matrimonio e il regime patrimoniale della famiglia, Richiedi una consulenza Agenzia Investigativa IDFOX Srl tel.02-344223
Riflessioni sul sistema matrimoniale italiano, dalla disciplina costituzionale al divorzio, e sul regime patrimoniale della famiglia
* Il matrimonio nella Costituzione
* La celebrazione del matrimonio
* L’istituto giuridico del divorzio
* I regimi patrimoniali della famiglia
Il matrimonio nella Costituzione
Il matrimonio è disciplinato dall’articolo 29 della Costituzione che lo riconosce come il fondamento della famiglia. È un istituto giuridico che va oltre il campo dello stretto diritto privato in quanto i suoi scopi e la sua funzione toccano direttamente l’interesse pubblico. Il fine del matrimonio è la costituzione della famiglia. Esso mira alla conservazione della sua unità pertanto la sua durata non deve essere condizionata dalla semplice volontà dei soggetti che lo hanno posto in essere. E questo deve essere chiaro per il giurista come per ogni uomo: il matrimonio come istituto giuridico è destinato all’integrazione dell’uomo con la donna.
Esso viene identificato in definitiva come cellula fondamentale della vita sociale. È possibile intendere la parola matrimonio in due sensi come atto giuridico (matrimonio in fieri)e come rapporto giuridico (matrimonio in facto). L’atto di celebrazione del matrimonio non è mai lasciato alla sfera esclusiva dei privati. Difatti esso è sottoposto a una procedura in cui c’è l’intervento di chi rappresenta l’autorità essendo evidente che in esso vi sono interessi superiori a quelli degli sposi.
Matrimonio religioso e matrimonio civile
È opportuno a questo punto operare una distinzione tra il matrimonio religioso celebrato dal parroco o dal ministro di altro culto e il matrimonio civile celebrato dall’ufficiale di stato civile ovverosia il sindaco. Il sistema matrimoniale italiano è stato ampiamente riformato con l’introduzione dei Patti Lateranensi del 1929. In particolare all’articolo 34 del concordato si leggeva che lo Stato Italiano volendo ridonare all’istituto del matrimonio il significato di pilastro della famiglia riconosce per la prima volta l’esistenza del matrimonio concordatario che ha contemporaneamente effetti civili e religiosi.
Le norme canoniche in questo modo richiamate non sono soltanto quelle attenenti alla forma ma anche quelle che riguardano la sostanza che cioè toccano la valida costituzione del rapporto secondo il diritto canonico. Il principio venne applicato in concreto con la legge numero 847 del 27 maggio 1929. Un’altra legge del 24 giugno dello stesso anno riconobbe efficacia al matrimonio civile celebrato con le forme proprie dei culti acattolici. Inoltre con gli accordi di Villa Madama del 1984 il sistema è stato profondamente modificato con la legge numero 121 del marzo 1985.
Infatti all’articolo 8 si è limitata la trascrivibilità per gli effetti civili del matrimonio alle condizioni che siano rispettati i limiti di età e che non esistano altri impedimenti civili inderogabili. Limiti importanti sono pure previsti al riconoscimento delle sentenze canoniche di nullità. In via di prima approssimazione possiamo affermare che il matrimonio canonico consiste in quel negozio giuridico che si esprime attraverso il diritto della chiesa e che produce gli effetti civili per mezzo del procedimento della trascrizione con cui le parti acquistano lo stesso status coniugale che avrebbero potuto conseguire con il matrimonio civile.
Con l’introduzione del matrimonio concordatario attraverso l’articolo 34 dei Patti Lateranensi del 1929 si riconosce al matrimonio contemporaneamente valore religioso ma anche valore civile. Difatti il parroco subito dopo la prestazione del consenso legge agli sposi i tre articoli del codice civile per ammonirli intorno agli obblighi che si vengono ad assumere di fronte alla società civile. Il matrimonio può essere celebrato anche secondo uno dei vari culti acattolici. Lo Stato Italiano procedendo attraverso trattative bilaterali con i rappresentanti e le diverse confessioni dichiara di riconoscere effetti civili a matrimoni celebrati secondo i vari culti a condizione che essi siano trascritti nei registri dello stato civile. Il ministro del culto redige l’atto di matrimonio ed entro cinque giorni lo trasmette all’ufficiale di stato civile per la trascrizione. In relazione alle confessioni che non hanno concluso particolari accordi rimane in vigore la legge 1159 del 29 che allora si intitolava al matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti ammessi. Al matrimonio inteso come situazione abbiamo contrapposto l’odierna concezione del matrimonio inteso come atto giuridico.
La celebrazione del matrimonio
Alla base della vita matrimoniale vi è senz’altro la celebrazione del matrimonio.
Questo aspetto della celebrazione distingue il matrimonio dal concubinato. Il primo infatti anche se non più caratterizzato dall’ indissolubilità è sempre un rapporto di stabilità . La dottrina si è affaticata per determinare la natura giuridica di tale atto. Per i canonisti esso è un sacramento e un contratto tra le parti, per i civilisti invece viene esclusa la possibilità di identificarlo come contratto a causa del fatto che l’ufficiale celebrante non si limita a documentare la volontà degli interessati ma partecipa attivamente come rappresentante dell’autorità all’atto di costituzione del nucleo familiare e inoltre per l’accordo delle parti a cui è rimessa solo la facoltà di aderire con un duplice sì allo schema enunciato dall’ufficiale celebrante senza indicare le volontà atipiche e specifiche desiderate da loro. Secondo quindi la dottrina civilistica maggioritaria mancherebbe nel matrimonio tanto la sostanza quanto la forma del contratto. Molto discussa e criticata è stata anche la tesi contrapposta (la teoria contrattuale) cioè la tesi che vuole pure l’essenza del matrimonio nell’atto di chi rappresenta l’autorità. Possiamo concludere che la volontà delle parti in questo campo ha un valore così grande che riesce impossibile considerarla soltanto come il presupposto degli effetti che deriverebbero direttamente dalla volontà dello Stato. Il matrimonio è un atto complesso che si allontana dalla conformazione tipica dei negozi di diritto privato perché una delle tre persone che lo pongono in essere necessariamente deve essere un soggetto di diritto pubblico.
È un atto solenne nel quale la forma assume rilievo particolare perché essa non è soltanto necessaria ma è sufficiente per l’esistenza del matrimonio civile.
Requisiti per la celebrazione di un matrimonio valido
In relazione ai requisiti che costituiscono la base del matrimonio vi è senza dubbio l’età. ll diritto civile richiede la maggiore età .Tuttavia il tribunale per i minorenni può consentire il matrimonio anche a coloro che abbiano compiuto 16 anni purché sia accertata la maturità psico-fisica e la fondatezza delle ragioni addotte dai nubendi. Altro requisito fondamentale è la capacità mentale. L’articolo 85 c.c. vieta il matrimonio all’interdetto mentre l’articolo 120 c.c. dice che può essere impugnato anche il matrimonio contratto da colui che pur non essendo né interdetto né interdicendo possa essere stato incapace di intendere di volere per qualunque causa anche transitoria proprio al momento della celebrazione del matrimonio. Il diritto canonico non conosce l’impedimento particolare dell’interdizione. E’ richiesta la generica capacità di intendere e di volere nella stessa misura in cui è richiesta dai teologi la capacità per le gravi responsabilità morali. Si considera una causa di incapacità anche l’immaturità psicologica. Sono da ricordare tra gli impedimenti alla celebrazione del matrimonio la parentela, l’affinità e l’adozione e il vincolo di precedente matrimonio.
