Per la Cassazione, infatti, per poter ritenere che una coppia dopo la separazione si sia riconciliata è necessaria la ripresa della coabitazione e dei rapporti spirituali e morali
La convivenza forzata riconducibile alla testardaggine della moglie di non voler lasciare la casa non integra la coabitazione necessaria alla riconciliazione dei coniugi se non c’è la ripresa anche dei rapporti morali e spirituali. Il termine di un anno inoltre che deve decorrere dall’udienza presidenziale ai fini del ricorso per divorzio non è soggetto alla sospensione feriale perché in realtà, insieme alla mancata ripresa della convivenza, è un presupposto della domanda di divorzio. Queste le conclusioni a cui è giunta la Cassazione nell’ordinanza n. 36176/2021 .
La vicenda processuale
La Corte di Appello conferma la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra due coniugi dopo un anno dall’udienza presidenziale anche se, in assenza di riconciliazione, la coabitazione non è venuta meno. La Corte in effetti ha rilevato su quest’ultimo punto che si è trattato di una coabitazione forzata dovuta alla ostinazione della moglie di non voler lasciare la casa, condotta che non ha nulla a che vedere quindi con la volontà di riconciliarsi con il consorte.
Ostacola il divorzio la coabitazione dopo la separazione
La donna ricorre però in Cassazione sollevando le seguenti doglianze.
- Con il primo motivo fa presente che in realtà la sentenza della Corte di Appello è nulla perché, a causa della sospensione feriale dei termini, era necessario attendere 1 anno e 31 giorni dall’udienza presidenziale per depositare il ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
- Contesta con il secondo il diniego delle istanze istruttorie avanzate per dimostrare l’insussistenza del protrarsi della separazione.
- Con il terzo invece ritiene che la sentenza sia nulla a causa della mancata partecipazione del PM al giudizio di primo grado, a causa della mancata comunicazione dell’anticipo dell’udienza presidenziale.
Non c’è riconciliazione se dopo la separazione la coabitazione è “forzata”
Per la Cassazione il primo e il terzo motivo sono infondati, mentre il secondo è inammissibile, con conseguente respingimento del ricorso.
Il primo motivo è infondato perché nel caso di specie la decisione sulla separazione giudiziale è passata in giudicato, sono decorsi 12 mesi dalla stessa e la vita coniugale non è ripresa in questo periodo di tempo. La sospensione feriale non opera in relazione a detto termine perché è considerato, assieme alla mancata ripresa della convivenza, un presupposto per avanzare la domanda di divorzio.
Inammissibile il secondo motivo perché durante i suddetti 12 mesi il marito ha sporto querela nei confronti della moglie per le condotte violente di quest’ultima e ha avviato un procedimento d’urgenza 700 c.p.c per ottenete che la moglie lasciasse la casa. La coabitazione forzata non è quindi una riconciliazione, perché non è indicativa della ripresa effettiva di una vita spirituale e materiale dei coniugi.
Spetta inoltre alla parte che ha interesse a far valere la riconciliazione, precisa la Cassazione, dimostrare che la stessa si è verificata dopo la separazione, portando in giudizio una prova che deve essere piena e incontrovertibile. Gli effetti della separazione cessano solo quando le parti riprendono a coabitare, senza che rilevino però a tal fine, incontri occasionali e di frequentazione, quando questi non sono sintomatici della ripresa del rapporto anche dal punto di vista morale e spirituale. Una volta che il giudice, come nel caso di specie, ha espresso un giudizio negativo sull’avvenuta riconciliazione dei coniugi la Cassazione non lo può sindacare.
Infondato infine anche l’ultimo motivo perché il PM non è obbligato a prendere parte al procedimento di separazione, è infatti sufficiente che gli atti gli vengano comunicati, essendo nella sua discrezione e diligenza partecipare e formulare le sue conclusioni.