Giudice di secondo grado, si sarebbe limitato ad affermare che “ove anche lo scritto anonimo e le relazioni investigative prodotte dall’uomo non assurgessero al ruolo di prova, stanti contrapposti orientamenti giurisprudenziali per cui talora sono reputate prove atipiche, talaltra presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. ovvero meri argomenti di prova, e nelle più recenti sentenze della Cassazione, prove a tutti gli effetti (purché l’investigatore venga escusso nel contraddittorio fra le parti e dettagli gli episodi riportati in perizia), il Tribunale di Trani ha adottato una parabola motivazionale logica e ricettiva della circolarità di tutti gli elementi emersi nel corso della corposa istruttoria espletata in quel grado di giudizio”, senza soffermarsi, tuttavia, su detti elementi.

Tale motivazione costituirebbe un’ipotesi di motivazione per relationem, ritenuta inammissibile.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile tali motivi.

Gli Ermellini ritengono che la censura in esame investe non un fatto inteso in senso storico e avente valenza decisiva, ma elementi probatori suscettibili di valutazione, come appunto la relazione investigativa, rientrante tra le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell’articolo 116 c.p.c., di cui il giudice è legittimato ad avvalersi, atteso che nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova.

Nella specie, la relazione scritta e redatta da un investigatore privato è stata utilizzata correttamente dai giudici di merito come prova atipica, avente valore indiziario, ossia è stata valutata unitamente ad altri elementi di prova ritualmente acquisiti.

Inoltre, viene rimarcato che la relazione investigativa era formata anche da materiale fotografico, la cui utilizzabilità ai fini decisori è espressamente riconosciuta dall’articolo 2712 c.c., anche in presenza di disconoscimento della parte contro la quale il materiale fotografico viene prodotto.

Ciò significa che, neppure il disconoscimento esclude l’autonoma valutazione della veridicità di detto materiale fotografico da parte del giudice, mediante ricorso ad altri mezzi probatori.

Il disconoscimento delle fotografie non produce gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall’articolo 215, secondo comma, c.p.c., perché mentre questo preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.

Pertanto, le doglianze relative alla relazione investigativa, oltre ad essere impropriamente formulate perché non concernenti un fatto storico, neppure sono pertinenti nel senso che si è precisato.

Alla luce delle suddette motivazioni la Corte ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente alle spese.

 

 

 

 

 

 

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La relazione investigativa diretta a dimostrare l’infedeltà coniugale rientra tra le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell’ art. 116 c.p.c., di cui il giudice è legittimato ad avvalersi, atteso che nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova. In particolare, le eventuali fotografie a corredo della relazione hanno l’efficacia probatoria prevista dall’

 

art. 2712 c.c. e, anche ove disconosciute espressamente, possono essere comunque utilizzate dal giudice, che può accertarne la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. I, sentenza 14 febbraio 2024, n. 4038.

 

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi:

Cass., 30 maggio 2023, n. 15196

Cass., 16 marzo 2023, n. 7712

Cass., 20 gennaio 2017, n. 1593

Cass., 4 luglio 2019, n. 18025

Cass., 12 febbraio 2021, n. 3689

Css., 11 giugno 2018, n. 15094

Cass., 17 giugno 2020, n. 11697

Cass., 29 aprile 2022, n. 13519

Difformi:

Trib. Milano, 1 luglio 2015

Trib. Milano, 13 maggio 2015

Trib. Milano, 8 aprile 2013

Trib. Napoli, 2 febbraio 2006

Nel giorno di San Valentino, la Prima Sezione della Cassazione si occupa di prova dell’infedeltà coniugale, concentrandosi in particolare sulla rilevanza delle fotografie acquisite mediante il ricorso a un investigatore privato.

Analisi del caso

Dalla crisi del matrimonio tra P. e la moglie V. sono tra l’altro scaturite due domande di addebito “incrociate”.

Il Tribunale, decidendo la controversia (adottando altresì provvedimenti a salvaguardia della prole minorenne), ha accolto quella formulata dal marito, sicché la V. ha proposto appello.

La Corte adita, pur riformando la decisione di prime cure in punto di provvedimenti a tutela della prole, ha confermato il pronunciamento del Tribunale in punto a cause della crisi coniugale e conseguente addebito della separazione.

