È vero che le sentenze non sono legge? Che valore hanno le sentenze della Cassazione e come fare a ottenerne l’applicazione al proprio caso.

 

È vero che le sentenze non sono legge?

Che valore hanno le sentenze della Cassazione e come fare a ottenerne l’applicazione al proprio caso.

Si sente spesso parlare di sentenze che riconoscono diritti o doveri ai cittadini, influenzando l’interpretazione delle norme vigenti. Così, in seguito a tali interpretazioni giurisprudenziali, molte persone decidono di affidarsi a un avvocato e intraprendere azioni legali nella speranza di ottenere riconoscimenti simili da parte dei Tribunali. Tuttavia, è importante capire il valore effettivo di una pronuncia per coloro che non erano direttamente coinvolti nel giudizio (ossia che non erano “parti in causa”). È vero che le sentenze non sono legge?

Come può intuire anche chi non è un esperto del diritto, una legge si caratterizza per essere vincolante per tutti coloro che rientrano nei requisiti specificati dal testo normativo stesso – che è per sua natura “generale” e “astratto” – e non può essere emanata per singoli individui (non possono esistere leggi ad personam). Proprio per questo, ricorrendo a un’espressione latina, si dice che la legge ha efficacia erga omnes, ossia nei confronti di tutti i cittadini.

Al contrario, le sentenze hanno valore solo tra le parti coinvolte nel giudizio, (anche se non costituite: i cosiddetti “contumaci”), i loro eredi e coloro che hanno successivamente acquisito i diritti oggetto di contesa (i cosiddetti “aventi causa”, quali ad esempio gli acquirenti o i donatari).

Quindi, la sentenza non assume il valore di legge in senso stretto: non ha effetto su tutta la collettività.

Tuttavia, non si può negare come una pronuncia di un giudice dica molto di più di quanto in essa contenuto. La sentenza infatti non si limita a dire chi ha torto o chi ha ragione. Dovendo essere motivata, essa spiega anche come si interpreta la legge: interpretazione che, seppure non vincolante, quantomeno indirizza la collettività (dagli avvocati ai cittadini, per finire anche ai giudici stessi).

È chiaro però che l’autorevolezza di dettare un’interpretazione univoca della legge è riconosciuta solo alla Cassazione. È quest’ultima l’organo – con sede unica a Roma – che dovrebbe garantire quella che tecnicamente si chiama la “funzione nomofilattica” ossia l’interpretazione uniforme del diritto all’interno dello Stato. In altre parole, la Suprema Corte mira a salvaguardare l’applicazione coerente delle norme giuridiche in tutto il territorio nazionale onde evitare che i giudici possano pervenire a conclusioni tra loro contrastanti, con conseguente incertezza del diritto.

 

Vero però è che anche la Suprema Corte – in quanto composta da uomini che variano nel tempo e che possono modificare le proprie convinzioni – può giungere a pareri difformi e a volte diametralmente opposti.

Proprio per questo è prevista la possibilità, dinanzi a un contrasto giurisprudenziale particolarmente acceso, di devolvere la decisione alle Sezioni Unite della Cassazione. Le sentenze di quest’ultima, seppure anch’esse non sono legge, rivestono però un’autorevolezza particolarmente forte e cogente. Un giudice che voglia discostarsi da esse dovrà, infatti, motivare il proprio convincimento in modo adeguato e puntuale.

In sintesi, se anche è vero che le sentenze non fanno legge, esse offrono quantomeno un “termometro” di quello che potrebbe essere il possibile esito di una causa, anticipando l’eventuale interpretazione del diritto che farà il magistrato. E se anche tale interpretazione non dovesse essere conforme all’indirizzo maggioritario, il cittadino potrebbe sempre far ricorso alla Cassazione per chiedere la corretta applicazione delle norme nei propri confronti.

 

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