Investigatore privato_Farsi curare all’estero: c’è diritto al rimborso?

Per la Corte di giustizia Ue non sempre è obbligatoria l’autorizzazione dell’Asl per riavere i soldi spesi in un altro Paese dell’Unione.

Proprio una questione di principio ha portato un cittadino dell’Ue davanti alla Corte di giustizia europea per reclamare l’intero rimborso per le cure ricevute, anche se non autorizzate, in un altro Stato membro.

Il problema che si pone è che se, ad esempio, ti sposti dall’Italia in Germania per fare delle terapie senza l’autorizzazione del Servizio sanitario nazionale, ti verrà rimborsato non quello che hai effettivamente speso, ma quello che corrisponde alle tariffe applicate in Italia per le stesse cure. Si tratterà, dunque, di un rimborso parziale e non totale. Ma recentemente la Corte di Lussemburgo si è detta contraria a questa procedura.

Vediamo perché e se per farsi curare all’estero c’è diritto al rimborso integrale.

 

Farsi curare all’estero: quando è possibile?

Le regole per farsi curare all’estero gratuitamente o chiedendo il rimborso delle spese al Servizio sanitario nazionale prevedono che ci siano queste condizioni:

  •  che sia una prestazione impossibile da ottenere in una struttura pubblica italiana in tempi utili;
  •  che ci sia una situazione di urgenza;
  •  che la terapia o la prestazione rientri nei livelli essenziali di assistenza, i cosiddetti Lea, riconosciuti dalla Sanità italiana;
  •  che il paziente sia indigente;
  •  che sia stata rilasciata la relativa autorizzazione dell’Asl.

 

Farsi curare all’estero: in quali Paesi?

Per farsi curare all’estero e avere diritto al rimborso delle spese, è necessario rivolgersi a uno dei Paesi dell’Unione europea o a una struttura dell’area Efta, vale a dire:

  •  Svizzera;
  •  Norvegia;
  •  Islanda;
  •  Liechtenstein.

Il paziente dovrà presentare all’ospedale o all’istituzione competente il modulo che attesta il diritto ad essere curato, cioè la già citata autorizzazione dell’Asl. In questo modo, il cittadino paga solo l’eventuale ticket, come se si rivolgesse ad una struttura italiana per fare le terapie, a meno di avere un’esenzione: a seconda dell’attestato rilasciato dall’Asl, infatti, e a seconda di quanto stabilito dalla singola convenzione, si potrà avere una copertura sanitaria completa o limitata a determinate prestazioni.

A proposito di convenzioni, ci sono altri Paesi oltre a quelli già elencati, con i quali l’Italia ha sottoscritto degli accordi per poter ricevere delle cure all’estero. Si tratta di:

  •  Argentina;
  •  Australia;
  •  Brasile;
  •  Capo Verde;
  •  Città del Vaticano;
  •  Macedonia;
  •  Serbia Montenegro;
  •  Bosnia-Erzegovina;
  •  Principato di Monaco;
  •  San Marino;
  •  Tunisia.

Se le cure vengono effettuate in qualsiasi altro Paese con il quale non esiste la convenzione, per ottenere il rimborso bisognerà presentare la relativa richiesta al ministero della Salute – Direzione generale della Programmazione Sanitaria – Ufficio 8, tramite Ambasciata o Consolato territorialmente competente, entro tre mesi dalla data di effettuazione dell’ultima spesa, consegnando questi documenti:

  •  domanda di rimborso redatta dal titolare dell’assistenza con data di presentazione e timbro e firma da parte della Rappresentanza ai fini dell’accertamento dei termini di decadenza;
  •  copia dell’attestato ex art. 15 del D.P.R. 31 luglio 1980, n. 618;
  •  parere motivato del Capo della Rappresentanza diplomatica o dell’Ufficio consolare circa la congruità dei prezzi, tariffe, onorari del luogo, con il quale venga specificato se l’assistito sia stato costretto a rivolgersi a struttura privata in mancanza o per inadeguatezza di strutture pubbliche;
  •  codice fiscale del titolare dell’assistenza, ovvero del lavoratore;
  •  certificato medico con diagnosi e/o relazione sanitaria;
  •  in caso di ricovero ospedaliero, dichiarazione da parte della struttura sanitaria del costo della degenza ordinaria in vigore nella struttura medesima;
  •  documentazione di spesa in originale, regolarmente quietanzata, rilasciata in conformità con le norme fiscali vigenti nel Paese (fatture, quietanze o ricevute di pagamento) dalla quale risulti la distinta dei singoli costi delle prestazioni;
  •  traduzione in lingua italiana della documentazione qualora quest’ultima sia in lingua diversa da inglese e francese;
  •  modalità di rimborso: domicilio o c/c bancario del titolare in Italia, con i relativi codici ABI/CAB e IBAN. Per i contrattisti, beneficiari dell’assistenza, che non sono titolari di conto corrente in essere presso un istituto bancario in Italia, è possibile effettuare il rimborso delle spese sanitarie mediante accreditamento sul conto corrente della Rappresentanza diplomatica o consolare sede di servizio.

 

Farsi curare all’estero senza l’autorizzazione dell’Asl

Come abbiamo detto, la procedura per farsi curare all’estero e avere diritto al rimborso prevede che prima di partire dall’Italia si chieda la relativa autorizzazione all’Asl. La Corte di giustizia europea, però, non la pensa del tutto così e con una recente sentenza ha disposto che in determinati casi c’è diritto al rimborso integrale delle spese per cure fatte in uno Stato Ue diverso da quello di residenza anche senza l’autorizzazione del Servizio sanitario del proprio Paese. Non solo: è contrario al diritto comunitario l’obbligo di presentare, per ottenere l’autorizzazione, un parere del medico del proprio Stato di residenza.

In questo modo, i giudici di Lussemburgo allargano a tutto il perimetro dell’Unione europea la scelta dei luoghi in cui farsi curare e rende la procedura più semplice.

 

La causa presso la Corte di giustizia Ue era stata avviata dagli eredi di un cittadino rumeno che si era ammalato di tumore e che aveva deciso di sentire un parere medico in Austria, dopo essersi consultato con il proprio dottore. Lì aveva fatto delle terapie alternative all’intervento che gli era stato proposto nel suo Paese.

Per ottenere il rimborso delle relative spese, il paziente aveva chiesto l’autorizzazione richiesta. Ma i tempi della burocrazia lo avevano convinto ad andare in Austria senza il modulo che avrebbe dovuto rilasciare il Sistema sanitario di Bucarest.

 

Il paziente si è visto rimborsare solo una parte della spesa sostenuta, cioè quella calcolata in base alle tariffe applicate in Romania e non in Austria. Da qui l’azione legale che, attraversando parte dell’Europa, è arrivata dalla Romania fino in Lussemburgo.

Qui, la Corte di giustizia ha messo alcuni puntini sulle «i». Prima di tutto, ha precisato che «una prestazione medica fornita dietro un corrispettivo rientra nella prestazione dei servizi e, quindi, deve essere applicato l’articolo 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che include anche il diritto del paziente a spostarsi nello spazio Ue per ottenere un servizio».

Lo stesso articolo 56 prevede che ogni Stato possa prevedere il rilascio di un’autorizzazione preventiva, questo è vero. Ma lo è altrettanto, secondo il giudizio della Corte, che l’autorizzazione deve essere giustificata «alla luce di esigenze imperative di interesse generale», come un sistema sanitario in gravi difficoltà finanziarie che rischi di discriminare i pazienti.

L’autorizzazione – prosegue la sentenza – è incompatibile con il diritto comunitario se non si tiene conto dello stato di salute del paziente e della necessità di ottenere le cure mediche al più presto. Inoltre, aggiunge la Corte, non è legittimo chiedere il parere medico sulla necessità o meno di fare le cure all’estero come requisito obbligatorio per il rilascio dell’autorizzazione: in questo modo, concludono i giudici, viene disincentivato il ricorso a prestazioni sanitarie transfrontaliere.

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