In particolare, i giudici del merito hanno ricondotto causalmente la crisi all’infedeltà della moglie, scoperta dal marito, dapprima, in virtù di una lettera anonima e, poi, ulteriormente suffragata mediante indagini investigative private.

Al contrario, i medesimi giudici hanno reputato infondata la domanda di addebito formulata dalla moglie e argomentata muovendo da condotte disarmoniche del marito, preesistenti al tradimento. Secondo i giudici, infatti, risultava significativa la tardiva proposizione della domanda, solo in risposta a quella formulata dal marito.

La V. ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando – in sintesi – l’illegittima attribuzione di rilevanza probatoria alle relazioni investigative prodotte dal marito, le quali costituirebbero prove a tutti gli effetti solo a condizione che l’investigatore venga escusso nel contradditorio fra le parti, e invece, nel caso di specie, l’investigatore non era mai stato assunto quale teste.

La soluzione

Respingendo il ricorso, la Suprema Corte ha chiarito che la relazione investigativa diretta a dimostrare l’infedeltà coniugale rientra tra le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell’

 

art. 116 c.p.c., di cui il giudice è legittimato ad avvalersi, atteso che nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova. In particolare, le eventuali fotografie a corredo della relazione hanno l’efficacia probatoria prevista dall’

 

art. 2712 c.c. e, anche ove disconosciute espressamente, possono essere comunque utilizzate dal giudice, che può accertarne la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni

La motivazione della Corte

Argomentando la propria decisione, la Cassazione ha posto in luce come la relazione investigativa rientri tra le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell’

 

art. 116 c.p.c., di cui il giudice è legittimato ad avvalersi, atteso che nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova (v.

Cass., 30 maggio 2023, n. 15196;

Cass., 16 marzo 2023, n. 7712;

Cass., 20 gennaio 2017, n. 1593;

Cass., 4 luglio 2019, n. 18025;

Cass., 12 febbraio 2021, n. 3689;

Cass., 11 giugno 2018, n. 15094;

Cass., 17 giugno 2020, n. 11697).

Nel caso esaminato dalla decisione in commento, la relazione scritta redatta da un investigatore privato è stata utilizzata dai giudici di merito come prova atipica, avente valore indiziario, ed è stata valutata unitamente ad altri elementi di prova ritualmente acquisiti. In dettaglio, sono state ritenute particolarmente rilevanti le fotografie (

 

art. 2712 c.c.) allegate alla relazione medesima e ritualmente versate in atti, le quali, anche ove disconosciute espressamente, possono essere utilizzate dal giudice, che può accertarne la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (

 

Cass., 29 aprile 2022, n. 13519).

A completamento della propria valutazione, la decisione in commento – dopo aver ripercorso la propria giurisprudenza in materia di presupposti della declaratoria di addebito della separazione – ha reputato correttamente motivata la decisione assunta nei precedenti gradi, avendo i giudici esaminato le complessive emergenze istruttorie e valutato in modo non incongruo le molteplici circostanze di fatto, atte a deporre per il carattere adulterino della relazione intrapresa dalla V., giungendo a una statuizione circa il diretto nesso di causalità tra la stessa e la irreversibilità della crisi coniugale, non inficiato dalle circostanze dedotte in merito a una preesistente crisi, dalle quali la Corte di appello aveva desunto piuttosto la volontà di conservare il rapporto superando le difficoltà.

La Corte di merito ha rimarcato, in particolare, che l’intenzione di separarsi era stata manifestata dal marito nel giugno 2016 e, solo successivamente e poco dopo, dalla moglie, sicché, prima di questo periodo, non era dato desumere quell’irreversibilità della crisi, pur preesistendo alcune criticità del rapporto coniugale, che avrebbe giustificato un ben diverso apprezzamento dei dati acquisiti.

Del tutto coerentemente ed esaurientemente, quindi, la Corte di appello ha operato una valutazione del comportamento complessivo dei coniugi, ai fini del riconoscimento dell’addebito e anche con riferimento alla distribuzione dell’onus probandi. In particolare, la Corte territoriale ha tenuto conto sia delle criticità del rapporto preesistenti, sia dei fatti accertati a carico della moglie sul perdurare del vincolo matrimoniale e ha escluso che le circostanze addotte dalla stessa fossero state la causa scatenante della crisi coniugale, in modo irreversibile, sicché la relativa valutazione, espressa con motivazione non incongrua, non può essere sindacata in sede di legittimità, tendendo a un inammissibile riesame del merito.