Costituisce impedimento al contrario matrimonio civile ogni precedente matrimonio civilmente valido . A questo proposito in relazione agli impedimenti alla trascrizione del matrimonio possiamo dire che il sopra ricordato articolo 12 vieta oltre alla trascrizione del matrimonio quella del matrimonio cattolico celebrato da una persona legata da vincolo civile con altra persona e quella del matrimonio successivamente celebrato in chiesa tra le stesse persone già legate da vincolo civile.
Altro impedimento è il delitto.
L’articolo 88 c.c. per questo impedimento trova la sua giustificazione nell’opportunità di non consentire ai colpevoli di un grave reato di subire le conseguenze del loro illecito agire, come avverrebbe se l’omicida potesse sposare chi resta vedovo della sua vittima. Altro impedimento infine è il lutto vedovile (il cosiddetto tempus lugendi) che la vedova deve rispettare per il periodo di 10 mesi per evitare difficoltà nell’attribuire la paternità ai figli che dovessero nascere.
L’ intervallo è previsto anche dopo l’annullamento o scioglimento; cessa con la nascita di un figlio. L’impedimento è sconosciuto al diritto della chiesa. Fino alla riforma del diritto di famiglia tra le cause di possibili invalidità del matrimonio per ragioni soggettive vi è senz’altro l’ impotenza come inettitudine fisica ai rapporti coniugali. Tale vizio assume rilevanza soltanto in prospettiva di un vizio di errore come una malattia fisica o psichica come pure anomalia o deviazione sessuale tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale.
Queste tipologie di vizi offrono alla controparte la possibilità di impugnazione soltanto quando si accerti che quest’ultima non avrebbe prestato il suo consenso se avesse esattamente conosciuto la situazione.
Sul punto la giurisprudenza canonica è intervenuta riconoscendo come causa di nullità del matrimonio la sola impotenza alla congiunzione ossia l’impotenza “coeundi”, antecedente e perpetua sia assoluta sia relativa e soltanto questa non anche l’impotenza generandi o sterilità cioè l’incapacità non di avere rapporti sessuali ma di procreare a causa di una sterilità diagnosticata dal medico. Per quanto concerne la celebrazione del matrimonio sono fondamentali i preliminari alla celebrazione che consistono nelle pubblicazioni. La pubblicazione che deriva dagli antichi bandi ecclesiastici ha uno scopo chiaro. Essa ha lo scopo di rendere noto il progettato matrimonio perché se qualcuno conosce l’esistenza di eventuali impedimenti possa farne opposizione.
La pubblicazione per il matrimonio civile si fa con una richiesta all’ufficiale di stato civile del comune dove uno degli sposi ha la residenza.
La prassi vuole che si scelga il comune della sposa ma potrebbe essere scelto anche il luogo di residenza dello sposo. E’ importante considerare che questa scelta influisce sulla competenza per la celebrazione del matrimonio perché il matrimonio sarà celebrato nella casa comunale del luogo dove si è fatta la richiesta della pubblicazione.
In relazione al modo in cui va eseguita la pubblicazione essa avviene attraverso la affissione alla porta della casa comunale. Per quanto concerne i diversi comuni dove la affissione si farà, i documenti che si devono presentare, la durata della affissione , il termine per la regolare celebrazione va detto che fondamentalmente le pubblicazioni vanno affisse sulla porta della casa comunale e devono durare almeno otto giorni comprendenti le due domeniche successive. Tuttavia l’articolo 100 c.c. indica i criteri in base ai quali in alcuni casi i termini sopraccitati possono essere ridotti addirittura ammettendo nei casi più gravi la dispensa dalla pubblicazione al matrimonio cattolico. Pertanto anche per questo sono necessarie le pubblicazioni che vanno fatte mediante affissione alle porte della chiesa parrocchiale per la durata di almeno otto giorni comprendendo le due domeniche successive. Il parroco prima di iniziare le pubblicazioni deve investigare per vedere se non esistono impedimenti prima che il matrimonio sia celebrato. Alcune persone possono avere l’interesse e/o il dovere di fare opposizione. L’ articolo 102 c.c. ci dice quali sono queste persone. L’articolo 113 c.c. indica i requisiti per l’atto di opposizione che va notificato agli sposi, all’ufficiale dello stato civile presso il quale è stata richiesta la pubblicazione. Se non vengono presentati atti di opposizione si tratta di un matrimonio cattolico. L’ufficiale di stato civile in assenza del certificato dell’avvenuta pubblicazione non puo’ procedere alla celebrazione. Questo certificato è molto importante perché il suo rilascio comporta da parte dell’ufficiale di stato civile un impegno assoluto a trascrivere il matrimonio a cui si riferisce. Se infatti prima della trascrizione apparisse pure evidente l’esistenza di un impedimento la trascrizione non potrebbe essere rifiutata.
Se ne sarà il caso lo stesso ufficiale dello stato civile denuncerà la circostanza affinché siano iniziate le pratiche per la procedura di annullamento rispetto al matrimonio da celebrare con il rito di un culto acattolico,il rilascio del certificato valendo come autorizzazione al ministro che dovrà celebrare, ne garantisce la trascrizione. Circa il giorno delle nozze gli sposi si presentano davanti all’ufficiale dello stato civile competente che davanti a due testimoni da lettura degli articoli 143 e 144 e 147 c.c. e riceve da una delle parti la dichiarazione di consenso di seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio. Immediatamente dopo viene compilato l’atto di matrimonio il quale sarà poi iscritto nell’apposito registro di stato civile . Quando gli sposi sono uniti in matrimonio secondo il rito della chiesa perché l’atto debba conseguire efficacia è necessario che il celebrante ricordi gli effetti civili del matrimonio dando lettura di cui articoli 143 144 e 147 codice civile di cui abbiamo discusso poc’anzi. La lettura di questi articoli che è una formalità secondaria nel matrimonio civile dovrebbe invece assumere importanza nel matrimonio religioso.
Il parroco subito dopo la celebrazione deve redigere l’atto di matrimonio in doppio originale.Uno di questi sarà trasmesso all’ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio è stato celebrato.Vanno inserite anche le eventuali dichiarazioni sul futuro regime patrimoniale.
Per i matrimoni dei culti acattolici il procedimento è analogo. Entro i cinque giorni dalla celebrazione religiosa il ministro del culto trasmette l’atto da lui redatto all’ ufficiale di stato civile. La trascrizione avrà effetto retroattivo.
Lo Stato non ammette la trascrizione in presenza di una delle tre cause previste agli articoli 12 e 16 della legge matrimoniale che sono l’interdizione di uno degli sposi, il precedente matrimonio tra le stesse persone , un precedente matrimonio di uno degli sposi con una terza persona. Quando il matrimonio cattolico è stato preceduto dal rilascio del certificato dell’avvenuta pubblicazione l’atto viene trasmesso dal parroco entro 5 giorni dalla celebrazione.
Gli effetti della trascrizione retroagiscono alla celebrazione se l’atto di matrimonio non viene trasmesso entro i 5 giorni . Si potrà procedere ad una trascrizione tardiva purché entrambi gli sposi abbiano conservato lo stato libero.
In riferimento alle prove del matrimonio la legge rigorosamente limita l’attribuzione del diritto di Stato coniugale a chi presenta l’atto di celebrazione estratto dai registri dello stato civile. In questi registri infatti viene scritto l’atto di matrimonio civile. Viene pure trascritto il matrimonio cattolico.
Il consenso è un elemento essenziale dell’atto di matrimonio.
Il diritto cura e tutela in diversi modi la libertà nella determinazione degli sposi. Tant’è vero che la promessa di matrimonio non obbliga.
