Quando scatta l’accusa per il delitto di maltrattamenti, di abuso dei mezzi di correzione e di lesioni personali a carico dell’insegnante che percuote gli alunni.
I sistemi pedagogici si sono molto evoluti nell’epoca moderna. Certe pratiche “educative” che nel secolo scorso erano esercitate in ambito scolastico e tollerate dai genitori, come uno schiaffo sul viso o una sculacciata ad un alunno “ribelle”, adesso sono considerate in modo pressoché unanime come violenza fisica ed anche psicologica. Le norme penali, invece, come quelle sull’abuso dei mezzi di correzione e sui maltrattamenti, sono rimaste le stesse di quasi un secolo fa. È cambiata molto, però, la loro interpretazione. Questa premessa è necessaria per capire se, al giorno d’oggi, una maestra che sculaccia i bambini commette reato.
Negli anni più recenti, i giudici hanno adottato la linea dura contro questi episodi: le percosse di qualsiasi tipo costituiscono violenza e, perciò, gli insegnanti che usano abitualmente le punizioni corporali vengono quasi sempre ritenuti colpevoli del reato di maltrattamenti, che è molto più grave di quello dell’abuso dei mezzi di correzione e di disciplina. Inoltre, se gli schiaffi lasciano segni sul corpo o nella psiche del bambino, c’è anche il reato di lesioni personali.
Ma alcune pronunce vanno in controtendenza, come una recentissima sentenza della Corte di Cassazione che ha prosciolto dalle accuse alcune maestre d’asilo che talvolta avevano sculacciato i loro piccoli allievi e c’era la prova di questi episodi, registrati dalle telecamere.
In realtà, questa sentenza non fa altro che applicare gli stessi principi già adottati dalla giurisprudenza in questi inquietanti casi. L’apprezzamento dei fatti e della loro gravità è fortemente intrecciato con il loro inquadramento giuridico, ma viene sempre prima di esso e ciò è necessario per evitare interpretazioni distorte. Un conto è una punizione corporale adottata in modo sistematico e reiterato, un altro conto è uno «schiaffetto» – così lo definisce la Corte – occasionale e che non turba la serenità del rapporto tra maestre e bambini.
Cerchiamo allora di orientarci in questo difficile campo per capire se e quando una maestra che sculaccia i bambini commette un reato e, in caso affermativo, di quale reato si tratta e quali sono le conseguenze penali.
Sculacciare un bambino è reato?
La sculacciata, come tutti sappiamo, è una percossa ripetuta sul sedere, che viene data con la mano aperta. È compiuta con l’intenzione di provocare un piccolo dolore fisico, che viene inflitto dall’adulto come castigo e punizione per qualche mancanza, bugia, capriccio o altra marachella commessa dal bambino. Gli esperti la ritengono sbagliata, perché non aiuta il bambino a comprendere il comportamento giusto: soprattutto i bimbi più piccoli non sono in grado di comprendere il motivo di questa punizione e ciò può provocare ansia, frustrazione e ribellione. Le maestre, che sono professioniste dell’educazione, conoscono bene questi concetti.
A livello giuridico, i reati configurabili per una sculacciata sono diversi e la qualificazione del fatto costituente reato dipende soprattutto dalla frequenza di ripetizione e dell’intensità delle percosse.
I reati ravvisabili in una sculacciata sono, a seconda dei casi:
- le percosse: il reato punisce chi colpisce fisicamente una persona senza che da ciò derivi una malattia nel corpo o nella mente;
- le lesioni personali, quando dalla sculacciata deriva una conseguenza fisica (lividi, ecchimosi, contusioni, escoriazioni, ferite) o psichica;
- l’abuso dei mezzi di correzione e di disciplina, «se dal fatto deriva il pericolo di una malattia, nel corpo o nella mente»;
- i maltrattamenti, che si configurano quando le condotte esulano da ogni finalità educativa. Sono la fattispecie più grave, in quanto il reato è punito con la reclusione da tre a sette anni, ma la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in danno di un minore, come avviene nelle scuole dell’infanzia e dell’obbligo. Inoltre, il delitto di maltrattamenti può concorrere con quello di lesioni personali.