Riferimenti normativi:

Art. 116 c.p.c

Art. 2712 c.c.

 

Moglie tradisce: Detective scopre il Tradimento

La Corte dà ragione a un marito che aveva chiesto il divorzio dalla moglie dopo aver scoperto il suo tradimento. Per scoprirla ha assoldato un detective. Confermate le sentenze del tribunale di Modena e della corte d’Appello di Bologna.

Via libera alle investigazioni di un detective privato portate come prova in tribunale in una causa di separazione. E’ la Cassazione a stabilirlo dando ragione ad un uomo che aveva assoldato un investigatore per accertare l’infedeltà della moglie. Era stata la signora, che voleva separarsi dal marito, a promuovere la causa chiedendo il mantenimento. Ma i giudici hanno ritenuto che dalle fotografie e dai tabulati telefonici emersi dalle indagini dell’investigatore e portati in tribunale, fosse la nuova relazione della moglie la ragione della definitiva rottura del rapporto tra i due coniugi.

Le hanno quindi addebitato la separazione, escludendo il suo diritto al mantenimento, nonostante questa avesse sostenuto che il matrimonio fosse in crisi prima della sua infedeltà, tanto che dormivano in camere separate.

La Cassazione – con la sentenza 11516 della prima sezione civile, che ha confermato quanto stabilito nel merito dal tribunale di Modena e dalla corte d’Appello di Bologna – ha ribadito quanto stabilito dalla stessa Corte nell’ambito dei rapporti di lavoro “ove è consentito al datore di lavoro incaricare un’agenzia investigativa al fine di verificare le condotte illecite da parte dei dipendenti”. “Nel contesto della materia familiare – scrivono gli ermellini – parimenti il ricorso all’ausilio di un investigatore privato è ammesso”.

Nel caso dei due coniugi la corte d’Appello ha ritenuto che la violazione del dovere di fedeltà fosse precedente alla domanda di separazione sulla base delle date delle fotografie e dei tabulati telefonici portati in tribunale. Su questo punto aveva fatto ricorso in Cassazione il difensore della donna, opponendo che “la relazione investigativa era stata redatta da un terzo su incarico del marito, dunque senza le garanzie del contradditorio” e che l’investigatore “aveva narrato una serie di fatti giungendo a conclusioni del tutto personali”.

Secondo la Cassazione si tratta “di dati del tutto oggettivi, non di mere deduzioni dell’investigatore privato incaricato”. A fronte dell’adulterio, dunque, il marito “ha assolto all’onere della prova su di lui gravante”, mentre – conclude la Suprema Corte – “l’anteriorità della crisi matrimoniale” rispetto all’infedeltà, sostenuta dalla moglie, “non è stata positivamente accertata dalla corte di merito”.

La Cassazione si è espressa su un caso di licenziamento disciplinare basato su prove raccolte da investigatori

 

Con la sentenza n. 28378/2023 (sotto allegata) la Cassazione si è occupata di una vicenda legata ad un licenziamento disciplinare basato su prove raccolte da investigatori privati.

È ormai pacifico che il datore di lavoro possa effettuare controlli sui propri dipendenti (cc.dd. difensivi) a tutela del proprio patrimonio aziendale, anche di tipo occulto, se finalizzati ad evitare comportamenti illeciti, ed in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, e sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto. Non è esclusa la possibilità per il datore di lavoro – ed è anzi ormai prassi consolidata – di ricorrere ad agenzie investigative purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che degli illeciti siano in corso di esecuzione.

Pertanto, i controlli del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa, riguardanti l’attività lavorativa del prestatore svolta anche al di fuori dei locali aziendali, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti, od integrare attività fraudolente o fonti di danno per il datore medesimo, escludendo che l’oggetto dell’accertamento sia l’adempimento, la qualità o la quantità della prestazione lavorativa.

Per il trattamento dei dati personali della persona oggetto di indagine (cd. “target investigativo”), l’investigatore privato può fruire dell’esimente prevista dall’ex art. 24 d. lgs. 196/03 rispetto all’obbligo di acquisizione del consenso preventivo stabilito dall’ex art. 23 stesso codice (oggi Considerando 47 e 52 GDPR 679/2016), applicabile allorquando si intenda tutelare un proprio od altrui diritto in sede giudiziaria.

