È legale registrare le conversazioni nel luogo di lavoro?
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Quando è ammesso l’uso di registratori in ufficio o in azienda per registrare ciò che dice un collega, il superiore gerarchico o il datore di lavoro. Che valore hanno i file audio?
In sintesi, la registrazione di conversazioni nel luogo di lavoro è legale se effettuata da uno dei partecipanti alla conversazione e se finalizzata alla tutela di un diritto proprio o altrui. Tale registrazione è ammissibile come prova in giudizio e non costituisce illecito disciplinare, purché rispetti i principi di pertinenza, non eccedenza e le norme sulla protezione dei dati personali.
Al contrario, la registrazione effettuata senza una giustificata finalità difensiva, o in violazione della privacy altrui, può comportare conseguenze disciplinari, incluso il licenziamento.
È quindi fondamentale che il lavoratore agisca con cautela, valutando attentamente la necessità e la proporzionalità della registrazione rispetto alla tutela del proprio diritto.
Spesso, registrare una conversazione o una confessione rappresenta l’unico modo per procurarsi la prova di un proprio diritto violato o di un torto subìto. E la giurisprudenza ritiene valide prove i file audio, anche all’interno di un processo, sia esso civile o penale. Ma è legale registrare le conversazioni nel luogo di lavoro? Questa pratica può costituire motivo di licenziamento o un reato contro l’altrui privacy?
In questo articolo esploreremo le norme e le sentenze che regolano le registrazioni di conversazioni negli uffici delle aziende, nei reparti, nelle segreterie, nei magazzini e negli altri ambienti lavorativi, offrendo una panoramica chiara e dettagliata per orientarsi in questa complessa tematica.
Indice
* Liceità della registrazione di conversazioni tra presenti
* Utilizzo delle registrazioni a fini difensivi
* Che valore ha la registrazione sul luogo di lavoro?
* Limiti e condizioni delle registrazioni sul luogo di lavoro
* Conseguenze disciplinari
* E il datore di lavoro può registrare i dipendenti?
* Conclusioni
Liceità della registrazione di conversazioni tra presenti
Secondo la giurisprudenza consolidata, la registrazione di una conversazione tra presenti effettuata da uno dei partecipanti non costituisce un illecito, né civile né penale.
La Corte di Cassazione ha affermato che tale registrazione non viola la privacy, poiché chi partecipa a una conversazione accetta il rischio che essa possa essere documentata.
Tale condotta è ritenuta lecita anche se realizzata senza il consenso degli altri interlocutori a patto che sussistano due condizioni:
* chi effettua la registrazione deve essere fisicamente presente e in grado di ascoltare direttamente il dialogo. Non è quindi possibile lasciare una “cimice” in un ambiente e allontanarsi, ingenerando nei presenti la convinzione di non essere sentiti per poterli indurre a dire o a rivelare fatti privati che, altrimenti, non direbbero mai;
* la registrazione non deve avvenire nei luoghi “privati” del soggetto registrato come il domicilio personale o gli altri spazi ad esso equiparati quali l’auto, l’ufficio personale, il giardino, il garage o il cortile.
Utilizzo delle registrazioni a fini difensivi
Le registrazioni effettuate dal lavoratore per tutelare un proprio diritto sono considerate lecite e ammissibili come prova in giudizio, anche se avvengono nell’ufficio privato del capo, nella sala riunioni, nei corridoi dell’azienda e negli altri luoghi di lavoro.
Pertanto la sua effettuazione, operata dal lavoratore ed avente ad oggetto un colloquio con il proprio datore di lavoro o con i colleghi, non integra illecito disciplinare e non può essere sanzionata con il licenziamento.
Anche sotto il profilo penale tale condotta non può essere considerata un reato: essa infatti è scriminata dall’art. 51 cod. pen.: essa infatti rappresenta l’esercizio del diritto di difesa.
Insomma, chi registra una conversazione con un collega, un superiore o gerarchico o con lo stesso capo non sta violando il cosiddetto “rapporto fiduciario” tra lavoratore e datore di lavoro”.
Che valore ha la registrazione sul luogo di lavoro?
La Cassazione ha stabilito che la registrazione di un colloquio tra presenti, rientrando nell’ambito più ampio delle “riproduzioni meccaniche” previste dall’art. 2712 cod. civ., è una prova ammissibile nel processo civile. Essa fa piena prova se non è contestata dalla controparte contro cui è prodotta.