Per la rottura della promessa non si applica in generale obbligo al risarcimento dei danni. Una penale viene addebitata agli sponsali cioè a coloro che hanno provveduto alle pubblicazioni ma non hanno ancora manifestato il loro consenso alla celebrazione del matrimonio . Questa penale comporta che gli sponsali debbano risarcire il danno solo cagionato all’altra parte per le spese fatte e le obbligazioni assunte prima del rifiuto a celebrare il matrimonio a causa della promessa poi non mantenuta nei limiti delle spese fatte di obbligazioni contratte congruamente secondo la condizione sociale degli interessati e sempre che il rifiuto non sia determinato da una giusta causa. Come manifesto senso di equità la legge vuole che il risarcimento sia dovuto anche dal promesso sposo che con la propria colpa abbia dato giusto motivo al rifiuto dell’altra parte. La domanda di risarcimento deve essere proposta entro un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il matrimonio quale che sia la causa del mancato matrimonio e da chiunque essa provenga. Conseguenza della rottura è sempre il diritto alla restituzione dei doni fatti a causa del promesso matrimonio. Fondamentale per la celebrazione del matrimonio e’ il consenso che nasce dal fatto che il matrimonio è un atto puro. La volontà delle parti quindi ha un contenuto obbligato si dice pertanto che si tratta di una volontà formale (il sì) e non contenutistica . L’articolo 122 della legge matrimoniale prevede due vizi del consenso che vanno ad inficiare la validità del matrimonio,la violenza morale e l’ errore. La violenza morale viene intesa come una minaccia perpetrata da un coniuge nei confronti dell’altro volta a distorcere il suo consenso alla celebrazione del matrimonio togliendo quel senso di purezza e di spontaneità che deve connotare l’atto di celebrazione del matrimonio. L’errore deve riguardare l’identità della persona oppure deve essere un errore essenziale su qualità personali dell’altro coniuge. Essa è prevista in ipotesi determinate che sono collegate a precedenti penali, condanne gravi, pene e dichiarazioni di delinquenza abituale o professionale per delitti concernenti la prostituzione oltre a quelle già ricordate cause impedienti alla celebrazione come l’impotenza del partner o la falsa attribuzione di una gravidanza in atto. Anche la simulazione è prevista come causa di invalidità del matrimonio che si verifica quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere gli obblighi o di non esercitare i diritti discendenti dal matrimonio. Esempio tipico di matrimonio simulato e’ quello celebrato da due coniugi che non seguendo una reale volontà ma solo il desiderio di accontentare uno dei suoceri o ad esempio il padre della sposa decidono di celebrare il matrimonio ponendo in essere degli atti simili ad un matrimonio valido quali le pubblicazioni e la successiva celebrazione , senza tuttavia avere nell’animo alcuna volontà di unirsi come sposi. Non sarà facile raggiungere una prova sicura di tale vizio della volontà . Si deve auspicare che essa venga riconosciuta solo nei casi nei quali si manifesti palesemente tale intenzione: esempi tipici di questi casi di cosiddetto matrimonio apparente si hanno nei matrimoni contratti per ottenere la cittadinanza o il permesso di residenza in uno stato diverso rispetto a quello di origine. Oppure per conseguire certi vantaggi come l’assegnazione di un alloggio o di un posto di lavoro. E’ fissata una decadenza all’azione di simulazione. Non può essere proposta oltre un anno dalla celebrazione del matrimonio ovvero se i contraenti abbiano convissuto come coniugi dopo la celebrazione. In relazione invece alla cessazione del vincolo è opportuno operare una chiara distinzione tra le cause che viziano lo stato matrimoniale per un difetto di base che porta quindi l’invalidità dell’atto stesso di matrimonio da quelle che comportano la fine del rapporto per sua estinzione ad esempio scioglimento del rapporto per morte o divorzio. La distinzione netta tra la dichiarazione di invalidità e/o scioglimento non è così nitida anche se spesso nella realtà si osserva che di fronte a situazioni patologiche della vita coniugale si presenta come alternativo il ricorso all’una o all’altra delle vie che portano entrambe alla cessazione del vincolo.
Invero l’introduzione del divorzio nel 1970 ha reso sotto questo profilo meno interessante andare alla ricerca di una causa di invalidità del vincolo coniugale. Come abbiamo accennato, particolare importanza rivestono i presupposti sottesi alla celebrazione del matrimonio. A questo punto è importante distinguere tra impedimenti cosiddetti impedienti e impedimenti cosiddetti dirimenti. Gli impedimenti cosiddetti dirimenti sono più gravi in quanto comportano l’annullamento del matrimonio per motivi relativi alla qualita’ delle persone ad esempio la mancanza della maggiore età di uno dei coniugi o di entrambi ovvero la mancanza del requisito della sanità mentale che quindi rende il consenso non più lecitamente manifestato. Costituiscono invece impedimenti cosiddetti impedienti che sono meno gravi rispetto ai dirimenti quegli impedimenti relativi alla mancanza di requisiti formali in relazione alla celebrazione del matrimonio quale ad esempio il mancato rispetto del lutto vedovile anche conosciuto come tempus lugendi cioè il mancato rispetto del lasso di tempo di 300 giorni dalla morte del marito, tempo che occorre per evitare dei dubbi sulla attribuzione della paternità in caso di stato di gravidanza della donna rimasta vedova ovvero impedimenti relativi a requisiti puramente formali che sono sottesi alla celebrazione del matrimonio quali ad esempio la mancata affissione nella casa coniugale delle pubblicazioni dell’atto di matrimonio.
Da questo carattere di accertamento sull’esistenza del sacramento del matrimonio deriva la conseguenza che le sentenze ecclesiastiche in materia non passano mai in giudicato. Nel senso che non diventano assolutamente definitive di fronte a nuovi elementi dai quali si possa trarre sicuro argomento per modificare il giudizio sulla esistenza o sulla inesistenza del matrimonio per il diritto civile: vi è una irregolarità nell’atto di matrimonio quando il matrimonio pur contratto senza l’osservanza di qualche requisito imposto per legge rimane ugualmente valido. Abbiamo già visto gli esempi del matrimonio contratto dalla vedova prima che sia passato il tempus lugendi e del matrimonio che non sia stato preceduto dalla pubblicazione . In questi casi gli impedimenti detti appunto impedienti comportano una mera sanzione che verrà inflitta agli sposi ma non si andrà ad incidere sulla validità del matrimonio. All’estremo opposto troviamo l’inesistenza del matrimonio. Si parla invece di matrimonio inesistente nel caso in cui non venga rispettata la forma solenne della celebrazione per cui manca l’elemento esteriore di manifestazione del consenso delle parti che si realizza attraverso la celebrazione di fronte al parroco o all’ufficiale di stato civile nel caso di matrimonio diverso da quello cattolico. Esistono poi dei motivi di annullabilità del matrimonio per dei vizi di forma quali ad esempio l’identità di sesso tra i coniugi prima dell’introduzione della legge Cirinnà del 2016 che invece ha dato la possibilità anche a persone dello stesso sesso di unirsi in matrimonio ovvero la presenza di un vincolo matrimoniale valido tra uno degli sposi con un’ altra persona. Così come avremo annullabilità del matrimonio in caso di parentela affinità o adozione tra i nubendi cioè coloro che intendono sposarsi. Sono competenti a giudicare sulle cause di invalidità del matrimonio i tribunali ecclesiastici che emettono sentenze ecclesiastiche che vengono trasmesse al supremo tribunale della Segnatura Apostolica il quale fa un esame meramente formale per accertare la regolarità della procedura. Eseguita la sentenza unita al Decreto della Segnatura Apostolica viene trasmessa alla Corte d’Appello che ha competenza sul luogo dove il matrimonio è stato celebrato. La Corte compie un giudizio di regolarità con provvedimento che ha natura sostanziale di sentenza.
