Investigatore privato_Assegno di mantenimento: quando spetta al marito?

La legge non pone distinzioni legate al sesso, dunque il mantenimento potrà spettare al marito a cui la separazione non sia addebitabile e che non abbia adeguati redditi propri

Quando si parla di assegno di mantenimento a carico dell’ex coniuge, si suole pensare alla debenza del marito nei confronti della moglie, trattandosi probabilmente di ciò che si verifica più spesso. Tuttavia, a prescindere da quale sia la situazione maggiormente diffusa nella pratica, è bene entrare nell’ottica che, in presenza delle condizioni previste dalla legge, è ben possibile che si verifichi la situazione inversa, ovvero quella dell’ex moglie tenuta a versare il mantenimento a colui che fu suo marito.

La legge, infatti, non prevede alcuna distinzione legata al sesso, attribuendo valenza a diversi e specifici parametri necessari per verificare a chi spetta versare l’assegno. Di conseguenza, il mantenimento spetta al marito negli stessi casi in cui spetta alla moglie, ovvero se sussistono i requisiti valutati dalla legge (e dalla giurisprudenza) come idonei a far gravare l’esborso sull’uno o sull’altro coniuge.

 

Assegno di mantenimento

In prima battuta, è necessario effettuare una precisazione: per assegno di mantenimento si intende quella contribuzione economica fissata a seguito della separazione personale dei coniugi, mentre cosa diversa è l’assegno fissato in sede di divorzio con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Norme differenti, infatti, si occupano di questo tipo di esborsi, anche se recentemente sulla disciplina dell’assegno di mantenimento ha influito l’orientamento giurisprudenziale inaugurato dalla Corte di Cassazione alcuni anni fa, poi avvalorato dalla pronuncia delle Sezioni unite n. 18287/2018 proprio in materia di assegno divorzile.

In sostanza, la giurisprudenza ha ritenuto privo di pregio il criterio, precedentemente valutato, che per la spettanza e quantificazione dell’assegno attribuiva rilievo al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, valorizzando al suo posto la funzione assistenziale dell’assegno, anche alla luce dei diversi parametri fissati dall’art. 5 della L. n. 898/1970 e dei quali deve tener conto il giudice.

 

Inadeguatezza reddituale

A differenza di quanto previsto per l’assegno divorzile, sono nettamente meno, invece, i parametri fissati dalla legge per concedere il mantenimento a seguito di separazione. In tal caso, la norma di riferimento è l’art. 156 c.c. a norma del quale “il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”.

Il coniuge, dunque potenzialmente anche il marito, per poter beneficiare dell’assegno non dovrà essersi vista addebitata la separazione e dovrà, inoltre, trovarsi nella condizione di non avere adeguati redditi propri, ovvero essere economicamente debole rispetto al partner il quale, a sua volta, dovrà essere nelle condizioni economiche di poter provvedere all’esborso. A tal fine, è necessario un giudizio di adeguatezza che richiede il confronto tra la situazione reddituale delle parti al fine di valutarne l’eventuale squilibrio.

I differenti parametri per il mantenimento, meno stringenti di quelli per l’assegno divorzile, si giustificano in relazione alla circostanza che la separazione personale, a differenza dello scioglimento con cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale: rimane il dovere di assistenza materiale, mentre sono sospesi gli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione.

 

Le possibilità lavorative del richiedente

Il giudizio di adeguatezza postula un confronto tra le parti, affinché sia possibile individuare il coniuge economicamente più debole, privo di redditi propri (non necessariamente legati al lavoro, ma anche, ad esempio a proprietà di immobili o partecipazioni societarie, ecc.) a cui spetta l’assegno di mantenimento

Anche le possibilità lavorative del coniuge richiedente vengono di solito considerate, e non di rado l’esborso viene riconosciuto a chi dei due sia disoccupato, ma non solo in quanto tale: il solo non avere un impiego non garantisce in automatico la spettanza dell’esborso, dovendosi valutare la concreta possibilità di svolgere un’attività lavorativa e dunque di ottenere una collocazione sul mercato del lavoro in base alla propria qualifica professionale e al contesto in cui vive.

Secondo la Cassazione, infatti, in tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tenere conto non solo dei redditi in denaro ma anche di ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica: con l’avvertenza, però, che l’attitudine del coniuge al lavoro assume in tal caso rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche (cfr., ex multis, Cass. n. 789/2017).

La Suprema Corte, ad esempio, ha confermato la non spettanza del mantenimento al marito del quale erano state accertate l’esperienza professionale pluriennale e la capacità di svolgere attività lavorativa (cfr. Cass. Ord. 15166/2018), nonché in caso di immotivato rifiuto di offerte lavorative nonostante l’attitudine al proficuo lavoro (cfr. Cass. ord. 5817/2018).

 

Tenore di vita e novità dalle Sezioni Unite

La valutazione legata al mantenimento del tenore di vita, a differenza di quanto accaduto per l’assegno di divorzio, è rimasta in ambito di assegno di mantenimento. Tuttavia, va segnalato come in diverse occasioni la Corte di Cassazione abbia richiamato ed esteso analogicamente all’assegno di mantenimento le innovazioni riguardanti l’assegno divorzile.

Lo dimostra la recente ordinanza n. 26084/2019, che ha riguardato proprio la vicenda di un assegno di mantenimento riconosciuto a favore dell’ex marito. Questi, innanzi alla Corte di Cassazione aveva chiesto una rideterminazione in aumento stante l’alto tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e la rilevante consistenza del patrimonio della moglie.

Gli Ermellini, quanto alla misura dell’esborso, hanno ritenuto la decisione impugnata conforme alla giurisprudenza delle Sezioni Unite secondo cui la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi non è finalizzata alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. Ciò dovendosi riconoscere all’esborso una funzione assistenziale che, nel caso esaminato, era ampiamente soddisfatta dalla misura dell’assegno riconosciuto al ricorrente.

Altra giurisprudenza (cfr. Cass. n. 23482/2020), invece, continua a sostenere che, “in materia di assegno di mantenimento da determinarsi in sede di separazione personale dei coniugi, l’adeguatezza dei redditi rileva ai fini della conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, secondo un parametro che è estraneo alla fissazione dell’assegno divorzile che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6”.

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