Può capitare, però, che l’investigatore incaricato abbia necessità di avvalersi di altri investigatori. In tal caso è necessario che il primo rispetti scrupolosamente non soltanto i dettami previsti dall’articolo 260 del Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento per l’esecuzione del TULPS) e dal D.M 269/10 in materia di investigazione privata, ma anche quelli statuiti dal suddetto GDPR in materia di trattamento dei dati personali. In particolare, è indispensabile che i nominativi di eventuali altri professionisti coinvolti nell’indagine siano indicati nell’incarico all’atto del conferimento, o successivamente allo stesso qualora l’esigenza sia sopravvenuta. Trattasi di un requisito di validità e di liceità delle indagini e della utilizzabilità del relativo esito, con ciò prescindendo dal fatto che l’investigatore “B” incaricato dall’investigatore “A” sia anche egli titolare della prevista autorizzazione. Nel mandato investigativo dell’agenzia incaricata, pertanto, è indispensabilità che sia menzionata l’ipotesi che essa si possa avvalere di altri investigatori, e che questi siano indicati in tale documento, sia ab origine sia ex post.

Tale mancanza inficia il mandato e comporta, di conseguenza, l’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 11, co. 2, d.lgs. n. 196/2003, dei dati raccolti da soggetti non legittimati a farlo. L’autorizzazione n. 6/2016 del Garante per la protezione dei dati personali, registro dei provvedimenti n. 528 del 15/12/2016 prevede, infatti, che “l’investigatore privato deve eseguire personalmente l’incarico ricevuto e non può avvalersi di altri investigatori non indicati nominativamente all’atto del conferimento dell’incarico oppure successivamente in calce ad esso qualora tale possibilità sia stata prevista nell’atto di incarico”, come anche ribadito dall’articolo 8, comma 4, del provvedimento del garante n. 60 del 06/11/2008, allegato A.6 al d.lgs. n. 196/2003.

Quanto precede trova origine nell’obbligo di carattere generale, in capo ad ogni soggetto, di acquisire preventivamente dall’interessato il consenso al trattamento dei suoi dati personali (ex articolo 23 del D. Lgs. 196/03). A tale onere si può derogare allorquando il trattamento sia necessario per varie finalità, tra cui quella di “far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria” (ex articolo 24 del D. Lgs. 196/03, comma 1, lettera f).

In assenza di un incarico specifico conferito dall’investigatore originario “A” all’investigatore di supporto “B”, si potrebbe verificare una illecita diffusione di dati personali da parte dell’investigatore “A”, ed un illecito trattamento da parte dell’investigatore “B” il quale – avendo acquisito senza titolo dati personali sul “target investigativo” – si potrebbe trovare nella paradossale situazione di dover adempiere all’obbligo di cui al comma 3 dell’articolo 14 del GDPR (informativa dati personali acquisiti presso terzi), da eseguirsi nel più breve tempo possibile e comunque entro un mese.

I dati personali raccolti e trattati, ovvero le informazioni e prove reperite in violazione dei suddetti dettami, sono quindi inutilizzabili ai sensi dell’articolo 11, comma 2, d. lgs. 196/2003, così come sostituito dall’articolo 2-decies del d. lgs. 101/2018 contenente identica formulazione, con l’unica aggiunta della salvezza di quanto previsto dall’art. 160 bis d. lgs, n. 196/03.

Scrivono i giudici: “Ne consegue che sul piano processuale tale norma preclude non solo alle parti di avvalersi dei predetti dati come mezzo di prova, ma pure al giudice di fondare il proprio convincimento su fatti dimostrati dal dato acquisito in modo non rispettoso delle regole dettate dal legislatore e dai codici deontologici”.