Tale provvedimento è paragonabile alla deliberazione delle sentenze straniere.
Esso ha lo scopo di dare esecutorietà alla decisione, infatti non entra nel merito purché risulti sia stato assicurato il contraddittorio delle parti e purché la sentenza canonica non contenga elementi contrari all’ordine pubblico italiano. La dichiarazione di validità o la sentenza di annullamento hanno di regola efficacia retroattiva. Il matrimonio si dovrebbe considerare come mai avvenuto ma l’applicazione di tale principio porterebbe troppo gravi turbamenti. Le situazioni formate sull’apparenza di un matrimonio valido portano all’ applicazione dei principi del matrimonio putativo. Il matrimonio annullato si dice putativo quando da almeno uno dei coniugi sia stato contratto in buona fede cioè nell’ ignoranza dei vizi dell’atto. Gli è parificato il caso in cui il consenso sia stato estorto con violenza determinato da timore di eccezionale gravità.
L’annullamento in tali casi non retroagisce neppure fino alla domanda. Gli effetti come atto valido si producono fino alla sentenza in riguardo del congedo dei coniugi che contrassero matrimonio in buona fede o cedendo alla violenza. Se entrambi i coniugi erano in buona fede il giudice può disporre per un ulteriore periodo massimo di tre anni l’obbligo di corrispondere somme a favore di quel coniuge che non abbia adeguate fonti di reddito , che non si sia risposato . Se la nullità viene imputata all’altro coniuge, può essere imposto al responsabile della nullità anche l’obbligo eventualmente solidale di pagare una congruità. Quest’indennità che prescinde dalla prova di un danno comprende una somma corrispondente al mantenimento per tre anni consecutivi. Il coniuge in mala fede resterà obbligato in via sussidiaria a corrispondere al partner gli alimenti rispetto ai figli nati e/o concepiti prima della sentenza di nullità. Il matrimonio putativo produce gli stessi effetti del matrimonio valido, tuttavia anche se ci fu la mala fede in entrambi i coniugi gli effetti del matrimonio si producono ugualmente rispetto ai figli nati o concepiti durante lo stesso salvo il caso in cui la nullità dipenda da bigamia o incesto. Il coniuge, il quale , conoscendo prima della celebrazione, una causa di invalidità del matrimonio l’abbia lasciato ignorare all’altro è passibile di ammenda. Il matrimonio pertanto inteso come vincolo che lega tendenzialmente in perpetuo la vita di due coniugi crea reciproci diritti ed obblighi. Tra gli obblighi viene in rilievo la coabitazione intesa come la residenza fissata d’ accordo tra le parti secondo le esigenze personali e quelle proprie della famiglia. Altro obbligo che ne scaturisce è la fedeltà per cui il rapporto dell’uno rispetto all’altro si deve intendere come esclusivo cioè con esclusione di ogni altro. Infine l’assistenza: si tratta di un concetto generico e vago che va dalla dedizione reciproca alla collaborazione nell’interesse della famiglia, al reciproco aiuto economico comprendendo anche un aspetto morale. Gli obblighi verso i figli invece sono regolati agli articoli 147 e 148 del codice civile che la legge pone tra i doveri del matrimonio ma ad una più attenta indagine sono doveri propri di ogni rapporto di filiazione. L’articolo 29 della Costituzione afferma che il matrimonio si fonda sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Il codice prima riconosceva al marito una posizione di preminenza chiamata potestà maritale. Oggi invece l’accento si pone sulla parità e per i rapporti di natura personale si è affermato il nuovo principio dell’accordo come il criterio base del governo della famiglia. L’articolo 144 c.c stabilisce che i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare mentre a ciascuno spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato. Invece l’articolo 145 c.c. prevede che ciascuno dei coniugi possa chiedere l’intervento del giudice che tenterà di raggiungere una soluzione concordata e se non vi riesce non ci sarà rimedio.
Se si tratta di un punto essenziale del governo familiare e soltanto se richiesto espressamente da entrambi i coniugi il giudice interverrà adottando con provvedimento non impugnabile la soluzione che ritiene più adeguata. La residenza familiare concepita come luogo di vita comune ossia come punto d’incontro di coniugi che lavorano e debbono vivere in località diverse fanno parte dei provvedimenti da prendere d’accordo per il domicilio. L’ articolo 45 dispone che ciascuno dei coniugi ha il proprio domicilio nel luogo dove egli ha stabilito la sede principale dei propri affari o interessi. In relazione alla cittadinanza secondo l’articolo 5 della legge 91 del 1992 il coniuge straniero apolide di cittadino italiano acquista la cittadinanza dopo sei mesi di residenza nel territorio, dopo tre anni dalla data di matrimonio. Circa il nome, l’articolo 143 bis dispone che la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile purché non passi a nuove nozze. Come abbiamo detto, entrambi i coniugi sono tenuti a contribuire ai bisogni della famiglia ciò non soltanto con i redditi delle sostanze ma anche in relazione alla propria capacità di lavoro. Questa obbligazione comune alla contribuzione assume caratteristiche peculiari ben diversi dalla solidarietà che invece e’ intesa come ogni obbligazione che vincola verso i terzi una pluralità di debitori secondo la sentenza della Cassazione 6118 del 1990. Tuttavia sempre la giurisprudenza della Cassazione ha ritenuto che anche il lavoro casalingo sia equiparato al lavoro professionale. Tant’è vero che il lavoro prestato dalla donna secondo una tradizionale vocazione domestica non deve essere valutato meno del lavoro di chi produce direttamente il reddito.
In definitiva si fa riferimento a dei doveri che incombono sui coniugi nel governo della famiglia più avanti invece parleremo del regime patrimoniale che può riguardare reciprocamente gli stessi coniugi esponendo le norme che reggono le sorti del loro acquisto e dei loro guadagni, quello che appunto si chiama il regime legale o convenzionale. La famiglia deve vivere secondo il regime patrimoniale primario, regime che la legge stabilisce per assicurare la soddisfazione dei bisogni vitali di ordine economico.
La legge regolando gli articoli 143 seguenti, diritti e doveri che nascono dal matrimonio si riferisce appunto ai bisogni di tutta la famiglia sulla base di un obbligo di contribuzione che comprende la convivenza di fatto. In relazione invece allo scioglimento del matrimonio questo si verifica con la morte di uno dei coniugi. Lo scioglimento è cosa ben diversa dall’annullamento. Tutti i matrimoni si sciolgono,invece l’annullamento per un vizio della formazione del vincolo costituisce la rara eccezione.
I francesi quando parlano di annullamento del matrimonio o di divorzio si riferiscono al “demariage” in relazione a tutte quelle ipotesi in cui si invoca l’inesistenza e o l’invalidità o il divorzio o in alcuni casi anche la separazione.
Tuttavia va precisato che mentre alle cause di nullità si riallacciano ragioni soggettive, il divorzio è sempre più considerato come la soluzione di una situazione oggettiva.
Tuttavia lo scioglimento del matrimonio opera ex tunc nel senso che rimangono in vita tutti gli effetti del matrimonio valido prodotti fino alla cessazione del rapporto mentre l’ annullamento ha un efficacia ex nunc come riconoscimento che mancavano i requisiti per un valido matrimonio.
