Non sempre la famiglia di chi rimane vittima di un incidente mortale ha diritto al risarcimento. Può capitare anche che quando il decesso dell’automobilista avviene a causa di un sistema di protezione stradale in condizioni inadeguate non ci sia la possibilità di ottenere l’indennizzo. Il motivo lo ha spiegato la Cassazione in una recente sentenza in cui ricorda un fattore fondamentale: quando si verifica un sinistro, occorre andare a monte dei motivi che lo hanno provocato e non partire dalle conseguenze. In sostanza, la Suprema Corte ha spiegato, in caso di incidente mortale, quando non c’è il risarcimento.
Quei motivi a monte a cui fanno riferimento i giudici si possono riassumere in uno solo: l’atteggiamento del conducente al volante della sua auto. Di fronte a una condotta imprudente, sostiene la Cassazione, c’è poco da pretendere. Vediamo perché.
Le regole di comportamento del conducente
Una condotta sbagliata al volante, dunque, può far passare il conducente dalla parte del torto anche in caso di incidente mortale e di decesso provocato da un fattore esterno.
Il Codice della strada impone una serie di regole di comportamento che vanno sempre e comunque rispettate. Altrimenti, come sostiene la Cassazione nella sentenza in commento, c’è poco da pretendere.
L’articolo 141 del Codice, ad esempio, stabilisce che «è obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione». Non solo: l’automobilista è tenuto a conservare sempre il controllo del veicolo che sta guidando. Ecco perché è sempre necessario moderare la velocità.
Ma non è solo il «piede pesante» sull’acceleratore quello che, in caso di incidente mortale, può negare il diritto al risarcimento. Il Codice obbliga anche ad allacciare sempre le cinture di sicurezza, ancor prima di avviare l’auto. Cinture che devono essere indossate anche dal passeggero e da chi occupa i sedili dietro.
E ancora: la sicurezza di tutti richiede, ad esempio, di non utilizzare i cellulari alla guida se non con auricolare o viva voce in modo da tenere sempre le mani sul volante; di non mettersi a messaggiare con il telefonino anche quando si è in coda; di non bere alcolici (o, almeno, di non esagerare per restare sotto la soglia consentita) prima di mettersi alla guida; di fermarsi ogni tanto durante i viaggi lunghi per non sottovalutare la stanchezza; di controllare che l’auto sia sempre in perfette condizioni di sicurezza (freni, pneumatici, luci, ecc.). E così via. Sembrano delle cose scontate, delle regole più dettate dal buon senso che dal Codice della strada. Eppure, sono le norme più disattese dagli automobilisti e, quindi, alla base della maggior parte degli incidenti stradali. Anche mortali.
Quando è negato il risarcimento in caso di incidente mortale
Una recente sentenza della Cassazione ha stabilito che non si ha diritto al risarcimento quando l’incidente mortale è stato causato dalla mancata prudenza del conducente, anche se il decesso è avvenuto per un fattore esterno a lui non imputabile.
La Suprema Corte, in sostanza, sottolinea la differenza tra la causa e la conseguenza del sinistro. Ed è la prima alla base del negato risarcimento.
La vicenda di cui si sono occupati gli Ermellini riguarda il caso di un automobilista deceduto dopo che la sua auto era finita fuori strada e trafitta da un guard-rail divelto. La famiglia della vittima avrebbe voluto un risarcimento puntando il dito sull’Anas, proprietario della strada: a sentire i parenti, il loro congiunto «aveva perso il controllo del veicolo a causa di un dislivello esistente sul manto stradale ed era deceduto a causa del forte impatto dell’auto con un guard-rail che si era imprevedibilmente divelto per effetto dell’urto e si era infilato nell’abitacolo».
La Cassazione, invece, decide che il dito debba essere puntato altrove, cioè proprio sull’automobilista. E il ragionamento è semplice: se il conducente avesse rispettato il Codice della strada, l’incidente non sarebbe accaduto. Se fosse stato rispettato il limite di velocità, quel dislivello non avrebbe provocato l’incidente, dato che – come detto in precedenza – il Codice impone all’automobilista di conservare sempre il controllo del veicolo che sta guidando. Il guard-rail divelto, dunque, è stata la conseguenza del sinistro e non la causa, imputabile – secondo i giudici di legittimità – all’atteggiamento tenuto al volante dalla vittima e del mancato rispetto delle primordiali norme di sicurezza: oltre alla velocità eccessiva (come risulta dal verbale dei Carabinieri intervenuti sul posto), gli pneumatici erano in condizioni precarie e la cintura non era stata allacciata.