Per la Cassazione, è responsabile del decesso del paziente il medico del pronto soccorso che non effettua gli approfondimenti necessari richiesti dall’esame differenziale
Responsabile il medico del pronto soccorso che non approfondisce le condizioni del paziente con esami di laboratorio e strumentali, omettendo l’esame differenziale che gli avrebbe permesso d’individuare una causa del dolore del paziente diversa da quella rilevata e curata inizialmente e d’intervenire tempestivamente, scongiurandone così il decesso. Queste le conclusioni della interessante sentenza della Cassazione n. 45602/2021.
La vicenda processuale e medica
In sede di appello viene riformulata in senso assolutorio la sentenza del Tribunale, che invece aveva condannato il medico del pronto soccorso per il reato di omicidio colposo perché, per negligenza, imperizia e imprudenza ometteva di sottoporre un paziente a ulteriori controlli anche diagnostici, tanto che alla fine lo stesso decedeva a causa di un arresto cardiocircolatorio e respiratorio conseguente a una peritonite da perforazione del tratto digestivo.
La vicenda ha inizio quando il paziente, accusando forti dolori alla zona lombare viene visitato dal medico del pronto soccorso imputato, che dopo un solo esame obiettivo superficiale lo dimette, senza sottoporre l’uomo a esami strumentali e di laboratorio. Approfondimenti che avrebbero permesso d’intervenire tempestivamente sul fenomeno ulceroso in atto e che avrebbero evitato il peggioramento delle condizioni, il ritardo dell’intervento chirurgico e quindi il decesso dell’uomo.
Il paziente infatti, dopo le prime dimissioni, si recava nuovamente al pronto soccorso e in quella occasione la peritonite era già in atto, tanto che veniva ricoverato immediatamente e programmato un intervento chirurgico, che però non veniva eseguito a causa del decesso.
E’ stato accertato dai consulenti, in sede di merito, che:
- la peritonite era stata causata da un ulcera duodenale;
- “al primo accesso in pronto soccorso, non era stato eseguito l’esame emocromocitometrico, che avrebbe potuto evidenziare una leucocitosi neutrofila, dunque l’esistenza della peritonite”;
- la somministrazione dei medicinali prescritti senza gastro protettore abbiano contribuito all’aggravamento delle condizioni del paziente e la mancata esecuzione di un’ecografia abbiano accelerato la perforazione.
L’omesso esame differenziale ha causato la morte del paziente
Le parti civili nel ricorre in Cassazione sollevano due motivi:
- con il primo ritengono che la Corte non abbia osservato quanto previsto dalla norma che contempla il reato di omicidio colposo e che detta norma sia stata interpretata in maniera erronea. La sentenza non contiene alcun riferimento all’addebito descritto nel capo d’imputazione che si riferisce all’omessa diagnosi differenziale;
- con il secondo invece, sinteticamente, deducono carenza di motivazione nella parte della sentenza con cui i giudici hanno escluso il nesso di causa, in quanto hanno omesso i dati statistici offerti dal consulente del PM e da quelli dello stesso imputato. La decisione inoltre è contraddittoria “nella parte in cui ha escluso il nesso di causalità ritenendo la patologia non ancora eclatante e tuttavia ritenendo non risolutivo l’intervento chirurgico nonostante il basso tasso di mortalità.”
Responsabile il medico che omette l’esame differenziale
La Cassazione ritiene il ricorso fondato, annulla la sentenza agli effetti civili e rinvia al giudice civile competente in grado di appello, affinché provveda anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
La motivazione, che si dilunga sull’analisi dell’esistenza del nesso di causa in base a quanto previsto dagli articoli 40 e 41 del codice penale, contiene degli stralci di rilievo da segnalare, grazie ai quali è possibile comprendere le ragioni per le quali il medico del pronto soccorso deve essere ritenuto responsabile del decesso del paziente.
Prima di tutto “l’ambito dell’obbligo di garanzia gravante sul medico di Pronto Soccorso può in generale ritenersi definito dalle specifiche competenze che sono proprie di quella branca della medicina che si definisce medicina d’emergenza o d’urgenza.”
Detto ciò, sono diversi i casi nei quali la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto il medico di pronto soccorso “responsabile del decesso del paziente per non aver disposto gli idonei accertamenti clinici o per non aver posto una corretta diagnosi in modo da indirizzare il paziente in reparto o luogo di cura specialistico.”
Occorre inoltre considerare che “a fronte della possibilità di una diagnosi differenziale non ancora risolta, costituisce obbligo del medico al quale sia stato sottoposto il caso compiere gli approfondimenti diagnostici necessari per accertare quale sia l’effettiva patologia che affligge il paziente e adeguare le terapie in corso a queste plurime possibilità.”
Questo perché “fino a quando il dubbio diagnostico non sia stato risolto e non vi sia alcuna incompatibilità tra accertamenti diagnostici e trattamenti medico chirurgici, il medico che si trovi di fronte alla possibilità di diagnosi differenziale non deve accontentarsi del raggiunto convincimento di aver individuato la patologia esistente quando non sia in grado, in base alle conoscenze dell’arte medica da lui esigibili (anche nel senso di chiedere pareri specialistici), di escludere patologie alternative, proseguendo gli accertamenti diagnostici e i trattamenti medico chirurgici necessari.”
Il giudice di merito, in base alle suddette precisazioni, avrebbe dovuto quindi accertare prima di tutto se in base ai dati a sua disposizione il medico avrebbe potuto influenzare il corso degli eventi e poi, se il sanitario, in base alle sue conoscenze, avrebbe dovuto procedere alla diagnosi differenziale “considerato che costituisce obbligo del medico valutare tutte le possibili ipotesi diagnostiche connesse a una determinata sintomatologia, soprattutto nel caso in cui i sintomi possano essere indicativi di diagnosi di maggiore gravità rispetto a quella più evidente.”
La Corte territoriale ha quindi errato perché si è limitata a prendere per buoni i dati dei consulenti, i quali sono giunti alla conclusione che “non vi era certezza assoluta dell’efficacia salvifica della condotta alternativa corretta, in definitiva omettendo di svolgere il giudizio contro fattuale, che impone al giudice di elaborare il dato tecnico-scientifico”, la motivazione inoltre è contraddittoria perché nonostante i consulenti di parte e del PM abbiano affermato “la sussistenza di tutte le condizioni per una diagnosi differenziale previo esame emocromocitometrico o ultrasonografia ed esame ecografico, i giudici di appello hanno immotivatamente tratto la conclusione che neppure vi fosse certezza circa la possibilità di una diagnosi differenziale.”