Investigatore Privato_Mantenimento moglie che sacrifica la carriera per il marito

Una donna che ha rinunciato al lavoro per dedicarsi alla famiglia può avere un assegno più alto dall’ex coniuge che ha avuto successo anche grazie a lei?

 

Separazioni e divorzi sono il momento della resa dei conti per molte coppie. I coniugi si rinfacciano reciprocamente molti aspetti della vita passata; rivedono e mettono in discussione tutte le scelte fatte durante gli anni di matrimonio. Sanno che questo può pesare sull’addebito della separazione e sull’entità del mantenimento da pagare all’ex coniuge economicamente più debole. Un aspetto che emerge spesso nelle liti è quello della donna che ha rinunciato alle sue aspettative personali per favorire il lavoro dell’uomo, soprattutto quando è prestigioso e ben remunerato, come un professionista, un dirigente o un imprenditore.

Quando l’ex moglie si è sacrificata per la carriera del marito il mantenimento va riconosciuto? E l’assegno di divorzio può avere un importo maggiore? La giurisprudenza di solito dice di sì, perché bisogna tenere conto del fatto che la moglie, dedicandosi alla famiglia, alla cura della casa ed alla crescita dei figli, ha contribuito all’accumulo di ricchezza del marito, che grazie a lei è rimasto libero di dedicarsi pienamente ai suoi impegni esterni.

Certo, questo elemento non è l’unico che determina la decisione sulla spettanza dell’assegno divorzile e sul suo ammontare, ma indubbiamente influisce molto. Lo dimostra una nuova pronuncia della Cassazione, che ha attribuito un elevato assegno (1.200 euro mensili) a una donna autonoma dal punto di vista economico (aveva lavorato come insegnante in una scuola pubblica), ma che aveva dato un contributo determinante alla vita familiare. Questo aveva permesso al marito di impegnarsi totalmente nella professione, ricavandone lauti guadagni, ai quali è giusto che l’ex moglie divorziata ora partecipi almeno in parte. Vediamo come la Suprema Corte tiene conto, nella determinazione dell’assegno di mantenimento, delle aspettative di carriera sacrificate da un coniuge in favore dell’altro.

 

Assegno di mantenimento all’ex moglie: quando?

Il «mantenimento» dell’ex coniuge è di due tipi: c’è l’assegno di mantenimento, che viene stabilito con la separazione coniugale, e l’assegno di divorzio, che lo sostituisce quando arriva la sentenza che dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Le due misure di sostegno economico sono molto diverse tra loro:

  •  l’assegno di mantenimento è basato sulle rispettive condizioni economiche degli ex coniugi e scatta in favore del coniuge più debole quando c’è un sensibile divario, per garantirgli di mantenere lo stesso tenore di vita di cui godeva durante il matrimonio;
  •  l’assegno divorzile, invece, è una misura assistenziale, compensativa e perequativa disposta a beneficio dell’ex coniuge che, senza sua colpa, non è in grado di mantenersi autonomamente con i propri redditi o attraverso altre disponibilità patrimoniali. Esso prescinde completamente dal vecchio tenore di vita.

 

Mantenimento e attività lavorativa dell’ex coniuge

L’incapacità dell’ex coniuge economicamente debole di mantenersi da sé deve essere oggettiva e incolpevole, cioè non deve dipendere da una cattiva volontà, come avviene quando si rifiuta un lavoro retribuito che si sarebbe in condizioni di svolgere, o si rinuncia a cercarlo. L’assegno divorzile non può diventare una rendita vitalizia, e parassitaria, per vivere comodamente a spese dell’ex coniuge anziché impegnarsi a trovare un’occupazione da cui trarre un reddito.

L’incapacità è considerata incolpevole quando la disoccupazione è dovuta a malattie e invalidità che impediscono di ottenere un impiego o anche all’età avanzata (si considera tale quella dai 40/45 anni in su) che preclude l’inserimento nel mondo del lavoro, specialmente se si accompagna ad un basso livello di istruzione e ad una scarsa qualificazione professionale. In tali casi, l’assegno divorzile spetta e viene riconosciuto.

 

Ex coniuge sacrificato: il mantenimento va aumentato?

La giurisprudenza considera incolpevole anche la situazione di difficoltà economica dell’ex moglie che ha rinunciato alle proprie concrete possibilità lavorative per dedicarsi – consapevolmente e d’intesa con il marito – alla gestione della casa e dei figli, così conducendo per un lungo periodo una vita esclusivamente domestica e perdendo, anche per il futuro, la possibilità di trovare un lavoro.

Questo criterio viene adottato soprattutto quando il matrimonio cessato aveva avuto una lunga durata e la donna ha ormai raggiunto un’età avanzata. In questi casi, l’assegno di divorzio viene incrementato nell’importo, per renderlo proporzionato all’incremento di ricchezza che il marito ha potuto conseguire grazie al sacrificio della moglie rimasta a casa per molti anni.

Di recente, la Corte di Cassazione ha applicato questo criterio, affermando che:

  •  «Ai fini della liquidazione dell’assegno divorzile, deve essere posta attenzione al criterio della formazione del patrimonio dell’altro o di quello comune: l’eventuale squilibrio esistente tra gli ex coniugi va messo in relazione con gli altri parametri di legge, segnatamente al sacrificio delle aspettative professionali per l’assunzione di un ruolo trainante endo-familiare»;
  •  «L’attribuzione dell’assegno divorzile richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi del richiedente, cui si perviene valutando comparativamente le condizioni economiche degli ex coniugi, in considerazione del contributo fornito dal richiedente al patrimonio e, soprattutto, tenendo conto delle aspettative sacrificate».

 

Aspettative sacrificate di moglie casalinga con colf

La nuova sentenza della Corte di Cassazione che ti abbiamo anticipato all’inizio – e che puoi leggere per esteso in fondo a questo articolo – ha allargato ancor più questo riconoscimento e ha stabilito che l’ex moglie casalinga incassa l’assegno di divorzio anche se aveva lavorato in passato come insegnante e in casa c’era una colf che collaborava abitualmente, recandosi con «frequenza plurisettimanale» nell’abitazione familiare.

Secondo la Suprema Corte, è determinante il contributo offerto dalla donna nella gestione della vita familiare e nella crescita dei figli, durante i 23 anni di durata del matrimonio: questo apporto ha permesso all’ex marito di dedicarsi completamente alla sua professione (svolta anche all’estero) e di ricavarne grossi guadagni. In questo modo, il ruolo dell’ex moglie è stato fondamentale per la formazione e l’accrescimento del patrimonio familiare e personale del coniuge che aveva ottenuto un notevole successo economico.

 

 

 

 

 

 

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