D’altronde, questa assolutezza si spiega in chiave funzionale: la ratio della norma è quella di scoraggiare la ricerca, l’acquisizione e più in generale il trattamento abusivo di dati personali, e per realizzare questa funzione il rimedio previsto dal legislatore è quello di impedirne la realizzazione dello scopo. Nel caso in questione, non essendo stati indicati in calce alla lettera di incarico, neppure successivamente, i nominativi degli investigatori esterni a quello originariamente incaricato, viene meno la utilizzabilità della relazione investigativa e dei dati in essa evincibili. Oltre alle intuibili conseguenze nello specifico giudizio, gli investigatori “A” e “B” potrebbero essere sanzionati dalle rispettive Prefetture per violazione degli adempimenti relativi al mandato tra agenzie; essere citati dinanzi al Garante privacy, il primo per aver violato il divieto di diffusione dei dati personali, ed il secondo per illecito trattamento a seguito di omessa informativa. Essi potrebbero inoltre essere chiamati a rispondere dei danni subiti dal committente a seguito della inutilizzabilità delle prove raccolte (che ragionevolmente porterà all’annullamento del licenziamento), in quanto tale evento è stato determinato da una loro negligenza professionale, vale a dire dal mancato rispetto della normativa di settore in materia di investigazione privata e di tutela dei dati personali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PENALE GIUSTIZIA 03/12/2018

Le dichiarazioni rese all’investigatore privato ingaggiato dalla compagnia assicuratrice sono mezzi di prova

RICERCA AVANZATA

Posto che l’attività di investigazione preventiva prevista dall’art. 391-nonies c.p.p. è facoltativa, gli Ermellini precisano che il conferimento dell’incarico di analizzare la dinamica del sinistro da parte della compagnia assicuratrice dell’investigatore privato non soggiace a tale regime.

La Redazione

(Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 53770/18; depositata il 30 novembre)

 

Così la sentenza n. 53770/18, depositata il 30 novembre, con cui la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano aveva condannato i ricorrenti per concorso in danneggiamento fraudolento. In particolare, la difesa chiede l’annullamento della sentenza di condanna per illogicità della motivazione in relazione al fatto che la decisione si fondava sull’utilizzo di dichiarazioni rese dagli imputati agli investigatori privati incaricati dalla compagni di assicurazione di verificare la dinamica del sinistro, investigazioni che peraltro non sarebbero utilizzabili nel processo.

Dichiarazioni rese all’investigatore privato. La Corte precisa che nel caso di specie l’attività di accertamento posta in essere dalla compagnia di assicurazioni non può essere qualificata come investigazione difensiva preventiva ex art. 391-nonies c.p.p. ma deve essere considerata mero approfondimento tecnico teso alla ricostruzione della dinamica del sinistro denunciato. Peraltro l’accertamento si è svolto prima dell’iscrizione della notizia di reato e dunque le dichiarazioni rese dagli imputati in quella sede non richiedevano par

(Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 53770/18; depositata il 30 novembre)

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 8 giugno – 30 novembre 20178, n. 53770

Presidente Davigo – Relatore De Crescienzo

Ritenuto in fatto

C.G. e B.C. , tramite il difensore ricorrono per Cassazione avverso la sentenza 30.5.2017 con la quale la Corte d’Appello di Milano li ha condannati alla pena di mesi sette di reclusione ciascuno per la violazione degli artt. 110, 81 cpv., 642 cod. pen..

La difesa chiede l’annullamento della decisione impugnata deducendo i seguenti motivi così riassunti entro i limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..

1) ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e/o per mancanza, contradditorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla dichiarazione di inutilizzabilità delle dichiarazioni autoaccusatorie rese dagli imputati ed eteroaccusatorie dell’imputato in procedimento connesso S. . La difesa lamenta che l’affermazione della penale responsabilità si fonda sull’utilizzo delle dichiarazione rese dagli imputati agli investigatori privati incaricati dalla Compagnia di Assicurazioni di verificare la dinamica del sinistro e della mancata estensione alle

La relazione dell’investigatore privato costituisce prova dell’infedeltà del coniuge

Ai fini dell’addebito della separazione, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave determinando l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Pertanto, la relazione scritta redatta da un investigatore privato può essere utilizzata dal giudice come prova atipica, avente valore indiziario e valutata unitamente ad altri elementi di prova ritualmente acquisiti.

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E’ legittimo il licenziamento a seguito di controllo mediante “investigatore privato” ?

 

Il Tribunale di Roma Sezione Lavoro (con ordinanza 14 marzo 2023) ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare irrogato a seguito dell’accertamento, mediante investigatore privato, di illeciti disciplinari commessi dal dipendente.

Il Tribunale di Roma afferma che il datore di lavoro che sospetti la commissione di illeciti del dipendente può attivarsi con conseguenti controlli, anche mediante il ricorso ad agenzie di investigazione.