Tale disconoscimento però non deve essere generico ma deve indicare le ragioni per cui la riproduzione non è da ritenersi genuina. Ed anche laddove essa venga contestata dal datore, il giudice sarebbe comunque libero di valutarne l’attendibilità secondo il suo prudente apprezzamento.
Dunque, quando si parla di “disconoscimento” non si intende una semplice e generica contestazione, una mera formula di stile: non basta dire “mi oppongo” oppure sostenere che la registrazione audio possa essere stata manipolata da un software di intelligenza artificiale. Bisogna anche fornire elementi che possano convincere il giudice di tali sospetti.
La parte deve indicare specificamente in cosa consista la non conformità della riproduzione ai fatti o alle cose rappresentate (Cass. sent. n. 2607/2024, n. 12672/2023).
Limiti e condizioni delle registrazioni sul luogo di lavoro
La liceità della registrazione sul luogo di lavoro è subordinata a determinate condizioni:
* deve essere effettuata per finalità difensive, ossia per tutelare un diritto proprio o altrui, e utilizzata esclusivamente a tale scopo (Cass. sent. n. 31204/2021);
* deve essere pertinente alla tesi difensiva e non eccedere le finalità di tutela del diritto;
* sebbene la registrazione a fini difensivi possa prescindere dal consenso dell’interessato, è necessario rispettare le disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.lgs. 196/2003) e del Regolamento UE 2016/679 (GDPR): ragion per cui il file audio non può essere diffuso a terzi, inoltrato, pubblicato, ecc. Esso può essere allegato solo all’atto processuale, alla denuncia o alla querela. Inoltre vanno estrapolate solo le parti relative ai fatti relativi al diritto fatto valere, estrapolando tutto ciò che non è pertinente.
Conseguenze disciplinari
La registrazione di conversazioni sul luogo di lavoro può avere conseguenze disciplinari se non rispetta i limiti sopra indicati. In particolare, se la registrazione è effettuata senza una giustificata finalità difensiva, può costituire una grave violazione del diritto alla riservatezza e giustificare sanzioni disciplinari, incluso il licenziamento.
La Corte di Cassazione ha affermato che:
«Nell’ambito dei rapporti di lavoro, la registrazione di conversazioni tra un dipendente e i suoi colleghi presenti, all’insaputa dei conversanti, configura una grave violazione del diritto alla riservatezza che giustifica il licenziamento intimato, a meno che la registrazione occulta dei dialoghi non si sia resa necessaria per difendere un diritto in giudizio». [Corte d’Appello Brescia, sez. LA, sentenza n. 1/2022].
E il datore di lavoro può registrare i dipendenti?
Anche il datore di lavoro può registrare di nascosto i dipendenti senza che questi ne siano messi al corrente e abbiano dato il proprio consenso. Sono i cosiddetti controlli difensivi, ammessi tuttavia solo a patto che:
* vi siano già fondati indizi di un grave illecito commesso dal lavoratore;
* la registrazione viene effettuata solo dopo l’acquisizione di tale indizio. Tutto ciò che viene invece intercettato prima non può essere utilizzato in giudizio.
Se non vengono rispettate queste condizioni, la registrazione all’insaputa dei dipendenti integra un reato per il quale il datore può essere denunciato.
Difatti, in linea generale, l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970), nel disciplinare l’uso di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo a distanza, ne ammette l’installazione solo previo avviso ai lavoratori con appositi cartelli. Inoltre, tali strumenti possono essere utilizzati per esigenze organizzative, produttive, di sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, solo se c’è prima un accordo con i sindacati o, in mancanza, dietro autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
Come anticipato, la giurisprudenza ha chiarito che i cosiddetti “controlli difensivi“, volti a tutelare il patrimonio aziendale o a prevenire comportamenti illeciti, sono ammessi purché rispettino i principi di proporzionalità e non eccedano le finalità legittime (Cass. sent. n. 18168 /2023).
Conclusioni
In sintesi, la registrazione di conversazioni nel luogo di lavoro è legale se effettuata da uno dei partecipanti alla conversazione e se finalizzata alla tutela di un diritto proprio o altrui. Tale registrazione è ammissibile come prova in giudizio e non costituisce illecito disciplinare, purché rispetti i principi di pertinenza, non eccedenza e le norme sulla protezione dei dati personali.
Al contrario, la registrazione effettuata senza una giustificata finalità difensiva, o in violazione della privacy altrui, può comportare conseguenze disciplinari, incluso il licenziamento.
È quindi fondamentale che il lavoratore agisca con cautela, valutando attentamente la necessità e la proporzionalità della registrazione rispetto alla tutela del proprio diritto.
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