L’abbandono del tetto coniugale fa perdere la proprietà della casa? Cosa succede alla casa se un genitore se ne va, pur essendo proprietario? L’altro genitore e i figli possono rimanere all’interno dell’abitazione e viverci? Richiedi una consulenza all’agenzia Investigativa IDFOX Investigazioni dal 1991 Tel.02344223

L’abbandono del tetto coniugale fa perdere la proprietà della casa?

Cosa succede alla casa se un genitore se ne va, pur essendo proprietario? L’altro genitore e i figli possono rimanere all’interno dell’abitazione e viverci? Richiedi una consulenza all’agenzia Investigativa IDFOX Investigazioni dal 1991 Tel.02344223

 

Un nostro lettore ci ha posto il seguente quesito: «Mio padre ha lasciato la famiglia per un’altra donna. La casa dove viviamo è intestata sia a lui che a mia madre. Considerando che io e mio fratello, attualmente disoccupati, viviamo ancora qui, mio padre potrebbe in futuro richiedere la sua quota dell’immobile?». La questione che pone il lettore è dunque la seguente: se la casa è cointestata, che succede in caso di abbandono del tetto? Tale comportamento fa perdere la proprietà oppure è ininfluente?

La situazione descritta è sicuramente delicata e coinvolge diversi aspetti, soprattutto di natura affettiva. Dal punto di vista legale, tuttavia, ci sono alcuni principi fondamentali da considerare.

Quando un immobile è cointestato, entrambi i proprietari hanno pari diritti sulla proprietà. Ciò significa che il padre, essendo comproprietario dell’abitazione, può sempre reclamare la sua parte, indipendentemente dalla situazione familiare o dall’uso attuale dell’immobile.

Tuttavia, la legge prevede anche la possibilità di tutelare anche l’altro cointestatario, specialmente dinanzi a particolari condizioni di vulnerabilità, come nell’ipotesi di figli minori o maggiorenni ma non ancora autosufficienti, con lui conviventi. Ecco, dunque, le regole da tenere in considerazione.

L’abbandono del tetto coniugale è un illecito civile solo nel caso di coppia sposata. Esso comporta il cosiddetto “addebito”, ossia la “separazione con colpa”. Le conseguenze, nel caso di specie, non hanno grosso rilievo pratico: il genitore scappato di casa non potrà ottenere il mantenimento dall’ex e perderà ogni diritto ereditario dall’ex coniuge.

Da un punto di vista penale, l’abbandono del tetto domestico può costituire un reato se ciò fa venir meno, al resto della famiglia, le risorse per vivere. Si può infatti configurare il reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, passibile di querela da parte dell’ex coniuge o convivente o degli stessi figli, se maggiorenni.

Nonostante l’eventuale addebito e i profili penali appena visti, il padre mantiene tuttavia il diritto di comproprietà del 50% sul bene. Potrà decidere di vendere la propria quota ma non tutto l’immobile, non almeno senza il consenso della moglie.

L’uomo potrebbe un giorno chiedere la divisione della comunione sul bene, rivolgendosi al giudice. Il tribunale verificherà se vi è la possibilità di una divisione in natura dell’appartamento (ad esempio, con un frazionamento in unità immobiliari più piccole). Se ciò non dovesse essere fattibile e, nello stesso tempo, se nessuno dei due proprietari intende acquistare la quota dell’altro, l’immobile verrà messo all’asta, in vendita forzata.

Laddove, invece, entrambi i coniugi vogliano acquisire la quota dell’altro sul bene, il giudice prediligerà chi già vi vive (nel caso che stiamo esaminando, la moglie).

Tutto ciò che abbiamo appena detto deve fare i conti con un’ulteriore variabile: quella dell’assegnazione della casa familiare. Difatti, anche dinanzi a una coppia non sposata, in presenza di figli minori e/o, se maggiorenni, non ancora autosufficienti (ne basta uno soltanto), il tribunale deve assegnare l’abitazione al genitore con cui vive la prole (nel caso di specie, la madre). Tale misura mira ad evitare che i figli possano subire traumi derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare.

L’assegnazione del diritto di abitazione nella casa familiare è subordinata a due condizioni:

* la collocazione dei figli presso il genitore che rivendica tale diritto;

* la sussistenza, in capo ai figli stessi, del diritto a ottenere il mantenimento da parte dei genitori.

Pertanto, al fine di vedersi riconosciuto il diritto di abitazione nella casa, la madre deve dimostrare che almeno un figlio è minorenne, o portatore di handicap, o sta ancora formandosi (ossia sta studiando).

Se invece tutti i figli hanno superato i 30 anni di età o se, comunque, non dimostrano di svolgere un percorso formativo, allora il giudice potrà negare il mantenimento e, con esso, l’assegnazione della casa.

Ciò non toglie che la donna possa continuare a vivere, coi figli, nella casa familiare. In quanto comproprietaria, questa ha il diritto di utilizzo riconosciutole dall’articolo 1102 del Codice civile: utilizzo però che non deve pregiudicare il pari diritto dell’altro titolare e non può comportare un mutamento della destinazione dell’immobile. Per tale utilizzo, la madre non è tenuta a pagare all’ex un canone di affitto.

In sintesi, il padre resta proprietario dell’immobile ma dovrà rispettare il diritto di abitazione della madre se ad ella viene assegnata dal tribunale la casa familiare e la collocazione dei figli. Diversamente i genitori potranno trovare un accordo sull’uso o sulla vendita del bene.

 

Fonte Internet

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