Confermata dalla Cassazione la riduzione dell’assegno a moglie e figli, non rileva che la donna debba pagare un affitto, ma la differenza di reddito tra le parti
Con l’ordinanza n. 19078/2020 la Cassazione rigetta il ricorso di una moglie, che si è vista ridurre l’assegno di mantenimento per sé e per i figli. Le censure sollevate dalla donna tendono a rimettere in discussione valutazioni che la Corte ha già compiuto. A rilevare nel caso di specie non è il fatto che la donna sia costretta a pagare un canone locatizio, ma la differenza reddituale tra i due coniugi.
Decisione che mette la parola fine alla controversia insorta tra due coniugi quando la Corte d’Appello, in parziale accoglimento dell’impugnazione di un marito, pone a carico dello stesso l’obbligo di corrispondere alla moglie a titolo di contributo al mantenimento della stessa e dei figli, un assegno mensile di 600 euro rispetto agli 850 stabiliti dal Tribunale.
Condizione reddituale e patrimoniale di vantaggio
La moglie però, poco incline ad accettare la decisione, decide di ricorrere in Cassazione per i seguenti motivi:
- Nel primo si lamenta di come la Corte abbia preso erroneamente in considerazione la detrazione di 290 euro relativa alla cessione di 1/5 dello stipendio in favore di una S.p.a, visto che l’ex non ha dimostrato che il finanziamento è stato contratto per soddisfare esigenze familiari.
- Con il secondo lamenta l’omessa valutazione da parte della Corte delle contestazioni sull’omessa prova della diminuzione reddituale del marito, sulla mancata verifica della consistenza patrimoniale di quest’ultimo e sull’omessa valutazione della disparità economica esistente, visto che lei non beneficia dell’alloggio familiare.
La donna fa presente che il marito, dipendente pubblico, svolgeva il proprio lavoro anche nei giorni festivi, faceva straordinari, turni e lavorava anche di notte, ma tutto questo non compariva in busta paga. - Con il terzo infine si duole che la Corte non abbia tenuto conto del fatto che alla donna e ai figli non sia stato assegnato l’alloggio familiare e che comunque l’assegno di mantenimento è un onere deducibile dal marito, per cui lo stesso risparmia sulle imposte dovute. La Corte ha trascurato inoltre che il marito è titolare di un alloggio Ater a canone agevolato, mentre la moglie è costretta a sopportate la spesa di un canone locatizio.
Ridotto l’assegno di mantenimento anche se c’è l’affitto
La Cassazione, con l’ordinanza n. 19078/2020 rigetta il ricorso della moglie per le ragioni che si vanno a illustrare:
Il primo motivo è infondato perché la Corte, contrariamente a quanto sostenuto dalla moglie, non è incorsa nel vizio di extrapetizione, in quanto nel valutare l’entità reddituale del marito, ha considerato una detrazione che è emersa dalle buste paga prodotte in giudizio.
Il secondo e il terzo motivo invece, che la Corte esamina congiuntamente, sono in parte infondati e in parte inammissibili. La ricorrente infatti censura la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove effettuate dalla Corte d’Appello. Questo in riferimento al mancato accertamento dell’effettiva consistenza patrimoniale e reddituale del marito e alla mancata comparazione delle situazioni reddituali e patrimoniali.
In realtà, rileva la Cassazione “La Corte territoriale con idonea motivazione ha esaminato i fatti allegati dall’appellante a sostegno della richiesta di revoca o riduzione del contributo al mantenimento in favore della ex moglie e dei figli e le contrarie deduzioni dell’appellata e ha ridotto l’assegno di mantenimento previo scrutinio delle risultanze processuali ritenute di rilevanza, in particolare dando per presupposta la disparità economica tra gli ex coniugi, accertando, su base documentale (buste paga del … che è dipendente pubblico), la situazione reddituale dell’obbligato e, di conseguenza, rimodulando l’entità dell’assegno.”
Le contestazioni relative alla veridicità dei dati riportati nelle buste paga criticano valutazioni di merito insindacabili in sede di legittimità. Non è decisiva poi la questione del canone di locazione che la ricorrente è costretta a pagare e che la porrebbe in uno stato di svantaggio rispetto al marito.
Il vizio di omesso esame di un fatto storico può essere dedotto solo se risulta decisivo, ovvero se lo stesso è in grado di condurre a un diverso esito della controversia, per cui “l’omesso esame di elementi istruttori (in tesi il contratto di locazione, che viene in ogni caso menzionato nella sentenza impugnata nell’illustrazione del decisum di primo grado) non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (nella specie la differenza di reddito tra le parti), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.”