I genitori sono obbligati a mantenere i propri figli maggiorenni fino alla loro indipendenza economica.
Tuo figlio di 27 anni ha completato brillantemente il suo percorso di studi. Tuttavia, vive ancora a casa anche se percepisce una retribuzione mensile. Tuo marito si lamenta e vorrebbe che il ragazzo andasse a vivere altrove una volta per tutte, ma tu non sei d’accordo. Dopotutto, c’è la crisi economica e il suo stipendio non è poi così alto.
Ma se il figlio lavora ha diritto al mantenimento? Secondo la legge, i genitori devono provvedere alla prole fino al raggiungimento della loro indipendenza economica. Cosa non facile visti i tempi che corrono. Pertanto, la giurisprudenza ha fatto luce sulla questione, chiarendo che il figliolo deve attivarsi per trovare un’occupazione stabile che gli consenta di mantenersi autonomamente in attesa di un lavoro che soddisfi le sue aspirazioni. L’argomento ti interessa? Allora ti consiglio di continuare la lettura di questo articolo.
Quando il figlio ha diritto al mantenimento?
Sgombriamo il campo da ogni possibile equivoco: mamma e papà hanno l’obbligo di mantenere, educare ed istruire i figli fin dalla loro nascita. Si tratta di un principio sacrosanto e riguarda tutti i genitori, da quelli sposati a quelli separati. Ma fino a quando perdura questo dovere? Detto in altri termini, quando i genitori potranno smettere di occuparsi della prole dal punto di vista economico? Secondo la legge, nel momento in cui i figli sono in grado di mantenersi da soli anche se hanno ormai superato la soglia dei 18 anni. Ciò vuol dire che devono avere un lavoro stabile ed uno stipendio che consenta loro di vivere una vita dignitosa. Fino ad allora, quindi, bisogna farsi il segno della croce e provvedere alle loro esigenze.
In alcuni casi, il genitore è tenuto anche a corrispondere direttamente al figlio un assegno di mantenimento, a condizione che l’assenza di autosufficienza economica non sia colposa oppure imputabile alla sua negligenza.
Se il figlio è laureato ha diritto al mantenimento?
L’obbligo di mantenimento sussiste anche nei confronti del figlio maggiorenne laureato non ancora autosufficiente. Attenzione però: questo non vuol dire che gli studenti devono parcheggiarsi all’università per vivere sulle spalle dei genitori. In passato, infatti, si riteneva che il ragazzo maggiorenne doveva essere mantenuto fino quando non avesse percepito un reddito corrispondente alla professionalità acquisita e non avesse trovato un’occupazione rispondente alle competenze tecniche e professionali raggiunte. Ora, non è più così.
La società è cambiata e la crisi del mercato del lavoro impone a tutti i figli, indipendentemente dal titolo di studio raggiunto, di attivarsi per trovare subito un’occupazione che offra loro la possibilità di rendersi autonomi e di staccarsi da mamma e papà. Ciò in quanto, una volta raggiunta la maggiore età, una persona si presume idonea a produrre reddito. In pratica, vige il principio di autoresponsabilità, teso ad evitare una sorta di «parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani».
Secondo la giurisprudenza, inoltre, il figlio maggiorenne che ha completato il percorso di studi e ha raggiunto la soglia dei 30-35 anni, per ottenere ancora il mantenimento da parte dei genitori deve dimostrare che il suo stato di disoccupazione dipenda da fattori a lui non imputabili e di aver curato la sua formazione professionale.
Se il figlio lavora ha diritto al mantenimento?
Il figlio maggiorenne che lavora non ha diritto al mantenimento. Deve trattarsi, però, di un rapporto di lavoro stabile che consenta al ragazzo un’indipendenza economica. Di conseguenza, un contratto di lavoro precario oppure di apprendistato non è ritenuto sufficiente a garantire un’autonomia. Stesso discorso se il figlio è risultato vincitore di una borsa di studio di dottorato per la durata di tre anni.
È chiaro che se il ragazzo è un buono a nulla, ossia una persona che non vuole proprio saperne di trovare un’occupazione e che passa tutto il giorno a zonzo per strada oppure a rifiutare ogni forma di impiego, allora non avrà diritto neppure ad un euro. In casi del genere, infatti, la mancanza di un’attività lavorativa dipende unicamente dalla scarsa volontà.
Che succede, invece, nell’ipotesi in cui un figlio abbandoni un posto di lavoro senza una ragiona valida? Ha diritto al mantenimento? La risposta è negativa. Ti faccio un esempio.
Tizio ha 30 anni e, fino a poco tempo fa, viveva ancora con i suoi genitori. Un giorno, però, viene assunto come benzinaio presso una stazione di servizio della sua città. Non è il lavoro dei suoi sogni, ma percepisce comunque uno stipendio mensile di 1.200 euro. Dopo qualche tempo, si trasferisce in un piccolo appartamento. Passano i mesi e Tizio, stanco della solita vita, decide di lasciare il posto di lavoro per trovarne uno migliore.
Nell’esempio che ti ho riportato, Tizio non può chiedere il mantenimento in quanto ha abbandonato un’occupazione stabile di sua spontanea volontà. L’unica cosa che può ottenere dai genitori, qualora si trovi in stato di bisogno, sono gli alimenti, cioè una piccola somma di denaro necessaria per il vitto e l’alloggio.
Analizziamo un’altra ipotesi con un esempio.
Mevia e Sempronio sono separati. Quest’ultimo corrisponde, su disposizione del giudice, un assegno di mantenimento mensile al figlio di 25 anni perché disoccupato. Tuttavia, Sempronio scopre che il ragazzo lavora da circa due anni come operaio presso un’industria tessile.
In questo secondo esempio, Sempronio non può interrompere la corresponsione del contributo autonomamente, ma deve rivolgersi al giudice per chiedere la revoca dell’obbligo di versare il mantenimento al figlio e la sua condanna alla restituzione degli arretrati versati a partire dal giorno in cui questi ha raggiunto l’autosufficienza economica.