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Licenziamento per giusta causa, il ruolo dell’investigatore privato

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Licenziamento per giusta causa: con la sentenza n. 30547 del 28 ottobre 2021, la Corte di Cassazione ha ribadito il diritto del datore di lavoro di far seguire il dipendente da un investigatore privato per verificare la falsa malattia

La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla legittimità di un licenziamento per giusta causa nei confronti di un lavoratore. Con la sentenza n. 30547 del 28 ottobre 2021 ha, infatti, respinto il ricorso del dipendente licenziato che era a casa per malattia.

In particolare, la sentenza ha ribadito il diritto del datore di lavoro di far seguire il dipendente da un investigatore privato per verificare se la malattia esista davvero o se, in ogni caso, le sue condizioni non siano effettivamente compatibili con l’ambiente di lavoro.

Sebbene sia solo il medico fiscale a poter accertare la presenza o meno di una patologia, è anche vero che il datore può, dal canto suo, appurare con altri mezzi che non sussista l’incapacità a rendere la prestazione cui è tenuto l’addetto.

Il caso

L’operaio, temendo un procedimento disciplinare dopo aver commesso una serie di illeciti, si è messo in malattia per una presunta lombosciatalgia. Insospettito dell’accaduto, il datore di lavoro si è rivolto ad un investigatore privato. Dalle indagini è emerso che le condizioni fisiche dell’operaio erano tutt’altro che incompatibili con l’attività lavorativa.

Appurato lo stato di falsa malattia, la società ha, così, avviato il procedimento di licenziamento per giusta causa. Il Tribunale ha rigettato il ricorso del lavoratore, evidenziando la legittimità del licenziamento. Al contrario, nel successivo grado di giudizio, la Corte d’appello ha annullato il licenziamento disposto dalla società.

I giudici hanno rilevato l’inutilizzabilità della relazione dell’investigatore privato, in quanto in violazione dell’art. 5, Legge 300/70. La Corte di Cassazione ha successivamente cassato la sentenza della Corte d’appello, in particolare l’affermazione secondo cui il datore di lavoro non avrebbe avuto la possibilità di verificare l’effettività dello stato di malattia del lavoratore attraverso il ricorso a un investigatore privato.

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In questo caso gli accertamenti del datore non avevano una finalità sanitaria, ma lo scopo di dimostrare che la malattia lamentata dal dipendente non era incompatibile con l’attività lavorativa o l’assenza dalla stessa. Di qui la legittimità dell’accertamento effettuato dal datore tramite investigatore privato.

Licenziamento per giusta causa, quando può essere disposto

Il licenziamento è l’atto con il quale l’azienda pone fine, unilateralmente, al rapporto di lavoro, a prescindere dalla volontà del dipendente. Sulla base di quanto disposto dalla Legge n. 604 del 15 luglio 1996 dello Statuto dei lavoratori e della L. n. 108 del 11 maggio 1990, il datore di lavoro può licenziare un dipendente soltanto per giusta causa, per giustificato motivo (oggettivo o soggettivo) oppure un licenziamento collettivo.

Il licenziamento per giusta causa, in particolare, è disciplinato dall’art. 2119 c.c., che recita: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.

È la forma più grave di licenziamento ed è comminato per via di un grave inadempimento commesso dal lavoratore, tale da compromettere il suo rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Tra i motivi rientra proprio la falsa malattia, l’abuso dei permessi legge 104, ma anche il furto di beni aziendali durante l’esercizio delle sue mansioni, la diffamazione dell’azienda e dei prodotti della stessa, le minacce nei confronti del datore di lavoro o di colleghi, il danneggiamento di beni aziendali.

La giusta causa rappresenta nei fatti il licenziamento disciplinare per eccellenza, tale da troncare immediatamente il rapporto di lavoro.

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