Alla morte è parificata la dichiarazione di morte presunta . Nel caso in cui il presunto morto ritorna, il nuovo matrimonio viene annullato. Invece il coniuge dell’assente non può passare a nuove nozze perché la dichiarazione di assenza non scioglie il precedente matrimonio.
Però se il coniuge dell’assente nonostante il divieto riesce in qualche modo a contrarre nuove nozze il secondo matrimonio in situazione di invalidità non è impugnabile fino a che dura l’assenza.
L’istituto giuridico del divorzio
[Torna su]Per quanto concerne il divorzio la legge che lo regolamenta è la numero 898 del 1970. Con questa innovazione è stata toccata la stessa figura giuridica del matrimonio portando quindi ad una sostanziale modifica di tutto il diritto di famiglia. Può essere sciolto tanto il matrimonio civile quanto quello concordatario. Il divorzio puo’ anche essere chiesto da un coniuge nei confronti dell’altro quando si sia reso colpevole di alcuni reati oppure abbia ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del vincolo non ci sia stata consumazione del rapporto oppure sia stato dichiarato giudizialmente il mutamento di sesso. La causa prevalente è quella della separazione legale che al tempo della domanda dura da almeno tre anni dal giorno della comparizione delle parti davanti al presidente del tribunale. I tre anni di separazione devono essere decorsi al momento della presentazione della domanda giudiziale di divorzio. Il divorzio può nascere o a seguito di un procedimento contenzioso promosso davanti a uno dei Tribunali competenti oppure a seguito di domanda congiunta presentata da entrambi. Nella prima ipotesi dopo aver esperito inutilmente da parte del presidente del tribunale un tentativo di conciliazione la procedura prosegue con ritmo accelerato. Anche per l’eventuale ricorso in appello il pubblico ministero chiamato ad intervenire non può impugnare le sentenze che ritenga lesive del diritto se non la difesa degli interessi patrimoniali dei figli minori. Questa assistenza agli interessi dei figli si rivela anche in altri casi nei quali il tribunale debba intervenire nei quali appunto accanto all’eventuale diretta difesa del minore e’ richiesto l’intervento di chi rappresenta una pubblica tutela.
Nel caso della procedura di concordato divorzio congiunto il tribunale in camera di consiglio decide immediatamente l’accoglimento sempre che non si rivelino elementi contrari agli interessi dei figli. La sentenza passata in giudicato viene annotata a margine dell’atto di matrimonio, il divorzio quindi scioglie il vincolo matrimoniale . Il matrimonio è sciolto ma non si cancella la sua incidenza nella vita si parla di ultrattivita’ del matrimonio sia nel campo dei rapporti patrimoniali sia nel regolamento del rapporto con i figli della coppia. Le conseguenze patrimoniali scaturirenti dal divorzio formano un capitolo di grande interesse. Innanzitutto con la cessazione del rapporto matrimoniale si apre il tema della divisione dei beni. Analoghi problemi sorgono per superare le incidenze negative nella vita patrimoniale dei coniugi che nel caso della separazione decidono autonomamente il modo in cui risolvere i problemi pratici di natura patrimoniale che possono sorgere.
A seguito dell’ instaurarsi di questa situazione di fatto invece nel caso del divorzio stabilito con sentenza emessa dal giudice sarà lo stesso giudice a stabilire in che modo deve essere devoluto l’assegno di mantenimento generalmente definendo che esso vada devoluto dal coniuge con mezzi economici più vantaggiosi nei confronti di quello meno abbiente. La legge 898 che ha modificato la legge del 74 introduttiva del divorzio ha previsto tra le altre innovazioni quella relativa alla introduzione dell’assegno di mantenimento che va versato periodicamente da un coniuge all’altro. Nella determinazione dell’ammontare di questo assegno sulla base dei redditi patrimoniali il giudice deve tenere in conto la situazione patrimoniale della famiglia nonché deve arginare gli eventuali problemi scaturenti dalla decisione valutando anche chi dei due coniugi ha inteso procedere all’annullamento del matrimonio e quindi al divorzio, cercando quindi di attutire gli effetti negativi che derivano da questa decisione . Va ribadito il carattere assistenziale dell’assegno . Esso non implica solo un’ esigenza di bisogno economico ma anche la necessità di riapportare un equilibrio agli assetti che si sono scompaginati consentendo al coniuge che gode di non adeguati mezzi di vita di poter ricevere tale assegno periodico . Le sezioni unite con la sentenza numero 27 del 4 aprile 1990 hanno ribadito che il requisito della mancanza dei mezzi adeguati si integra allorquando il coniuge richiedente il beneficio non gode più degli stessi mezzi economici di cui godeva in costanza di matrimonio.Da ciò si è voluto dedurre un orientamento per affermare che questo assegno pur essendo di carattere assistenziale debba assicurare i mezzi di vita anche al di là di quel sufficiente benessere che il criterio generale prevede per un diritto al mantenimento.
L’ articolo 5 della legge 2799 del 1990 nell’attribuire il diritto all’assegno a favore del coniuge impone la fissazione di un criterio di adeguamento automatico almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Questo aspetto assistenziale del rapporto di mantenimento conferma che non esiste un diritto al mantenimento anche a favore del coniuge divorziato. È soltanto prevista la tendenza nel giudizio di divorzio a superare gli squilibri che si accompagnano allo scadere del vincolo familiare di base. Si deve tener presente che la posizione di destinatario dell’assegno viene a qualificare il beneficiario come quello tra i due partners che potrà aspirare al riconoscimento anche di altri benefici.
A favore infatti del coniuge divorziato che ne sia beneficiario viene attribuita la pensione di reversibilità cioè per una parte di quella che era del defunto in tutto o in parte secondo che non ci siano anche altri ex coniugi e indipendentemente dalla dichiarazione di addebito e dall’ammontare dell’assegno: ripartendosi secondo la Cassazione numero 7079 del 1990 in base al criterio della durata del rapporto matrimoniale; a lui va riconosciuto una quota sul 40% dell’indennità di fine rapporto di lavoro percepito dall’ex coniuge; a lui vanno riconosciuti i diritti successori con possibile incidenza dell’ordine anche sugli eredi. L’assegno costituisce oggetto di indisponibilità; si esclude che sia valida una determinazione preventiva delle parti. La sentenza che fissa l’obbligo degli assegni anche di primo grado è provvisoriamente esecutiva. L’assegno come detto viene attribuito con carattere di prestazione periodica. Le parti d’accordo possono anche procedere a soluzioni una tantum in questo caso cesserà ogni altro diritto anche in seguito a mutamenti sopravvenuti . Nelle more del giudizio, si ritiene che il presidente del tribunale possa emanare provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse dei coniugi e della prole. Il pagamento dell’assegno è assicurato anche con particolari forme di diretta procedura nei confronti di coloro che siano debitori del debitore dell’assegno a parziale modificazione dei limiti alla pignorabilità degli stipendi. L’entità dell’assegno si riferisce alla situazione esistente al momento della pronuncia e non si deve pertanto riferirsi alla sola situazione al momento della domanda.