Infatti, come ribadito dal Tribunale il divieto, per il datore di lavoro, di ricorrere a controlli sul dipendente tramite agenzia investigativa privata, è limitato alla verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa o delle sue modalità di esecuzione, mentre è legittimo a seguito (anche del solo sospetto) di commissione di illeciti e per i loro accertamento.

 

Il Caso oggetto della sentenza

Nel caso oggetto della pronuncia, dopo alcune irregolarità riscontrate dall’azienda datrice, eseguita attività investigativa, emergeva che il dipendente si allontanava frequentemente dal luogo di lavoro per periodi prolungati di tempo nei quali  si occupava di attività personali, attestando falsamente gli orari di lavoro svolti e l’effettuazione di straordinari.

 

Legittimità dei controlli posti in essere dal datore di lavoro

 

Secondo costante giurisprudenza, sono consentiti i controlli (anche tecnologici) da parte del datore di lavoro allo scopo di evitare condotte illecite del dipendente, in presenza di un fondato sospetto circa la loro effettiva commissione (sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto).

Con il rispetto di tali condizioni, il controllo effettuato mediante agenzia investigativa è legittimo e i dati così raccolti possono essere oggetto di sanzione disciplinare.

 

Infine, veniva rilevata anche la gravità delle condotte contestate (ripetute assenze ingiustificate e false attestazioni dell’orario di lavoro), tali da comportare una grave violazione del dovere di fedeltà del lavoratore che legittimava il ricorso al licenziamento.

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Gli illeciti accertati dall’investigatore privato legittimano il licenziamento purché non siano episodici

22 Agosto 2017 A cura della redazione

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza 9/06/2017 n.14454, si è uniformata al principio di diritto secondo cui è legittimo il controllo del datore di lavoro degli illeciti del lavoratore avvalendosi di un’agenzia investigativa.

Nel caso in esame un lavoratore era stato licenziato per ripetuti ammanchi di cassa, derivanti dalla mancata registrazione della vendita e appropriazione delle somme incassate, accertati dal datore di lavoro a mezzo dei dipendenti di un’agenzia investigativa che fingendosi clienti hanno verificato gli illeciti contestati.

Il lavoratore ha così proposto ricorso, ma entrambi i giudici di merito dei primi due gradi di giudizio hanno dato ragione all’azienda confermando la liceità del recesso datoriale.

La Suprema Corte ha confermato la posizione della Corte d’Appello, richiamando la propria sentenza n.18821/2008 secondo cui in tema di controlli del datore di lavoro a mezzo di un’agenzia investigativa, in ordine agli illeciti del lavoratore che non riguardino il mero inadempimento della prestazione lavorativa ma incidano sul patrimonio aziendale, sono legittimi i controlli occulti posti in essere dai dipendenti dell’agenzia i quali, fingendosi normali clienti dell’esercizio, si limitino a presentare alla cassa la merce acquistata ed a pagare il relativo prezzo, senza porre in essere manovre dirette ad indurre in errore l’operatore.

Inoltre, continua la sentenza, a tutela del diritto dell’incolpato, è necessario che la contestazione sia tempestiva e che l’accertamento non sia limitato ad un unico episodio, non sempre significativo, e sia corroborato dall’accertamento delle giacenze di cassa alla fine della giornata lavorativa del dipendente.

Nel caso di specie la Corte d’Appello ha accertato che gli elementi forniti dall’agenzia investigativa erano stati raccolti in un apprezzabile lasso di tempo, avevano riguardato molteplici episodi e avevano trovato conferma nelle verifiche contabili operate dalla società e ritualmente documentate.

 

 

Quando il datore di lavoro può ricorrere a investigatori privati?

Scopri quando un datore di lavoro può legalmente ricorrere a investigatori privati per indagare sulle condotte dei dipendenti, secondo la recente sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma.

L’ordinanza del Tribunale del Lavoro di Roma del 14 marzo 2023 ha affrontato la questione dell’utilizzo di investigatori privati da parte delle aziende per indagare su comportamenti disciplinarmente rilevanti nel rapporto di lavoro. La questione si è concentrata soprattutto nel valutare quando il datore di lavoro può ricorrere a investigatori privati: se cioè questi possano essere impiegati solo in presenza di comportamenti del dipendente che integrino reati o anche in qualsiasi altro caso in cui la condotta possa configurare una violazione del contratto di lavoro e quindi un semplice illecito disciplinare.

