Investigatore Privato, Agenzia IDFOX Milano_Riabilitazione penale: la guida 

La riabilitazione penale è disciplinata agli articoli 178-181 c.p e consente a chi è stato condannato, di ripulire in parte la propria fedina penale perché estingue le pene accessorie e gli altri effetti penali della sentenza 

La riabilitazione penale è un istituto che permette, a chi è stato condannato, di dare una ripulita, anche non totale, alla sua fedina penale. Le norme di riferimento del nostro ordinamento per quanto riguarda la riabilitazione sono gli artt. 178- 181 del Codice penale.

L’istituto ha una funzione premiale e promozionale nell’ottica della risocializzazione del reo, per questo uno dei presupposti che vengono richiesti per la concessione della riabilitazione è la buona condotta del richiedente per un certo periodo di tempo.

La riabilitazione svolge un importante funzione di incentivo per il soggetto che ha subito una condanna, attraverso la creazione di un’abitudine al rispetto della legge e al vivere civile. Educazione che deve permanere anche dopo la concessione della riabilitazione, visto che se il soggetto commette un reato entro un determinato limite di tempo previsto dalla legge, la riabilitazione viene revocata. 

Riabilitazione penale: condizioni

Le condizioni per ottenere la riabilitazione, così come ricavabili dalla formulazione dell’art. 179 del codice penale, sono le seguenti:

  – la decorrenza di un certo periodo di tempo;

  – la buona condotta, di cui dare prove effettive e costanti; 

  – la non sottoposizione a misure di sicurezza;

  – il pagamento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, a meno che il soggetto non dia prova di trovarsi in una condizione di impossibilità ad adempierle.

Quando si può chiedere la riabilitazione

Il primo presupposto che il legislatore chiede per la concessione della riabilitazione è quindi il decorso di un determinato periodo di tempo. I riferimenti temporali per la riabilitazione sono indicati sempre nell’art. 179 c.p, il quale dispone che per dare corso alla riabilitazione devono essere decorsi:

  – almeno 3 anni dal giorno in cui la pena è stata comminata ovvero sia altresì estinta ed il condannato abbia mantenuto una buona condotta; 

  – 8 anni se trattasi di recidivi ex articolo 99 del codice penale;

  – 10 anni per i delinquenti abituali, per tendenza ovvero professionali.

Nel caso in cui la pena sia sospesa ai sensi dell’articolo 163 del codice penale, I, II e III comma, il termine decorre dalla sospensione.

Estinzione e decorrenza dei termini 

Occorre chiarire che l’esecuzione della pena principale deve intendersi compiuta quando il condannato ha scontato la pena detentiva o quelle alternative o sostitutive, ha pagato completamente la pena pecuniaria o ha finito di pagare le sanzioni dovute. Nel caso in cui il soggetto sia stato sottoposto contemporaneamente alla pena pecuniaria e a quella detentiva si deve avere riguardo a entrambe perché costituiscono la pena principale.

 

Cosa accade però se la pena si è estinta in un altro modo?

  – Se la pena si è estinta per prescrizione, il termine decorre da quando si compie il periodo contemplato agli articoli 172 e 172;

  – se l’estinzione si è realizzata per amnistia impropria o di indulto allora il termine decorre dalla data in cui entra in vigore il decreto che ha disposto le due misure.

  – Per quanto riguarda invece i recidivi il termine decorre quando la pena inflitta con l’ultima sentenza è stata espiata o estinta.

La buona condotta

La riabilitazione, che presuppone che la pena principale si già stata scontata o estinta, richiede soprattutto che il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta.

Per buona condotta si intende la risocializzazione del condannato, termine che sta a indicare una condotta che risulti conforme al vivere civile. Il condannato in sostanza deve trovarsi un lavoro stabile, non deve riprendere a frequentare certi ambienti, deve in sintesi condurre uno stile di vita sobrio, onesto e corretto.

Sono oggetto di valutazione a tal fine anche le eventuali denunce querele di cui successivamente il condannato sia colpito secondo un granitico orientamento della Cassazione (cfr, tra le altre Cass. n. 15471/2015 e n. 6528/2012) e addirittura fatti per i quali il soggetto, anche se non condannato, sono stati accertatati nella loro storicità e risolti ad esempio con l’oblazione.

