Quando i figli crescono, le condizioni stabilite nei provvedimenti di separazione coniugale o di divorzio per il loro mantenimento possono cambiare.
C’è chi continua a studiare e si iscrive all’Università o a un master, chi trova un lavoro appena possibile e chi invece resta inoperoso, magari confidando proprio nell’assegno mensile.
Ma i casi possibili sono numerosissimi: c’è anche chi viene assunto presso l’azienda paterna o materna e così il coniuge obbligato a pagare il mantenimento si chiede se debba continuare a farlo oppure no, visto che il figlio ha comunque raggiunto l’indipendenza economica.
La domanda che ci si pone è: «L’assegno di mantenimento spetta se chi paga assume il figlio?». Il problema può essere visto dal lato del percettore del mantenimento (e del genitore con cui di solito convive e che riceve l’assegno per le spese necessarie al figlio) oppure dalla prospettiva di chi è tenuto a versarlo. Quest’ultimo potrebbe dire di adempiere per equivalente, assumendo il giovanotto in azienda quando raggiunge l’età necessaria per lavorare?
Se fosse così, egli non sarebbe più tenuto a pagare. In questo modo il genitore eviterebbe di versare all’ex coniuge i soldi per il figlio, non più necessari: grazie al fatto che il ragazzo ha ottenuto un lavoro e percepisce un reddito stabile, potrebbe sostenere che ha ormai raggiunto l’indipendenza economica. Dunque non dovrebbe più versare l’assegno, ma solo lo stipendio pattuito.
Del caso si è occupata recentemente la Corte di Cassazione, stabilendo che il mantenimento del figlio è comunque dovuto ed anzi, in caso di mancata corresponsione, la madre è legittimata ad agire per riscuotere le somme anche quando il beneficiario è diventato maggiorenne.
Ma procediamo con ordine e, al di là della vicenda specifica stabilita dalla Suprema Corte, vediamo come stanno le cose quando il figlio ha conseguito l’indipendenza economica oppure non lavora pur avendo raggiunto l’età adeguata ed essendo capace di farlo.
L’autosufficienza economica
Ci sono due facce della medaglia che vanno esaminate separatamente: se il figlio arriva a una certa età ed è privo di lavoro per sua “colpa”, non ha più diritto all’assegno, ma se il genitore che deve pagare lo assume nella sua azienda deve continuare a versarglielo. Tutto dipende dall’autosufficienza economica raggiunta dal figlio maggiorenne.
Se il giovane diventa autonomo in maniera stabile, ciò ha conseguenze sull’erogazione dell’assegno di mantenimento, che potrà essere interrotta. Abbiamo approfondito questo aspetto nell’articolo “Mantenimento: spetta anche ai figli maggiorenni?” precisando i limiti dell’obbligo di mantenimento e quando esso viene meno proprio in relazione alla raggiunta indipendenza.
La revisione dell’assegno di mantenimento
La decisione di interrompere i versamenti periodici non potrà essere unilaterale e arbitraria da parte dell’obbligato: egli, se vuole modificare le condizioni stabilite nel provvedimento che ha disposto il beneficio, dovrà farlo chiedendo l’apposita modifica, o revisione, al giudice competente.
In proposito leggi l’articolo “Modifica mantenimento figli: come si fa?” per conoscere i dettagli della procedura. Tieni presente che in questi casi non basta un semplice accordo tra i coniugi, occorre invece un provvedimento del giudice che fissi l’ammontare in maniera diversa rispetto a quanto stabilito nella sentenza originaria di separazione o di divorzio, oppure lo escluda del tutto per il futuro.
Figli disoccupati: effetti sul mantenimento
Abbiamo appena visto che il raggiungimento della piena autonomia economica dei figli, una volta constatato dal giudice, comporta che essi non potranno più beneficiare del mantenimento. Ma anche se l’indipendenza non viene raggiunta, l’assegno può venire meno se si accerta che l’incapacità economica deriva dalla scarsa volontà e propensione del figlio, ormai grande, a cercare un’occupazione, come ha affermato la Cassazione in alcune famose pronunce note come quella sui figli “bamboccioni”.
Se la mancanza di lavoro non deriva da uno scarso impegno dell’interessato, ma è dovuta a fattori estranei alla sua volontà (come una grave malattia, un’invalidità permanente, la mancanza di adeguata formazione tecnico-professionale, una crisi economica generalizzata, ecc.) l’assegno dovrà continuare ad essere erogato.
In sostanza, il genitore deve fornire prova dell’autosufficienza raggiunta dal figlio o della sua colpa per il fatto di non aver trovato un’occupazione remunerata. In tal caso, il giovane dovrà dimostrare che l’indipendenza economica non è adeguata e stabile (ad esempio, perché il lavoro è occasionale o scarsamente retribuito) oppure che il fatto di non aver trovato lavoro non dipende da una cattiva volontà e da altri fattori sotto il suo controllo, ma è stato determinato da cause a lui non attribuibili e di cui non è responsabile.
Modifica assegno mantenimento figli maggiorenni
La richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento [3] può essere chiesta in tutti i casi in cui si siano verificati fatti sopravvenuti cioè nuovi rispetto a quelli già valutati nel provvedimento che aveva stabilito l’originario importo e tali da rendere necessaria la modifica di tali condizioni precedenti e non più adeguate. Ciò può accadere quando siano sensibilmente mutate le condizioni economiche dell’obbligato o del beneficiario, come abbiamo visto poc’anzi nel caso del raggiungimento dell’indipendenza grazie ad un lavoro stabile e adeguatamente remunerato.
Perciò, non basta il raggiungimento della maggiore età per rivisitare l’importo del mantenimento: conta invece l’autosufficienza o, al contrario, la non autosufficienza colpevole.
La revisione potrà essere in aumento o in diminuzione, a seconda dei casi. Quanto alla legittimazione attiva – cioè chi può chiedere la revisione – la giurisprudenza ritiene che possano farlo, dal lato del ricevente, sia il figlio maggiorenne sia il genitore con cui ancora convive (è il caso ad esempio di uno studente universitario che abbia bisogno di più soldi per proseguire gli studi).
In particolare, il genitore rimane legittimato ad agire per conto e nell’interesse del figlio anche quando egli è divenuto maggiorenne, ma «non eserciti il diritto o non sia autosufficiente» .
Invece, è pacifico che l’altro genitore, quello obbligato al pagamento, potrà sempre domandare la revisione dell’assegno, al verificarsi delle condizioni che abbiamo descritto e che legittimano la diminuzione dell’importo o la cessazione completa.
Nel nuovo caso deciso dalla Suprema Corte cui abbiamo accennato in apertura, era accaduto che la madre aveva precettato l’ex marito per farsi pagare gli arretrati dell’assegno di mantenimento per il figlio, non corrisposti per alcuni anni.
Il padre si era opposto, deducendo di averlo nel frattempo assunto alle proprie dipendenze: ma gli Ermellini hanno affermato che questi eventi sono «fatti sopravvenuti» che possono, e avrebbero dovuto, essere fatti valere con il provvedimento di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Perciò, il suo ricorso è stato respinto per inammissibilità. Così soltanto rivedendo il provvedimento sul contributo al mantenimento del figlio è possibile arrivare a una diversa determinazione dell’assegno oppure escluderlo del tutto.