In questo articolo, esamineremo le circostanze in cui un datore di lavoro può legalmente ricorrere a tali servizi e le implicazioni per i dipendenti e le aziende.

Indice

* È lecito utilizzare investigatori privati per condotte non penalmente rilevanti?

* In quali circostanze può essere utilizzato un investigatore privato?

* Implicazioni legali per i datori di lavoro e i dipendenti

* Quali sono le possibili conseguenze per i dipendenti scoperti in violazione delle politiche aziendali?

È lecito utilizzare investigatori privati per condotte non penalmente rilevanti?

Sì, il Tribunale del Lavoro di Roma [1] ha stabilito che l’utilizzo di investigatori privati da parte dei datori di lavoro è lecito, anche per verificare condotte illecite che non hanno rilevanza penale. Tuttavia, è importante notare che questa decisione si applica solo in specifiche situazioni e non è una carta bianca per i datori di lavoro.

Facciamo un esempio pratico. Poniamo il caso di Tizio, che viene sorpreso a utilizzare le risorse aziendali per scopi personali durante l’orario di lavoro. Pur non essendo un’azione penalmente rilevante, il datore di lavoro potrebbe decidere di assumere un investigatore privato per indagare ulteriormente sulla condotta di Tizio.

Questo lascia agevolmente intendere che il datore non può ledere la privacy e la vita privata del lavoratore per qualsiasi motivo ma solo per accertare quelle condotte che incidono sul rapporto lavorativo in quanto possono costituire un danno per l’azienda.

In quali circostanze può essere utilizzato un investigatore privato?

Il ricorso a investigatori privati è legittimo quando il datore di lavoro desidera accertare fatti disciplinarmente rilevanti nel rapporto di lavoro, a prescindere dalla circostanza che il datore stesso avrebbe potuto verificare la sussistenza delle stesse condotte utilizzando altri strumenti a sua disposizione. In altri termini lo 007 non deve per forza essere l’ultima spiaggia.

Supponiamo che Sempronio sia sospettato di aver sottratto materiali dall’ufficio. Il datore di lavoro potrebbe utilizzare un investigatore privato per raccogliere prove, anche se avesse avuto altre possibilità per verificare l’accaduto.

Implicazioni legali per i datori di lavoro e i dipendenti

La decisione del Tribunale del Lavoro di Roma fornisce una certa flessibilità ai datori di lavoro nell’utilizzare investigatori privati per indagare su comportamenti illeciti dei dipendenti. Tuttavia, è fondamentale che i datori di lavoro si attengano alle leggi sulla privacy e alla protezione dei dati personali durante tali indagini. Ad esempio sarebbe illegittimo un investigatore che entri dentro il cortile privato o nello stabile del condomino, la cui intrusione costituirebbe una violazione di domicilio. Inoltre, i dipendenti devono essere informati del potenziale utilizzo di investigatori privati nel contesto lavorativo.

Quali sono le possibili conseguenze per i dipendenti scoperti in violazione delle politiche aziendali?

Le conseguenze per i dipendenti che vengono scoperti a violare le politiche aziendali possono variare a seconda della gravità della violazione e delle norme interne dell’azienda. Di certo il datore di lavoro può basarsi sulle prove acquisite dall’investigatore per infliggere sanzioni disciplinari. Le azioni disciplinari possono includere avvertimenti scritti, sospensioni temporanee, riduzione di stipendio o licenziamento. Queste prove possono essere utilizzate anche in un eventuale processo sollevato dal lavoratore in opposizione alla sanzione disciplinare.

 

 

Controllo del lavoratore tramite investigatore privato

* Controllo dei lavoratori

E’ possibile il controllo del lavoratore tramite investigatore privato purché questo non sconfini nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria.

La corte di cassazione è intervenuta con la sentenza n. 15867/17 in tema di controllo del lavoratore tramite investigatore privato, chiarendo i requisiti di utilizzabilità in giudizio, ai fini dell’accertamento della responsabilità disciplinare del lavoratore, di informazioni reperite dal datore di lavoro per il tramite di investigatori privati. Nella fattispecie, un dipendente ricorreva per accertare l’illegittimità del licenziamento per giusta causa, comminatogli a seguito di investigazioni private. Il datore di lavoro, infatti, ricorrendo ad un investigatore privato, aveva controllato il lavoratore contestandogli poi di non aver provveduto adeguatamente a visitare la clientela e di aver trascurato di tenere un costante monitoraggio dell’attività degli agenti.