Non sottoposizione a misure di sicurezza o confisca

L’art. 179 c.p è molto chiaro nel disporre inoltre che la riabilitazione non può essere concessa quando il condannato:

– è stato sottoposto a una misura di sicurezza;

– è stato sottoposto a confisca;

e il provvedimento non è stato ancora revocato.

Questo presupposto è particolarmente significativo e comprensibile ai fini dell’esclusione della riabilitazione. La mancata revoca del provvedimento che ha applicato la misura di sicurezza è sintomatico della persistente pericolosità del reo. Condizione che si pone in evidente contrasto con il requisito necessario della buona condotta.

L’obbligazione civile

Solo con l’adempimento dell’obbligazione civile si concretizza l’interesse del condannato nei confronti della persona offesa. L’assenza di interessamento, viceversa, implica il mancato processo di risocializzazione.

Condizione ostativa alla riabilitazione è infatti l’inadempimento delle obbligazioni civili che derivano dal reato, quando manca la prova che il condannato si sia trovato nella impossibilità di adempierle. Prova che costituisce applicazione della manifestazione della buona condotta che il condannato/riabilitato deve fornire.

Obbligazioni civili derivanti da reato (art. 185 c.p)che corrispondono con:

– l’obbligo del risarcimento del danno

– l’obbligo delle restituzioni

– la pubblicazione della sentenza intesa come forma riparatoria del danno

– la rifusione nei confronti dello Stato delle spese processuali.

Attenzione, perché ai fini della riabilitazione, non è necessario che le obbligazioni civili siano frutto di una richiesta diretta della parte, attraverso la costituzione di parte civile in giudizio. Non occorre neppure che le abbia stabilite una sentenza civile o penale. Questo perché il presupposto dell’adempimento delle obbligazioni civili è richiesto direttamente dalla legge ai fini della riabilitazione penale.

In sostanza, sempre nell’ottica del reinserimento e della risocializzazione del reo, ci si attende che l’iniziativa di offrire una riparazione del danno causato provenga proprio dal soggetto responsabile. Un’offerta riparatoria, che può essere anche equitativa e che abbia lo scopo di ristorare i soggetti che hanno patito le conseguenze del suo gesto e nel contempo l’intera collettività.

Quando si parla quindi di costi della riabilitazione, essi si identificano soprattutto con la somma che viene pagata per riparare il danno e che include si il risarcimento che le spese processuali sostenute dalla persona offesa.

L’impossibilità di adempiere le obbligazioni civili

Abbiamo visto che una delle condizioni richieste per ottenere la riabilitazione, a dimostrazione anche della buona condotta, è la riparazione del danno arrecato con il reato, a meno che il soggetto non si trovi nella impossibilità di provvedere in tal senso.

La condizione d’impossibilità non è rappresentata necessariamente da uno stato di indigenza del soggetto. E’ sufficiente che costui non disponga di mezzi sufficienti per provvedere al risarcimento, senza che questo non implichi un grande sacrificio per se e la famiglia.

E’ parimenti considerata causa di impossibilità la condizione del fallito, anche ammesso al concordato, per il periodo vicino alla chiusura del fallimento.

Spetta in ogni caso al soggetto che chiede la riabilitazione dimostrare di aver fatto quanto nelle sue possibilità per adempiere alle obbligazioni o dimostrare viceversa la sua condizione di impossibilità. Prove che si identificano con dati oggettivi sulle entrate e sui famigliari a carico a cui deve provvedere, non bastando un’autocertificazione della propria condizione economica. Se poi costui percepisce un reddito, deve provare l’intenzione, rapportata alle sue possibilità, di riparare il danno.

Il patteggiamento

Anche nel caso in cui il condannato abbia patteggiato, ex art. 444 e seguenti del codice di procedura penale, il Giudice deve accertare che l’istante si sia attivato a eliminare le conseguenze civili del reato ovvero accerti i motivi per i quali lo stesso non abbia potuto adempierle (cfr. Cass. n. 35630/2012).