Si considera irrilevante ogni decisione che regolava il precedente stato di separazione. Il giudice nel fissare l’ammontare dell’assegno ha potere discrezionale di farlo decorrere retroattivamente dalla domanda introduttiva perché di regola spetterebbe soltanto dal giorno della decisione definitiva che è di carattere costitutivo. Viene negato il diritto all’assegno quando si accerti che il matrimonio fu contratto per motivi di interesse. Importante la previsione del rinnovato articolo 9 che per ogni disposizione relativa al futuro della situazione dei coniugi divorziati e dei loro figli ammette la revisione di quanto deciso mediante nuova sentenza da pronunciare in camera di consiglio. Tra i motivi che le consentono vengono in prima linea i mutamenti delle rispettive situazioni economiche e la ricorrente svalutazione monetaria. In questo senso la Cassazione ha definito l’obbligazione del coniuge come obbligazioni di valore. L’adempimento delle obbligazioni che derivano dal divorzio assicura anche l’estensione alle ipotesi dell’articolo 570 del codice penale che si riferirebbe ai suoi obblighi di assistenza familiare. Ma anche la violazione dei provvedimenti temporanei del giudice. Il legislatore ha infine voluto facilitare le pratiche per il divorzio esonerando l’esercizio delle relative procedure da ogni incidenza fiscale. L’altro punto del regolamento relativo al post divorzio riguarda la posizione dei figli. L’articolo 6 dopo aver ribadito che gli obblighi verso la prole perdurano anche in capo al genitore passato a nuove nozze, attribuisce al Tribunale del divorzio il compito di stabilire l’affidamento dei figli con l’assunzione di ogni provvedimento che risulti rispondente all’esclusivo interesse dei figli minori. Così la Cassazione con sentenza numero 6621 del 1991 ha superato il criterio delle sole scelte preferenziali del minore. Il legislatore seguendo la moda di imitare i modelli stranieri ammette anche l’affidamento congiunto e alternato la cosiddetta joint custody dell’esperienza nordamericana. Già del resto il nostro giudice aveva deciso assegnando la casa di abitazione direttamente al figlio con il dirittodovere di entrambi i genitori di alternare le loro cure nelle residenze di quei figli non privi di padre e di madre. Le Sezioni Unite avevano deciso già che va estesa al divorzio la norma che per la separazione personale regola l’abitazione della casa familiare stabilendo la preferenza al coniuge affidatario dei figli. La preferenza al criterio della convivenza con i figli si estende al coniuge convivente con i figli anche se maggiori aventi ancora diritto al mantenimento . E’ peraltro da rilevare che se l’interesse dei figli è da solo determinante per l’attribuzione della casa nella separazione personale nel divorzio,esso pur essendo imprescindibile va confrontato con altre finalità come il riequilibrio delle condizioni dei coniugi a tutela di quello che risulti più debole dovendosi inoltre tener conto delle ragioni della decisione. L’assegnazione immobiliare va trascritta per essere opponibile a ogni terzo. Per l’attribuzione della potestà,l’esercizio del potere decisionale dell’amministrazione dei beni, la legge determina i criteri da seguire sempre perseguendo l’interesse primario della prole . Affinché anche il genitore non affidatario possa seguire la vita del figlio minore viene fissato un appuntamento periodico in cui possa vederlo. Anche un eventuale cambio di residenza deve essere comunicato.
Inoltre va precisato che l’adeguamento automatico delle somme almeno non riguarda gli indici di svalutazione monetaria. Ragionevolmente nessuna nuova richiesta può essere accolta quando le ragioni patrimoniali del coniuge sacrificato dal divorzio siano state liquidate con una somma forfettaria. In relazione invece alla separazione personale essa può essere identificata come una situazione di fatto che è ben diversa dalla separazione legale nella società odierna in cui si assiste ad un progressivo deterioramento del rapporto coniugale.
Si deve tenere conto di questa frequente rottura della famiglia per una di per sé non definitiva cessazione della convivenza. La separazione si dice di fatto quando i coniugi senza alcuna procedura formale vivono separati ciascuno per conto proprio. La situazione non è regolata dalla legge soltanto quando la separazione di fatto abbia una giusta causa ne deriva che l’allontanamento dalla residenza familiare non produce la sospensione del diritto all’assistenza dovuta al coniuge. La situazione giuridica di separazione legale può essere giudiziale o consensuale. Si avrà la separazione giudiziale quando viene emessa una sentenza del giudice in ragione di fatti che rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza o che rechino grave pregiudizio all’educazione della prole. In questi casi l’intollerabilità dovrebbe rispondere ad una situazione obiettiva e non dovrebbe bastare che sia espressione di semplice insofferenza.
La realtà ci dice che la presentazione in giudizio di una domanda di separazione e’ indice che la convivenza a due è diventata intollerabile . Si va anche più in là nel nel senso che la stessa Cassazione ammette che sia pronunciata la separazione personale anche se il coniuge accetta il tradimento.
Abbiamo invece la separazione consensuale quando nasce da un mero consenso delle parti unanime seguito dall’omologazione del tribunale. Se l’accordo relativo ai figli è in contrasto con il loro interesse il giudice può riconvocare i coniugi e se questi non si accordano per il meglio il giudice stesso rifiuterà l’omologazione. Il codice di procedura civile agli articoli 706 e susseguenti regola il procedimento che ha inizio con un ricorso al presidente del tribunale: i coniugi devono presentarsi personalmente al presidente del tribunale che tenta di conciliarli. Lo stesso presidente se il tentativo di conciliazione non riesce dispone provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole. Nella pratica non di rado il processo si arresta qui e così provvedimenti temporanei possono durare anche fino allo scioglimento dello stesso matrimonio. La giurisprudenza va nel senso di un sempre maggiore riconoscimento all’autonomia contrattuale. Quando il coniuge perdoni all’altro e quindi ci sia un reciproco perdono questo comporta anche l’abbandono della domanda di separazione e i fatti precedenti non possono valere a giustificare una successiva domanda di separazione. Lo stato di separazione cessa per successiva riconciliazione ossia per accordo espresso dalle parti senza intervento del giudice. Può cessare anche semplicemente con il ritorno alla convivenza coniugale. Quindi in seguito alla separazione viene meno l’obbligo della coabitazione, rimangono come residui di una precedente solidarietà i diritti e doveri di natura personale quali con adeguati adattamenti l’obbligo della fedeltà e l’obbligo di assistenza economica. Il punto relativo ai rapporti patrimoniali dopo la separazione merita particolare attenzione. Sono infatti poche le persone che dovendo sostenere separati menage non sono toccati da problemi di tal genere. Con la sentenza che sancisce la separazione il tribunale attribuisce al coniuge che ne abbia bisogno un assegno mensile. Come si è visto per l’assegno in caso di divorzio il diritto alla corrispondente percezione può spettare all’uno come all’altro coniuge in relazione all’incidenza negativa della nuova situazione sulle singole esigenze assistenziali: questo assegno attribuito a quello dei coniugi che ne avrebbero titolo e che non abbia redditi propri è da ritenere corrispondente al più ampio concetto di mantenimento. Il giudice può vietare alla moglie l’uso del cognome del marito quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole e può autorizzarlo a non usarlo in aggiunta al suo quando ne potrebbe derivare a lei un pregiudizio. Il giudice nel pronunciare la separazione giudiziale può su richiesta dichiarare a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio. E questo è un giudizio che realisticamente deve essere rapportato più che a un modello di coniuge ideale alla normalità di un marito e di una moglie con la loro cultura e i loro condizionamenti ambientali. La ricerca di elementi di colpa nel comportamento passato o presente del coniuge è anzitutto legata alla tendenza di ognuno di scagionare se stesso a vivere meglio la nuova situazione. La dichiarazione di addebito che si collega alle esigenze elementari per ogni ordinamento umano di discernere il buono dal cattivo produce conseguenze varie.
La causa della separazione rimane pur sempre l’intollerabilità della convivenza ma le conseguenze sono diverse secondo che la situazione sia o meno dovuta a un comportamento addebitabile all’uno all’altro o a entrambi per specifica contrarietà ai doveri coniugali. Ad esempio non basterebbe per l’addebito un vizio personale come la ricorrente ma inoffensiva ubriachezza di uno dei due.
