Gli insulti quotidiani alla moglie sono espressione della continuità e ripetitività delle condotte necessarie a integrare il reato di maltrattamenti
La Cassazione con la sentenza n. 34351/2020 interviene in uno spiacevole giudizio per il reato di maltrattamenti e conferma che ad integrare questo reato bastano gli insulti e le offese quotidiane rivolte alla moglie, perchè dimostrano la ripetitività e ossessività delle condotte.
Giudizio che ha inizio con la dichiarazione di responsabilità dell’imputato per il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi previsto dall’art. 572 c.p. (per aver sottoposto la moglie e la figlia a continue percosse e violenze) e per quello di violenza sessuale nei confronti della moglie, costretta a subire atti sessuali contro la sua volontà.
La Corte di appello però lo assolve dal reato di maltrattamenti nei confronti della figlia e riconosce l’attenuante di cui all’ultimo comma dell’art 609 bis c.p. (pena diminuita in misura non eccedente i due terzi nei casi di minore gravità) per il reato di violenza sessuale commesso ai danni della moglie.
La Cassazione con una sentenza del 2018 emessa in sede rescindente, aveva annullato la prima sentenza della Corte di Appello del 2017, che confermava la condanna del Tribunale limitatamente alla condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia. Per la Cassazione la Corte d’appello non aveva motivato a sufficienza l’aspetto della ripetività ed ossessività degli atti necessari per la sussistenza del delitto di maltrattamenti e le ragioni per le quali non aveva concesso l’attenuante di cui all’art. 609 bis ultimo comma c.p., visto che nella motivazione non erano stati valutati i mezzi, le modalità esecutive e di coercizione della persona offesa.
Dichiarazioni contraddittorie
L’imputato impugna la sentenza emessa in fase rescissoria, contestando al giudice di non aver preso nella dovuta considerazione le dichiarazioni rese dalla moglie alla Polizia intervenuta nell’abitazione familiare dopo una segnalazione della stessa nel settembre del 2013.
In quell’occasione infatti la moglie dichiarava che, dopo gli episodi di violenza e di maltrattamenti denunciati “che pure l’avevano indotta a lasciare l’abitazione rifugiandosi dal fratello per un mese, il marito non aveva più reiterato le condotte denunciate nei suoi confronti. Le dichiarazioni spontaneamente rese in quell’occasione, in un ambiente scevro da condizionamenti, divergono da quelle rese successivamente nel corso del procedimento.”
Il marito ricorda inoltre come davanti al Tribunale dei Minori la stessa aveva dichiarato di avere un po’ esagerato, ma la Corte d’Appello anziché valutare poco attendibile la persona offesa e contraddittorie le diverse versioni della vicenda fornite dalla stessa, le aveva interpretate come il tentativo della donna di voler tenere unita la famiglia.
Gli insulti quotidiani integrano il reato di maltrattamenti
La Corte di Cassazione, in totale disaccordo con l’imputato, respinge il ricorso, precisando prima di tutto che non era compito della Corte d’Appello in sede rescissoria valutare o meno l’attendibilità del racconto della persona offesa, ma valutare la ripetitività e abitualità dei comportamenti messi in atto dal marito nei confronti della moglie. Caratteristiche che emergono chiaramente dalle prove e che sono sufficienti a considerare come integrato il reato di maltrattamenti.
Risulta infatti che l’uomo metteva in atto costanti prevaricazioni, consistenti in “continui insulti (sei una scrofa, come sei brutta, copriti, fai schifo, sei grassa, dovrei cambiare le porte perché non ci entri più, tra dieci anni ti cambio con una più giovane e più bella) pronunciati nella quotidianità della vita e non solo nel corso di litigi, nel far mancare alla persona offesa i mezzi finanziari necessari per l’acquisto di beni di prima necessità, cui si sono accompagnate le sporadiche condotte violente riferite ed accertate.”