Quando non può essere concessa la riabilitazione

La riabilitazione in sintesi non può essere concessa quando:

1) il reo è sottoposto a misure di sicurezza, ovvero confisca ed il provvedimento non sia stato revocato;

2) non ci sia stata ottemperanza nell’eseguire l’obbligazione civile, a meno che non dimostri che non sia in grado di soddisfarle.

Effetti della riabilitazione

Per quanto riguarda gli effetti dell’istituto, con la riabilitazione si estinguono le pene accessorie e vengono meno gli altri effetti penali della condanna

La riabilitazione elimina in particolare:

– l’interdizione dai pubblici uffici;

– l’interdizione da una professione ovvero da un’arte;

– la perdita ovvero la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale;

– la perdita del diritto agli alimenti e dei diritti successori vantabili nei confronti dell’offeso.

La condanna inoltre non può essere presa in considerazione ai fini della recidiva, della dichiarazione di professionalità, abitualità e tendenza a delinquere. Con la riabilitazione il condannato ottiene la reintegra per l’indulto e l’amnistia, se condizionate dall’assenza di condanne precedenti e riacquista il diritto dell’elettorato attivo.

Questo non significa che i precedenti penali non possano essere valutati dal giudice per accertare la capacità a delinquere o non concedere la sospensione condizionale della pena.

In definitiva, la riabilitazione ripristina soprattutto la capacità giuridica del condannato, rimettendo lo stesso in società nello stesso modo in cui viveva prima della sentenza di condanna.

Il casellario giudiziale

È importante evidenziare che tale procedimento non “smacchia” il casellario giudiziale, ma aggiunge un’annotazione per l’intervenuta riabilitazione. Ciò deriva dall’articolo 3 del D.P.R. n. 313/2002, in virtù del quale i provvedimenti che riguardano la riabilitazione sono annotati nel casellario giudiziario accanto alla sentenza di condanna alla quale si riferiscono.

In caso di riabilitazione però la sentenza per la quale si è ottenuta la riabilitazione non compare nel certificato del casellario che viene rilasciato all’interessato, ma solo in quello consegnato agli uffici del pubblico ministero o al difensore autorizzato dal giudice procedente.

La procedura di riabilitazione

La riabilitazione si svolge secondo il procedimento di esecuzione e si conclude sempre con ordinanza, a meno che non vi sia inammissibilità, allora si procede con decreto.

L’iter inizia con una istanza diretta al Tribunale di sorveglianza ed è competente il Tribunale dove è stata emessa la sentenza di condanna.

Il soggetto interessato non deve essere assistito dal difensore nel presentare l’istanza. Può procedere in autonomia, l’importante è che nell’istanza indichi la sussistenza delle condizioni richieste per la concessione della riabilitazione e che alleghi copia della sentenza di condanna, copia del certificato penale (o fedina penale) e la visura da cui risultano tutte le condanne a carico.

Il Tribunale decide in camera di consiglio senza la presenza delle parti. In caso di accoglimento della domanda, al termine di una valutazione discrezionale del giudicante, viene emanato il provvedimento di riabilitazione, che produce effetti ex nunc in quanto ha valore costitutivo.

Secondo la giurisprudenza (cfr. Cass. n. 13342/2015), avverso il provvedimento è possibile il ricorso sempre innanzi allo stesso Tribunale.

Revoca della riabilitazione

La riabilitazione penale, una volta concessa, può essere anche revocata. A stabilirlo è l’art. 180 del Codice penale, il quale dispone che: “La sentenza di riabilitazione è revocata di diritto se la persona riabilitata commette entro sette anni un delitto non colposo, per il quale sia inflitta la pena della reclusione per un tempo non inferiore a due anni, od un’altra pena più grave.”

Al pari della sospensione condizionale della pena quindi, anche la riabilitazione produce un effetto sospensivo sulle conseguenze della condanna. Sospensione che viene meno, con il ripristino delle pene accessorie e degli altri effetti penali della condanna, nel momento in cui il soggetto commette un reato di una certa gravità, a dimostrazione del fallimento della rieducazione e del reinserimento sociale.

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