La giurisprudenza con la sentenza della Cassazione numero 4499 del 1985 ammetteva la richiesta di un successivo mutamento del titolo per far valere le conseguenze dell’ addebito.
Ma lo ha dichiarato inammissibile dopo la sentenza di divorzio.
L’addebito richiede che il comportamento contrario ai doveri del matrimonio si possa imputare al coniuge dal quadro di una valutazione complessiva e globale della vita coniugale nella quale puo’ iniziare anche la violazione della fedeltà al marito o alla moglie. L’assegno al coniuge comprende comunque il diritto agli alimenti.
Il giudice può anche imporre al coniuge obbligato di prestare idonea garanzia.
La sentenza costituisce il titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, in caso di inadempienza il giudice non soltanto può disporre un sequestro ma può anche imporre ai terzi tenuti a corrispondere anche periodicamente somma di denaro all’obbligato che una parte di esse venga versata direttamente all’avente diritto .
L’abitazione della casa familiare spetta di preferenza al coniuge in cui vengono affidati i figli ancorché egli non sia titolare di diritto reale o personale di godimento sulla stessa casa. L’assegno è sottoposto alle regole previste anche dalla legge sul divorzio per un adeguamento automatico al costo della vita (Cassazione numero 2051 del 1994), in relazione ai figli il giudice pur tenendo conto per i provvedimenti di affidamento e di contribuzione al mantenimento dell’eventuale accordo dei genitori deve provvedere anche indipendentemente alla richiesta con un unico riferimento al bene morale e materiale della prole dando la preferenza a quel genitore che appaia più idoneo a ridurre al massimo i danni derivanti dalla crisi della famiglia ad assicurare il miglior sviluppo della personalità del minore. La potestà sui figli è attribuita in via esclusiva al genitore cui sono affidatigli. Quest’ ultimo dovrà attenersi alle istruzioni del giudice ma le decisioni di maggiore rilievo sono riservate a entrambi i coniugi. Tuttavia anche il coniuge non affidatario ha non solo il dovere ma anche il diritto di vigilare. Il coniuge affidatario al quale vengano di regola attribuite l’abitazione familiare e la titolarità esclusiva dell’usufrutto legale ha diritto di percepire gli assegni familiari. Inoltre nella divisione dei beni della comunione il coniuge affidatario può ricevere per le necessità della prole l’usufrutto di una parte dei beni che vengono attribuiti all’altro coniuge. Per gravi motivi può essere ordinato che il figlio sia collocato presso un terzo o se ciò sia impossibile anche presso un istituto di educazione. Tutte le disposizioni di cui abbiamo parlato possono sempre su richiesta o di ufficio essere ripetute dal tribunale con provvedimento in camera di consiglio. I provvedimenti del giudice in materia di assistenza familiare sono muniti di particolare forza per garantire la loro l’esecuzione. La loro violazione può provocare anche l’applicazione della sanzione penale nella duplice figura del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice o di violazione degli obblighi di assistenza familiare (rispettivamente articoli 388 del codice penale e 570 del codice penale). In relazione al regime patrimoniale tra i coniugi nella tradizione passata la famiglia era concepita come quel nucleo nel quale attività esterna lucrativa del marito si integrava con le cure del menage lasciate alla moglie. Il marito doveva il mantenimento alla moglie restando a quest’ultima soltanto un’eventuale contribuzione in caso di necessità e stabilendo una collaborazione per i bisogni dei figli. La nostra Costituzione riconosce alla donna un proprio diritto al lavoro, le consente cioè una propria attività anche lucrativa e il rapporto patrimoniale tre coniugi viene basato su criteri nuovi e diversi sia in conseguenza dell’affermazione del principio di parità sia in conseguenza degli apporti economici anche della moglie sia infine per il riconoscimento del significato anche economico del suo lavoro domestico o casalingo. I riferimenti normativi in relazione ai doveri coniugali sono offerti dall’articolo 143 codice civile per la reciproca assistenza e contribuzione tra coniugi e dagli articoli 147 e 148 per i doveri verso i figli. Tutto il sistema dei rapporti relativi ai patrimoni personali e alla conseguente disponibilità dei coniugi si fonda su di un regime legale che dovrebbe costituire la regola.
Il regime della comunione dei beni ammettendo tuttavia anche una diversa disciplina propone quindi due istituti che sono quello della comunione legale dei beni da applicarsi a tutti i coniugi in mancanza di diverse convenzioni formalmente simulate e l’impresa familiare.
I regimi patrimoniali della famiglia
[Torna su]Si può stabilire la separazione dei beni che è come l’antitesi della comunione nel senso che a ciascuno è riconosciuto una propria indipendente posizione patrimoniale quindi ci potrà essere una comunione convenzionale e quindi un regolamento è fissato dagli interessati in modo parzialmente differente da quello della comunione legale, ci potrà essere un fondo patrimoniale. La legge pone dei limiti stabilendo che gli sposi non possono derogare le norme fondamentali che reggono il rapporto matrimoniale e proibendo la costituzione di doti. Per completare il quadro ricordiamo l’esistenza di norme speciali dettate per il diritto all’abitazione familiare e questo è un concetto realisticamente molto importante che si riferisce allo stato di fatto di un’abitazione della casa dove vive la famiglia composta da una base immobiliare ma anche da un complesso di diritti che le sono relativi. Per essere opposte ai terzi le convenzioni matrimoniali devono risultare da un’indicazione a margine dell’atto di matrimonio se si riferiscono a immobili devono anche essere trascritte nei Registri Immobiliari secondo un regime binario di una duplice pubblicità. In relazione alla capacità dei contraenti troviamo nell’articolo 165 c.c. un’eco dell’antico principio secondo cui il minore è ammesso a contrarre matrimonio e l’inabilitato partecipano alle loro convenzioni matrimoniali con l’assistenza delle persone indicate negli articoli 165 e 166 cioè tutore curatore.Per il tempo non è necessario che le convenzioni siano anteriori al matrimonio. A seguito della riforma del diritto di famiglia posto in essere nel 1970 è stato sempre più frequente il ricorso alla comunione dei beni per evitare l’utilizzo dell’atto pubblico che invece è necessario nel regime di separazione dei beni .Questa comunione creata per attribuire ai coniugi gli incrementi patrimoniali avvenuti durante il matrimonio come frutto di una cooperazione non ha invece lo scopo di fissare un patrimonio comune per la vita familiare e quindi fondamentalmente l’interesse dei singoli coniugi che viene perseguito restando perciò fermo che in questo regime legale non si viene a costruire un’entità economica distinta per rassicurare il bene della famiglia pertanto a differenza di ciò che corrisponde ad alcuni regimi tradizionali o anche all’ipotesi di creazione del fondo patrimoniale il legislatore ha voluto preferire un riconoscimento della libertà. Oggetto della comunione dei beni sono gli acquisti compiuti dai coniugi anche separatamente durante il matrimonio,le aziende coniugali costituite dopo il matrimonio nonché gli incrementi di aziende anche individuali purché gestite da entrambi i coniugi, i frutti non consumati, i singoli beni proprio di ognuno, i proventi dell’attività separata che rimangono non consumati. Al cessare della comunione vengono quindi attratti gli acquisti dei beni e non le entrate dei coniugi.