Maestra sculaccia i bambini: cosa fare?
Il bambino che viene percosso abitualmente e in modo intenso mostra segni fisici ed anche di malessere psicologico che i genitori possono riconoscere. Il comportamento del bimbo rivela molto: c’è il disagio nell’andare a scuola o all’asilo, un nervosismo eccessivo, il pianto immotivato, frequenti sbalzi d’umore e di comportamento. Il bambino può confidarsi con i genitori e rivelare direttamente gli episodi di violenza che ha subito; altrimenti può essere d’aiuto la visita di un pediatra e di uno psicologo infantile che possono individuare e riconoscere i segni meno evidenti.
Se gli episodi di violenza vengono riconosciuti, gli insegnanti possono essere denunciati alle autorità (Procura della Repubblica, Polizia, Carabinieri). I genitori espongono i fatti che hanno appreso e lasciano agli inquirenti il compito di accertarli e di qualificarli in uno dei reati ipotizzabili che ti abbiamo descritto.
Sculacciate in classe: la prova delle telecamere
Di solito, le sculacciate vengono inferte ai bambini più piccoli, che potrebbero avere ritrosia a rivelare direttamente di averle subite. Gli inquirenti, per acquisire la prova dei fatti denunciati dai genitori, potranno decidere di installare le telecamere a scuola in modo da riprendere, attraverso la videosorveglianza nascosta. la vita quotidiana nella classe e così di verificare se le maestre compiono davvero condotte violente sui bambini. I filmati spesso si rivelano utili per incastrare gli insegnanti che compiono atti illeciti.
Sculacciate ai bambini: quando non sono reato?
La nuova sentenza della Cassazione che ti abbiamo anticipato all’inizio ha riscontrato, attraverso le registrazioni audio e video compiute nell’aula d’asilo, che le maestre in alcune occasioni avevano sculacciato i bambini, ma ha ritenuto che tale condotta non fosse sufficiente per integrare il reato di maltrattamenti. Così le maestre incriminate sono state assolte. La Corte afferma che le sculacciate sono «moralmente non apprezzabili» ed «errate sotto il profilo pedagogico», ma sostiene che esse «non assumono rilievo penale».
Il Collegio è giunto a questa decisione perché dalle videoriprese – protratte per due mesi di osservazione – era emerso che «la vita all’interno del nido riservava anche molti momenti di serenità con atteggiamenti affettuosi delle maestre nei confronti dei bambini». Inoltre, mancavano «precisi elementi indicatori di un disagio psicologico nei bambini», che, invece, «si affidano sereni alle maestre nei momenti di tranquillità, senza che sia possibile riscontrare un clima di paura da parte loro». Perciò, gli Ermellini hanno sancito che «non è stata accertata la sussistenza di condotte violente sistematiche, tali da determinare un clima di abituale afflizione nei bambini» e non era ipotizzabile «una situazione, all’interno della classe, caratterizzata da un atteggiamento fortemente persecutorio delle maestre».
A salvare le maestre dall’accusa di maltrattamenti è stata decisiva la constatazione che, «a parte l’uso, da parte loro, di un linguaggio non appropriato nei termini e nei modi, e alcuni momenti di proibizioni e singoli episodi di violenza fisica – uno schiaffetto o una sculacciata –», tutte le condotte si inserivano «nel contesto di un’intera giornata in cui non mancavano spontanee manifestazioni di affetto da parte delle maestre e scene di serenità». Quindi – osserva la sentenza – «sono mancati comportamenti reiterati costituenti maltrattamenti e assistiti dalla necessaria coscienza e volontarietà, non essendosi realizzate quelle condizioni di ripetizione di atti vessatori idonee a determinare la sofferenza fisica o morale continuativa dei bambini, difettando, del resto, in loro anche comprovati turbamenti psichici o danni psicologici».
In definitiva, secondo il ragionamento dei giudici di piazza Cavour quello che conta è la serenità del rapporto tra maestra e bambini, che una sculacciata non può turbare.