Immaginiamo una moglie che quando si è sposata aveva un posto di lavoro a tempo pieno, ma poi, dopo il matrimonio, ha optato per il part time. Ha compiuto questa scelta d’accordo col marito, per dedicarsi di più alla famiglia. In seguito, la coppia divorzia e la donna chiede al marito di versarle l’assegno di mantenimento. Sostiene di essersi dedicata alla casa, rinunciando al lavoro a tempo pieno, che le garantiva uno stipendio maggiore di quello che ha percepito con il part-time: perciò, ha avuto ripercussioni economiche negative e chiede che adesso vengano compensate.
Il problema del mantenimento della moglie con lavoro part time si pone frequentemente in questi casi, e può essere visto anche dal lato opposto, cioè considerando che la donna, anche dopo la separazione e il divorzio, mantiene comunque un’occupazione lavorativa remunerata: perciò, l’ex marito potrebbe sostenere che l’ex moglie ha il suo reddito per vivere e non deve essere mantenuta.
Per risolvere questi problemi occorre, innanzitutto, capire come funziona l’assegno divorzile e quando viene riconosciuto: se si tratta o no di una sorta di “buonuscita” per gli anni “spesi” insieme o se ci sono altre condizioni correttive, per evitare che l’emolumento diventi una rendita parassitaria per vivere a carico dell’ex. Poi, bisogna esaminare quali sono le applicazioni pratiche della giurisprudenza, cioè come decidono i giudici in questi casi e quali elementi mettono sul piatto della bilancia.
Mantenimento dell’ex coniuge: condizioni
La condizione essenziale in base alla quale viene attribuito il mantenimento dell’ex coniuge dopo la separazione e il divorzio è l’esistenza di uno squilibrio economico tra le parti: questo indice si misura in base alla disparità dei rispettivi redditi e patrimoni. L’assegno divorzile serve essenzialmente per colmare questa sproporzione.
La funzione essenziale del mantenimento, nella fase di separazione coniugale, è quella di garantire al beneficiario (o alla beneficiaria) il tenore di vita pregresso, quello di cui godeva durante il matrimonio. Con il divorzio, invece, il matrimonio finisce definitivamente, e l’assegno serve a fornire l’aiuto economico necessario all’ex coniuge che non è in grado di mantenersi da sé. Ecco, allora, che il lavoro svolto dalla ex moglie può diventare un elemento decisivo, in quanto fornisce un reddito, che è anche tendenzialmente stabile, quando si tratta di un’occupazione a tempo indeterminato.
Mantenimento ex coniuge che lavora
La legge sul divorzio si limita a dire che: «Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».
Questa formulazione lascia al giudice un ampio margine di discrezionalità nel decidere la misura dell’assegno divorzile. Il criterio della disparità fra i redditi dei due ex coniugi viene contemperato con l’incapacità di uno dei due di mantenersi autonomamente. Questa incapacità, però, deve essere oggettiva ed incolpevole; perciò l’assegno non viene riconosciuto a chi potrebbe lavorare e non lo fa. Viceversa, se la donna è in età avanzata, o soffre di patologie invalidanti, o è priva di istruzione e qualificazioni professionali, l’inserimento nel mondo del lavoro diventa impossibile e l’assegno le spetta.
Assegno divorzile alla ex moglie che lavora part-time
Oltre ai criteri generali che abbiamo esaminato e che costituiscono le condizioni per l’attribuzione dell’assegno divorzile, la giurisprudenza più recente aggiunge il contributo che l’ex coniuge aveva dato al ménage familiare. Sono frequentissimi i casi di donne che si sono sacrificate per la carriera del marito rinunciando, così, alla propria attività lavorativa o riducendola sensibilmente per dedicarsi alla casa e alla crescita dei figli.
In questi casi, l’ex moglie ha diritto di vedersi riconosciuta questa forma di partecipazione all’andamento della famiglia, specialmente se il matrimonio ha avuto una lunga durata e il sacrificio si è protratto per parecchi anni, al termine dei quali la donna divorziata, ormai, non ha più l’età e le energie per tentare un reinserimento lavorativo pieno (abbiamo parlato di questi aspetti nell’articolo “Mantenimento ex moglie che ha rinunciato alla carriera“).
Considerando le cose da questo punto di vista, ecco che il contributo fornito dalla donna alla famiglia nel corso degli anni diventa “monetizzabile” al momento del divorzio, in quanto è suscettibile di valutazione economica. E infatti, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’assegno divorzile non ha soltanto una funzione assistenziale, ma anche una finalità «perequativa e compensativa» che tende ad eliminare, o almeno ad attenuare, gli squilibri economici esistenti tra gli ex coniugi e valorizza i comportamenti tenuti in ambito familiare, compresa l’attività di casalinga.
In questa prospettiva, una recentissima ordinanza della Suprema Corte ha riconosciuto alla ex moglie l’assegno divorzile, tenendo contro che ella durante gli anni di matrimonio aveva «apportato un rilevante contributo economico alla famiglia attraverso la conversione del rapporto di lavoro in part-time, d’accordo col marito». Prima questa signora lavorava a tempo pieno, come nell’esempio che abbiamo fatto all’inizio dell’articolo. In definitiva, quando si ravvisano tali situazioni anche con il lavoro part-time si prende il mantenimento.