Chi registra in vivavoce una telefonata commette reato?
La registrazione di una chiamata fatta in vivavoce, anche se davanti alla polizia, è una valida prova da utilizzare in un processo.
Registrare una telefonata non è reato, anche se l’altro conversante non ne è consapevole. La registrazione di una conversazione all’insaputa dei presenti, infatti, è lecita a patto che la stessa non venga diffusa o pubblicata. L’utilizzo è quindi limitato a scopi personali o giudiziali (ad esempio per la difesa in giudizio). Ma chi registra in vivavoce una telefonata commette reato? Il fatto cioè che terzi possano sentire il contenuto della conversazione, anche se della loro presenza non ne è consapevole chi si trova al di là della cornetta, può integrare una violazione di legge?
La questione è stata lungamente dibattuta nelle aule di giustizia e, di recente, la Cassazione ha fornito un’interpretazione contraria al passato. La sentenza (n. 10079/2024) ha infatti cambiato il corso della giurisprudenza. Vediamo dunque se si può registrare una telefonata in vivavoce. Per comprendere la questione partiamo da un esempio pratico, che poi corrisponde proprio al caso presentatosi sul banco della Suprema Corte.
Indice
* La registrazione di una telefonata per strappare una confessione
* Le regole sulle registrazioni delle telefonate
* Inoltrare una chiamata è reato
La registrazione di una telefonata per strappare una confessione
Una donna, vittima di una violenza sessuale, volendo sporgere denuncia contro il suo aggressore ma non avendo come dimostrarlo, si reca dai carabinieri e di lì telefona al colpevole per strappargli la confessione. Lo fa parlare, dichiarandosi disposta a perdonarlo se lui ammetterà le sue colpe e le chiederà scusa. Nel frattempo, i carabinieri sono in ascolto e registrano il contenuto della conversazione. L’uomo cade nella trappola e confessa ingenuamente, credendo così di mettere a tacere qualsiasi azione giudiziaria. Invece il contenuto della registrazione viene poi usato contro di lui, come prova della sua colpevolezza.
Ebbene, si è posto il problema se la registrazione fatta in vivavoce dell’altrui confessione nel corso della telefonata sia lecita o meno.
La Cassazione ha risposto affermativamente. Tale comportamento infatti non può essere inteso come intercettazione (per la quale invece sarebbe necessaria la preventiva autorizzazione del giudice).
Le regole sulle registrazioni delle telefonate
Perché tale interpretazione è innovativa? Perché in passato la Cassazione ha sempre affermato i seguenti principi:
* registrare una conversazione all’insaputa dei presenti è lecito a patto che il soggetto registrante sia materialmente presente alla discussione (non deve cioè allontanarsi lasciando il registratore accesso) e sempre che la registrazione non avvenga nella dimora o domicilio del soggetto registrato;
* registrare una telefonata è lecito anche se l’altro conversante si trova a casa sua e non è consapevole della registrazione stessa. La registrazione non può essere diffusa a terzi.
I principi che emergono da tali indicazioni lasciano chiaramente intendere che la registrazione segreta è ammessa solo se colui che parla è consapevole della presenza di chi lo sta registrando (anche se ovviamente non sa della presenza del registratore). Proprio per questo si è sempre detto che lasciare sentire ad altri una conversazione telefonica con il vivavoce non è legale.
Ora invece la Cassazione ha cambiato idea. Secondo la Corte infatti non costituiscono intercettazioni le dichiarazioni telefoniche rese in vivavoce di fronte ai carabinieri, nella quali viene ammesso il reato, acquisite poi agli atti.
In particolare, la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo. Resta salvo il divieto di divulgazione del contenuto della comunicazione.
Inoltrare una chiamata è reato
La stessa Cassazione ha detto che la trascrizione della conversazione intercorsa tra la vittima e l’autore di condotte estorsive ed usurarie, portata a conoscenza delle forze dell’ordine per iniziativa della stessa vittima mediante l’inoltro della chiamata in corso sull’utenza della polizia, che provveda nel frattempo alla sua registrazione tramite l’applicazione call recorder, è del tutto lecita e costituisce una prova valida per il processo penale.