Polizza assicurativa sulla vita che nella sostanza è un contratto di investimento: il cliente può perdere il capitale versato.
Attenzione ai contratti denominati “assicurazione sulla vita” ma che tali non sono nella sostanza. Non sarebbe improbabile che l’investitore riceva, al riscatto della polizza, una somma inferiore a quella versata inizialmente, senza perciò poter rivolgersi al giudice per chiedere la nullità del contratto.
Si tratta di un’ipotesi analizzata dalla giurisprudenza della Cassazione. La Corte sembra ammonire le persone sprovvedute, dicendo: ecco cosa controllare prima di firmare un’assicurazione sulla vita.
Un contratto bancario formalmente chiamato “assicurazione sulla vita” può avere una vera e propria finalità di investimento se le parti hanno raggiunto l’accordo sulla sostanza del negozio. Per la Cassazione l’aspetto formale non conta. Quel che rileva, invece, è che l’investitore e gli intermediari non abbiano violato le norme imperative in materia.
Il caso
La vicenda riguarda un soggetto che aveva stipulato con la propria banca un contratto formalmente qualificato come assicurazione sulla vita ma che in verità costituiva un vero e proprio contratto di investimento. Il documento prevedeva che il premio versato dal contraente fosse investito in fondi speculativi; non era previsto un rendimento minimo e non sussisteva alcuna garanzia di restituzione almeno del capitale investito. Invece, come noto, la polizza sulla vita è tale solo qualora rechi la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza; in difetto, il suddetto contratto deve considerarsi un investimento finanziario, con la conseguente applicazione della relativa disciplina.
Nel caso di specie, quando il cliente della banca aveva esercitato il riscatto, aveva ricevuto una somma largamente inferiore rispetto a quella investita. Perciò aveva avviato una causa contro l’istituto di credito per ottenere la dichiarazione di nullità del contratto, lamentando di non essere stato adeguatamente informato dall’intermediario sui rischi che l’operazione avrebbe comportato. La sua domanda però è stata rigettata in tutti e tre i gradi di giudizio.
Secondo la Cassazione, un contratto di investimento è valido e lecito e non diventa nullo solo perché le parti lo abbiano qualificato «assicurazione sulla vita»: spetta al contraente quindi leggere attentamente il contenuto della scrittura privata per non cadere in errore. E non conta se la banca non lo abbia avvertito del rischio. Il fatto che le parti abbiano definito “assicurazione sulla vita” un contratto che tale non è, trattandosi di un puro e semplice investimento, non rende di per sé nullo l’accordo. L’importante è che il cliente non sia stato maliziosamente tratto in inganno con raggiri. Nel caso di specie, invece, l’investitore sapeva benissimo cosa si celasse dietro il contratto di assicurazione e quindi la sua domanda è stata rigettata.
È chiaro che la qualificazione del contratto in un modo (polizza vita) o in un altro (investimento) comporta l’applicazione di norme completamente diverse. E difatti è noto che solo le polizze vita sono impignorabili e insequestrabili. Questo significa che se il contratto, seppur chiamato “assicurazione sulla vita” è di fatto un investimento, le somme di cui il cliente è creditore nei confronti dell’intermediario possono essere oggetto di esecuzione forzata e di sequestro.
Inoltre, solo la polizza vita è esclusa dall’asse ereditario, ragion per cui il beneficiario che rinuncia all’eredità può ugualmente riscuotere il premio. Infine, solo le polizze vita godono di particolari benefici fiscali.
Come distinguere un’assicurazione sulla vita?
Per evitare fregature bisogna sapere che la polizza vita è caratterizzata dal fatto che l’assicuratore, dietro pagamento di un premio da parte del contraente-assicurato, si obbliga a pagare un capitale al beneficiario al verificarsi di un evento attinente alla vita dell’assicurato. Tale capitale non può mai essere inferiore a quanto versato dal cliente all’intermediario; in difetto, il suddetto contratto deve considerarsi un investimento finanziario.
Il contraente può utilizzare una polizza vita come forma di gestione del patrimonio familiare o come forma di risparmio a favore di se stesso o di altri componenti del nucleo familiare. La polizza vita generalmente prevede una garanzia di risultato, sulla base di un rendimento annuo minimo che costituisce un impegno dell’assicuratore ed è flessibile quanto a durata ed importo dei versamenti.
Il contraente può ricorrere anche a contratti di capitalizzazione, a polizze che garantiscano, dietro pagamento di un premio unico, rendite vitalizie immediate o a polizze a capitale o rendita differiti, aventi come beneficiari propri familiari.
È possibile stipulare contratti vita connessi a forme di investimento (cosiddette polizze linked), vale a dire contratti di assicurazione le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni oppure a indici o ad altri valori di riferimento.
Sono in pratica dei prodotti che combinano la componente assicurativa con una sorta di valorizzazione del risultato economico nel tempo.
In questi contratti, dunque, la misura della prestazione dell’assicuratore non è determinata al momento della conclusione del contratto, ma può variare in funzione delle variazioni di un bene oggetto di contrattazioni sul mercato finanziario.
Il vantaggio offerto dalle polizze linked è costituito principalmente dal fatto che il portafoglio è esente da imposte di successione e che le somme dovute non sono assoggettabili alle azioni esecutive e cautelari.