La comunione non costituisce una concreta massa patrimoniale per la vita comune ma è un regime per attrarre la titolarità comune. Costituiscono oggetto della comunione quei beni che appartenevano ai coniugi prima della celebrazione del matrimonio e in una società come la nostra dove l’economia è sempre più basata sull’attività professionale piuttosto che sulla proprietà immobiliare sono esclusi dalla comunione dei beni tutti quei beni acquisiti per effetto di successione e donazione quelli che sono utili all’esercizio della professione e quelli di uso strettamente personale. Per quanto concerne gli atti rientranti nell’ordinaria amministrazione questi sono sottoposti all’autorità disgiunta di ogni singolo coniuge mentre per quelli eccedenti l’ordinaria amministrazione anche conosciuti come atti di straordinaria amministrazione è richiesto l’accordo congiunto di entrambi i coniugi. Tanto è vero che gli atti di straordinaria amministrazione compiuti senza il necessario consenso di entrambi i coniugi sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili registrati. Si deve invece ritenere che essi siano validi se riguardano beni mobili o beni mobili registrati. Come risulta dagli accenni fatti in tema di convenzioni matrimoniali un’eccezione al regime di comunione è rappresentata dalla possibilità offerta ai coniugi di stabilire tra loro un regime di separazione dei beni. Essa costituisce praticamente un rifiuto del principio di solidarietà familiare che ha ispirato la legge di riforma del diritto di famiglia ma peraltro va anche detto che gli interessati spesso vi ricorrono allo scopo non meno significativo di rendere più semplice gli atti relativi al loro patrimonio. L’ impresa familiare invece è un altro regime patrimoniale. Essa non è convenzionale non è pattizia quindi nasce non da un accordo delle parti ma nasce naturalmente e si basa sul lavoro condotto da un soggetto insieme con più membri della famiglia. L’articolo 230 bis introdotto con la riforma del diritto di famiglia ha previsto che i due coniugi parenti entro il terzo grado gli affini entro il secondo debbono partecipare in modo continuativo all’impresa familiare e acquisire i proventi che derivano da questa attività. Altro istituto di diritto civile che rientra tra le convenzioni matrimoniali è rappresentato dal fondo patrimoniale che viene equiparato alla dote che la futura sposa dava allo sposo prima della celebrazione del matrimonio. Questo istituto è concepito in funzione dei bisogni della famiglia, può essere costituito dagli sposi o anche da un terzo sia prima sia durante il matrimonio. La proprietà dei beni spetta a entrambi i coniugi se non è stato diversamente stabilito nell’atto di costituzione .Tuttavia quando il fondo cessa il giudice considerate le circostanze può anche attribuire ai figli il godimento in proprietà di una quota dei beni. I frutti devono essere destinati ai bisogni della famiglia. Esso ricalca a grandi linee lo schema della comunione dei beni facendo salva tuttavia la possibilità per i suoi rappresentanti di modellare diversamente il suo schema ponendo in essere delle clausole relative al fondo patrimoniale molto più vicine alla separazione dei beni. Il nostro legislatore riconosce ai coniugi la possibilità di sottrarsi alle conseguenze pesanti e dannose che potrebbero derivare dalla comunione dei beni optando per il diverso ed opposto regime di separazione. Questo regime di separazione dei beni comporta che sia i beni acquistati prima del matrimonio sia quelli acquistati dopo il matrimonio sono di proprietà esclusiva di chi li ha acquistati. Questo regime deve essere specificato nel momento di celebrazione del matrimonio o di fronte al sacerdote o altro ministro di culto nel caso del matrimonio cattolico o di una confessione diversa da quella cattolica mentre nel caso del matrimonio civile deve essere specificato di fronte all’ufficiale di stato civile o sindaco che procede alla celebrazione del matrimonio, a differenza del regime di comunione dei beni che invece scatta automaticamente al momento della celebrazione del matrimonio. È chiaro che il legislatore consente in ogni momento ai coniugi di cambiare il regime patrimoniale scelto passando dalla separazione dei beni eventualmente alla comunione dei beni o nella maggioranza dei casi passando dalla comunione dei beni alla separazione dei beni. In entrambi i casi è sempre necessario l’intervento di un notaio. È possibile notare come in mancanza di diversa convenzione, i rapporti patrimoniali tre coniugi sono disciplinati secondo le regole della comunione legale. L’amministrazione dei beni della comunione spetta disgiuntamente ad entrambi i coniugi per gli atti di ordinaria amministrazione spetta invece congiuntamente per gli atti eccedenti l’ ordinaria amministrazione(quelli di cui all’articolo 180 comma 2 del codice civile). Gli atti conclusi da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro e da questo non convalidati sono annullabili. Se riguardano beni immobili o beni mobili registrati la comunione legale dei beni si scioglie in presenza delle seguenti cause: morte di uno dei coniugi, dichiarazione di assenza di morte presunta, annullamento, scioglimento, cessazione degli effetti civili del matrimonio,separazione personale, separazione giudiziale dei beni a seguito di interdizione, inabilitazione, cattiva amministrazione, mutamento convenzionale del regime patrimoniale,fallimento di uno dei due coniugi. Riguardo il fallimento dei coniugi è il caso di ricordare che con l’ entrata in vigore della riforma delle procedure concorsuali ex decreto legislativo 14/2019 il fallimento sarà sostituito dalla nuova liquidazione giudiziale(la divisione della comunità legale si effettua ripartendo in parti uguali l’attivo ed il passivo). In caso di separazione personale la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati. La domanda di scioglimento della comunione può essere proposta anche in pendenza della causa di separazione dei coniugi ma lo scioglimento della comunione legale diventerà effettivo solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di separazione come affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza numero 4757 del 2010. Ai sensi dell’articolo 215 invece del codice civile i coniugi possono pattuire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio. In questo caso ciascuno dei coniugi ha il godimento e l’amministrazione dei beni di cui è un esclusivo titolare. Questa convenzione può essere anche dichiarata nell’atto di celebrazione del matrimonio. Nel caso di ricorso non al matrimonio ma alla convivenza i conviventi possono disciplinare rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza. Tale contratto, le sue modifiche e la sua risoluzione sono redatte in forma scritta a pena di nullità con atto pubblico o con scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o avvocato che ne attestano la conformità alle norme relative all’ordine pubblico ai fini dell’opponibilità ai terzi. Il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica quindi autoindicando la sottoscrizione deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmettere copie al comune di residenza dei conviventi per iscrizione all’anagrafe ai sensi degli articoli 57 del DPR numero 223 del 89. Il contratto porta con sé l’indicazione dell’indirizzo indicato da ciascuna parte alla quale sono effettuate le comunicazioni riguardanti il contratto medesimo. Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine, o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscono termini o condizioni questi si hanno per non opposti. Il contratto di convivenza deve contenere l’indicazione della residenza, le modalità di contribuzione alla necessità della vita in comune in relazione alle sostanze, le capacitàdi lavoro professionali o casalingo. Il regime patrimoniale della comunione dei beni può essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le formalità previste per la stipulazione dei contratti di convivenza. In ogni caso resta ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari. La nullità insanabile di un contratto di convivenza può essere fatto valere da chiunque vi abbia interesse. Il contratto di convivenza si risolve per accordo delle parti,recesso unilaterale di una delle parti,matrimonio, unione civile tra i conviventi o tra uno dei conviventi ed un’ altra persona. La risoluzione del contratto di convivenza per accordo tra le parti o per recesso di una delle parti deve essere adattato alle regole previste per la stipula. La legge prevede una serie di adempimenti formali a carico delle parti e dei professionisti che hanno dato forma ai sensi dell’articolo 1 comma 60 e 63 della legge 77 del 2016 ai contratti di convivenza. A questi ultimi infine si applica la legge nazionale comune dei contraenti cioè l’articolo 30-bis della legge 218 del 95.
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