Investigatore Privato, Agenzia Investigativa IDFOX_ Fino a che età i figli hanno diritto di essere mantenuti dai genitori?

Alimenti: quanto dura l’obbligo di mantenere i figli e cosa fare se il padre o la madre non versa l’assegno mensile?

A provvedere al mantenimento dei figli devono essere entrambi i genitori, tanto nell’ipotesi in cui siano sposati, quanto conviventi, separati o divorziati. L’obbligo di mantenere i figli deriva infatti non dal legame che unisce i genitori tra loro ma dalla “filiazione” ossia dal fatto di aver messo al mondo delle creature.

Ecco perché la legge si disinteressa del rapporto giuridico sussistente tra padre e madre e pone su entrambi un dovere a prendersi cura della prole, ciascuno in proporzione alle proprie capacità economiche. Ma fino a che età i figli hanno diritto di essere mantenuti dai genitori?

La questione non può essere risolta con un dato numerico. E questo perché, come vedremo a breve, la risposta dipende dalla situazione concreta. Difatti, l’obbligo degli alimenti nei confronti dei figli sussiste fino a quando questi non sono in grado di raggiungere l’indipendenza economica: il che coincide non solo con l’assunzione stabile presso un datore di lavoro ma anche, in alternativa, con l’acquisizione delle professionalità tali da consentire al giovane di lavorare per sé e guadagnare (si pensi a un’attività professionale, con l’acquisizione del titolo e di uno studio). E per chi non ha voglia di fare nulla, il mantenimento cessa ugualmente con la maggiore età. Così come cessa in via definitiva anche per chi viene prima assunto e dopo poco licenziato, che pertanto non potrà bussare di nuovo alla porta dei propri genitori.

 

In cosa consiste l’obbligo di mantenere i figli?

Il mantenimento dei figli non consiste solo nell’assegno che il genitore divorziato versa all’altro per contribuire ai bisogni alimentari della prole. Quando la famiglia è ancora unita, il mantenimento consiste nell’obbligo del padre e della madre di prendersi cura dei ragazzi, sostenendoli non solo nelle esigenze collegate alla sopravvivenza (vitto e alloggio) ma anche a quelle dell’educazione, istruzione, vita relazionale, sportiva, formativa. I genitori devono quindi garantire ai figli lo stesso tenore di vita che riservano per loro stessi. I genitori benestanti dovranno, pertanto, garantire una vita da benestante al proprio figlio; viceversa, per i genitori con un reddito più basso l’impegno economico sarà inferiore.

Quindi, un genitore non può mandare via di casa un figlio che non sia ancora autonomo, anche se maggiorenne; così come non può impedirgli di frequentare l’università se questi lo vuole. Non può negargli un cellulare, un computer, la palestra, la gita scolastica o le spese di trasporto se ne può sostenere le spese.

 

Che succede se padre e madre si lasciano?

Se i genitori si separano (tanto se sposati quanto se conviventi), in assenza di accordo tra loro sull’assegno di mantenimento che il genitore non convivente con la prole dovrà versare all’altro, è il giudice a intervenire su ricorso di uno dei due. Il tribunale fissa così un assegno mensile a carico del genitore non convivente.

L’assegno va versato nelle mani dell’altro genitore o del figlio stesso, se questi ha già 18 anni e lo chiede espressamente.

 

Fino a che età vanno mantenuti i figli?

I figli vanno mantenuti sempre se sono minorenni e, una volta divenuti maggiorenni, finché non diventano economicamente autonomi. Il che può voler dire anche molto tempo dopo la maggiore età. Tutto dipende dal percorso di studi prescelto. Perché è proprio quando terminano gli studi e il figlio può iniziare a lavorare che bisogna verificare se il suo stato di disoccupazione è incolpevole, perché addebitabile al mercato e alla crisi occupazionale (ragion per cui il giovane potrà continuare a pretendere il mantenimento) oppure è imputabile alla sua inerzia (nel qual caso egli perderebbe gli alimenti).

In questa seconda ipotesi, però, spetta al genitore dimostrare che la mancata percezione di un reddito stabile, da parte del figlio, è dovuta all’omessa ricerca da parte sua di un posto di lavoro. Una prova non sempre facile. Ragion per cui la Cassazione ha stabilito che, tanto più aumenta l’età dei figli, tanto maggiormente si può presumere che la disoccupazione sia attribuibile ad un atteggiamento colpevole. Al raggiungimento della soglia di 30/35 anni (a seconda del percorso di studi prescelto) è possibile – secondo la Cassazione – negare al figlio il mantenimento perché è ragionevole ritenere che, prima di tale momento, egli abbia comunque ricevuto qualche opportunità lavorativa.

In ogni caso, il figlio minorenne ha sempre diritto di essere mantenuto, anche se non vuole andare a scuola. Quello maggiorenne invece, per essere mantenuto, deve preoccuparsi della propria formazione o, se non vuole studiare, deve cercare un’occupazione. Occupazione che non deve corrispondere necessariamente alle sue più ambiziose aspirazioni. Il giovane deve sapersi accontentare, laddove possibile.

 

Cosa fare se il genitore non mantiene il figlio?

Quando padre e madre si separano, il giudice fissa un assegno di mantenimento che il genitore non convivente con il figlio deve versare all’altro (quest’ultimo è, il più delle volte, la madre) e che serve proprio per contribuire a tutte le spese ordinarie per il suo sostentamento, la crescita, l’istruzione e l’educazione

L’omesso versamento del mantenimento nei confronti del figlio costituisce reato. Pertanto, il figlio – così come l’altro genitore – può denunciare il genitore inadempiente.

È inoltre possibile agire civilmente nei confronti del genitore tenuto a versare il mantenimento per ottenere nei suoi confronti, da parte del tribunale, un’ingiunzione di pagamento. In questo modo, è possibile pignorargli i beni intestati, un quinto dello stipendio, gli immobili, ecc. Alla morte del genitore però non è possibile agire nei confronti degli eredi: il dovere di versare il mantenimento infatti non si trasferisce su questi ultimi.

Naturalmente, se il figlio è minorenne, ad agire per conto suo sarà il genitore con lui convivente.

Una volta perso il diritto al mantenimento, per via dell’età o dell’ottenimento di un posto di lavoro, non è più possibile riacquisirlo. In altre parole, il figlio che viene licenziato o che cessa l’attività imprenditoriale che lo aveva reso indipendente non può ribussare alla porta del padre e della madre. Il legame si è ormai spezzato. Almeno quello economico. Se, però, il figlio versa in una condizione di salute tanto grave da impedirgli di procurarsi il minimo per vivere, i genitori dovranno corrispondergli gli “alimenti”, ossia lo stretto indispensabile (medicine, vitto, alloggio): si tratta quindi di un sostegno economico inferiore al mantenimento.

 

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