Quanti tipi di separazione sono previsti dalla nostra legge? IDFOX Investigazioni

Quanti tipi di separazione sono previsti dalla nostra legge?

La coppia che intenda separarsi lo può fare seguendo tre strade differenti (la separazione consensuale, giudiziale e “di fatto”). Salva anche la possibilità di intraprendere il percorso del diritto collaborativo.

L’insorgere di una crisi all’interno del rapporto coniugale può condurre alla sua dissoluzione. Sicché ne deriva la necessità di tutelare e regolamentare le posizioni consolidatesi e quelle che verranno ad instaurarsi.

Il primo step di tale dissoluzione è dato dalla separazione.

Indice

* Tipologie di separazione

o Separazione di fatto

o Separazione consensuale

o Separazione giudiziale

* Considerazioni conclusive

Tipologie di separazione

Nel nostro ordinamento esistono tre diversi tipi di separazione: separazione “di fatto”, “consensuale” e “giudiziale”.

 

 

Separazione di fatto

La separazione di fatto è l’interruzione della convivenza tra i coniugi attuata in via di mero fatto, cioè senza l’intervento di un provvedimento del tribunale. È l’atto concreto dell’allontanamento fisico tra i due coniugi, che di comune accordo cominciano a vivere due vite separate in luoghi distinti.

Tuttavia, la decisione unilaterale di allontanarsi se non sorretta da giusta causa, integra la violazione del dovere coniugale di coabitazione, che comporta la sanzione della sospensione del diritto di assistenza morale e materiale.

La legge [1] equipara la separazione di fatto a quella legale quale causa di impedimento all’adozione speciale.

Separazione consensuale

La separazione consensuale avviene per accordo delle parti.

Si tratta di un negozio bilaterale di carattere familiare, all’interno del quale vengono regolate anche le modalità di svolgimento dei rapporti personali e patrimoniali, nonché con riferimento alla presenza di figli minori.

Presenta un contenuto essenziale, relativo allo status di separati, ed un contenuto eventuale, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata, potendo prevedere anche l’assegnazione di immobili [2].

L’accordo, per avere efficacia, dev’essere omologato dal Tribunale, su richiesta di entrambi i coniugi o uno di essi. A seguito di deposito ed iscrizione a ruolo del relativo ricorso, il presidente del Tribunale fissa l’udienza per la comparizione delle parti davanti al giudice relatore, disponendo la trasmissione degli atti al pubblico ministero, il quale esprime il proprio parere entro tre giorni prima della data dell’udienza.

All’udienza il giudice sente le parti presenti e prende atto della loro volontà di non riconciliarsi, rimettendo la causa in decisione.

Si procede, di conseguenza, ad un controllo di legittimità dell’accordo, il quale non dev’essere in contrasto con l’interesse della prole. A tale scopo, il giudice può indicare ai coniugi le modificazioni alle condizioni tra di loro pattuite da adottare nell’interesse dei figli; in caso di inidonea soluzione, rigetta allo stato la domanda [3].

La procedura attualmente si conclude con sentenza di separazione con la quale il collegio omologa o prende atto degli accordi intervenuti tra le parti.

Separazione giudiziale

La separazione giudiziale è quella pronunciata dal Tribunale, a seguito del procedimento istaurato con ricorso da parte di uno o di entrambi i coniugi, quando tra di loro non si raggiunge un accordo sulle condizioni della separazione.

Il fondamento di questa tipologia di separazione è ricollegato al verificarsi di “fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole” [4]. Si tratta di fatti obiettivi, che spaziano da quelli più gravi dei maltrattamenti a quelli inerenti ad una “condizione di disaffezione e distacco di una sola delle parti, che sia verificabile in base a fatti obiettivi”, ovverosia legati alla presentazione stessa del ricorso ed alle risultanze negative del tentativo di conciliazione, dovendosi ritenere venuto meno il principio del consenso proprio di ogni vicenda relativa al rapporto coniugale [5].

La prima fase è quella che si svolge dinanzi al Presidente del Tribunale per il tentativo di conciliazione; nell’ipotesi di fallimento dello stesso, verranno disposti i provvedimenti temporanei ed urgenti necessari nell’interesse di coniugi e figli.

Il Presidente procederà ad istruire la causa secondo le norme del processo di cognizione, con l’intervento obbligatorio del pm, concludendosi con l’emissione di una sentenza. Questi dichiara, altresì, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione di un comportamento che abbia violato i doveri matrimoniali, rendendo, perciò, intollerabile la convivenza o recando grave pregiudizio all’educazione della prole. Si tratta essenzialmente di maltrattamenti, omissione dell’assistenza morale e materiale, l’infedeltà coniugale. Il coniuge cui viene addebitata la separazione non ha diritto all’assegno di mantenimento, ma solo agli alimenti, in presenza di dati presupposti. Ciò implica anche la perdita dei diritti successori, essendo riconosciuto solo un assegno vitalizio a carico dell’eredità, se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti legali a carico dell’altro coniuge; e ne deriva, infine, il diritto al mantenimento in favore di chi non abbia causato i motivi di addebito.

Considerazioni conclusive

Si consiglia sempre di tentare dapprima l’opzione della separazione consensuale; solo se quest’ultima dovesse fallire, allora le parti potranno decidere di dare avvio ad una causa per l’accertamento delle eventuali responsabilità e per la determinazione degli obblighi di mantenimento e di assegnazione della prole.

Da non escludere la possibilità di intraprendere una quarta strada, che è quella del diritto collaborativo, trattato in un altro articolo (“Diritto collaborativo: una terza via per separazione e divorzio“).

Gli effetti della separazione cessano con la riconciliazione dei coniugi, che può essere:

  1. espressa, se consacrata in un accordo formale;
  2. tacita, se attuata con la ripresa della vita in comune o comunque con un comportamento non equivoco, incompatibile con lo stato di separazione.

Tanto la riconciliazione espressa tanto quella tacita non richiedono una pronuncia giudiziale, producendo effetto di per sé.

La riforma Cartabia ha apportato novità anche nel diritto di famiglia, introducendo, nell’art. 473-bis n. 49 c.p.c., la facoltà per la parte di proporre, negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale, anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio

 

note

 

[1] Art. 6, legge n. 184/1983.

[2] Art.158 cod. civ.

[3] Art.151 cod. civ.

 

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