 

Il Giudice di primo grado, come la Corte di appello, dichiaravano legittimo il licenziamento intimato al lavoratore controllato dall’investigatore privato.

 

Il dipendente ricorreva quindi in cassazione contestando la legittimità del licenziamento a fronte dell’uso illegittimo da parte del datore di lavoro di agenzie investigative. La suprema corte ha respinto in ricorso. Anzitutto, secondo la corte di cassazione, la corte di merito ha correttamente ritenuto attendibile la ricostruzione prospettata dal datore di lavoro, e ha precisato che il divieto per il datore di lavoro di controllare e far controllare l’esecuzione della prestazione lavorativa non trovi applicazione nelle ipotesi di anche solo eventuale realizzazione da parte dei dipendenti di comportamenti non consentiti, esulanti dalla normale attività lavorativa. Il controllo del lavoratore tramite investigatore privato, secondo la corte, è giustificato non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso d’esecuzione.

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Licenziamento per giusta causa: con la sentenza n. 30547 del 28 ottobre 2021, la Corte di Cassazione ha ribadito il diritto del datore di lavoro di far seguire il dipendente da un investigatore privato per verificare la falsa malattia

La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla legittimità di un licenziamento per giusta causa nei confronti di un lavoratore. Con la sentenza n. 30547 del 28 ottobre 2021 ha, infatti, respinto il ricorso del dipendente licenziato che era a casa per malattia.

In particolare, la sentenza ha ribadito il diritto del datore di lavoro di far seguire il dipendente da un investigatore privato per verificare se la malattia esista davvero o se, in ogni caso, le sue condizioni non siano effettivamente compatibili con l’ambiente di lavoro.

Sebbene sia solo il medico fiscale a poter accertare la presenza o meno di una patologia, è anche vero che il datore può, dal canto suo, appurare con altri mezzi che non sussista l’incapacità a rendere la prestazione cui è tenuto l’addetto.

Il caso

L’operaio, temendo un procedimento disciplinare dopo aver commesso una serie di illeciti, si è messo in malattia per una presunta lombosciatalgia. Insospettito dell’accaduto, il datore di lavoro si è rivolto ad un investigatore privato. Dalle indagini è emerso che le condizioni fisiche dell’operaio erano tutt’altro che incompatibili con l’attività lavorativa.

Appurato lo stato di falsa malattia, la società ha, così, avviato il procedimento di licenziamento per giusta causa. Il Tribunale ha rigettato il ricorso del lavoratore, evidenziando la legittimità del licenziamento. Al contrario, nel successivo grado di giudizio, la Corte d’appello ha annullato il licenziamento disposto dalla società.

I giudici hanno rilevato l’inutilizzabilità della relazione dell’investigatore privato, in quanto in violazione dell’art. 5, Legge 300/70. La Corte di Cassazione ha successivamente cassato la sentenza della Corte d’appello, in particolare l’affermazione secondo cui il datore di lavoro non avrebbe avuto la possibilità di verificare l’effettività dello stato di malattia del lavoratore attraverso il ricorso a un investigatore privato.

 

Quando conta la deposizione dell’Investigatore Privato. La Sentenza Corte di Cassazione, sez lav, pubblicata il 26/02/2024

 

Con una nuova Sentenza la Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema del Licenziamento per Giusta Causa del dipendente. Il caso di specie fa riferimento ad un dipendente addetto allo scarico dei bagagli in aeroporto. Lo stesso, durante il periodo di malattia, svolgeva in realtà altra attività lavorativa. Nello specifico operando come istruttore di kick boxing in una palestra. Durante la causa per la reintegra, il dipendente, aveva disconosciuto il Rapporto Investigativo contente le risultanze dell’indagine svolta. Risulta però decisiva la testimonianza dell’Investigatore Privato, che aveva svolto l’attività investigativa, che conferma la paternità e il contenuto di tale relazione. Questo è quanto emerge dalla Sentenza Corte di Cassazione, sez. lav. pubblicata il 26 Febbraio 2024 – numero registrazione generale 22476/2020.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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