Cosa si rischia con una querela per diffamazione?
Conseguenze penali e risarcitorie per chi offende qualcuno su un social: come funziona una denuncia per diffamazione.
L’uso dei social network e la veemenza, che talvolta si trasforma in rabbia, con cui si scrivono determinati commenti, possono far dimenticare il fatto che, dall’altro lato dello schermo, ci sia una persona reale e non una semplice interfaccia digitale. Questa mancanza di consapevolezza, di rispetto e di senso civico può portarci a varcare, senza accorgercene, la sottile linea che separa una critica costruttiva dalla diffamazione.
Alcune persone possono essere più permalose, altre più inclini a non reagire; tuttavia, ciò non esclude il rischio di essere soggetti a una querela e a una richiesta di risarcimento danni ogni volta che si adotta un linguaggio duro, tagliente e non moderato. Dal punto di vista pratico, cosa si rischia con una querela per diffamazione? Di certo, la prima conseguenza è che si vedrà il proprio certificato “carichi pendenti” macchiato: non significa una condanna definitiva, ma socialmente (e a fini di alcuni concorsi pubblici) già lo è in parte.
Cerchiamo di comprendere quali sono i rischi della diffamazione, quando si può essere condannati, qual è la pena, quali i criteri per determinare il risarcimento.
Di certo, se temi di aver superato il limite, la prima cosa che puoi fare è cancellare il post o il commento: non già per eliminare le prove del tuo reato ma perché più tempo resta online il testo offensivo, tanto maggiore sarà il danno per la vittima e quindi la somma che dovrai pagarle.
Detto ciò, semmai vuoi sapere, prima ancora di consultare il tuo avvocato, cosa si rischia con una querela per diffamazione, cercheremo qui di seguito di darti alcune informazioni importanti. Ma procediamo con ordine.
Indice
* Cos’è la diffamazione?
* Cosa succede in caso di diffamazione?
* Quali sono le pene per la diffamazione?
* A quanto ammonta il risarcimento del danno per diffamazione?
Cos’è la diffamazione?
La diffamazione è quel comportamento che consiste nell’offendere la reputazione e l’onore di qualcuno in sua assenza e dinanzi ad almeno due persone. Essa integra un reato.
Per capire meglio, facciamo un esempio pratico: diciamo che tu, parlando con due amici al bar, affermi che un tuo conoscente, che non è presente, è un ladro o addirittura un mafioso, senza avere prove per sostenere queste gravi accuse. In questo caso, stai diffamando quella persona perché stai danneggiando la sua reputazione di fronte ad altri.
Se dici queste cose direttamente alla persona interessata, la situazione cambia. Non si tratta più di diffamazione, ma di ingiuria, che fino a poco tempo fa era considerata un reato, ma ora non lo è più: l’ingiuria oggi è solo un illecito civile che prevede l’obbligo di risarcire il danno alla vittima (a patto però che quest’ultima inizi una causa).
Si può configurare la diffamazione anche quando si scrive un post offensivo su un social, quando si condivide il post di un’altra persona che sia anch’esso offensivo (contribuendo così alla sua diffusione), quando si commenta in modo cattivo un post altrui o si usano degli emoji che abbiano un significato ingiurioso (la faccina che ride per dileggio, quella a forma di escrementi, di pagliaccio, di omino che vomita).
La diffamazione presuppone, come detto, l’assenza della vittima. In pratica non vi deve essere «contestualità» tra la pubblicazione della frase diffamante e la presenza online della vittima. Così, se quest’ultima si collega dopo pochi secondi c’è diffamazione. Se invece risulta online e in grado di leggere nello stesso momento dell’invio del testo non c’è diffamazione ma semplice ingiuria: ingiuria che non è reato ma comporta ugualmente l’obbligo di risarcire i danni alla vittima.
Stesso discorso vale per le conversazioni in chat: se, nel momento in cui si invia il messaggio oltraggioso, la vittima è offline c’è diffamazione, anche se si collega pochi attimi dopo.
Cosa succede in caso di diffamazione?
In presenza di una diffamazione, la vittima ha tre mesi di tempo da quando è venuta a conoscenza della condotta per sporgere querela. Potrà farlo dinanzi alla Polizia postale, ai Carabinieri o direttamente alla Procura della Repubblica.
In teoria, alla vittima basta uno screenshot della pagina web e la testimonianza di un’altra persona che abbia letto il contenuto per ottenere la condanna del colpevole. Di solito, per conferire una data certa allo screenshot, lo si fa “certificare” da un notaio (con un’autentica della firma) in modo da dimostrare, senza ombra di dubbio, il riferimento temporale della condotta illecita.
Dopo il deposito della querela, partono le indagini preliminari da parte del PM che possono durare dai sei mesi a un anno. In questo arco temporale, il responsabile potrebbe non sapere che pendono su di lui degli accertamenti. L’unico modo per sapere se è stato “denunciato” per diffamazione è chiedere un certificato alla Procura della Repubblica competente ai sensi dell’articolo 335 del codice di procedura penale (leggi Come sapere se sono indagato). In esso saranno contenute tutte le informazioni del caso.
Durante le indagini preliminari, polizia o carabinieri iniziano a indagare per capire cosa è successo veramente. Possono sentire per dei chiarimenti sia il reo, che la vittima o chiunque altro possa avere informazioni utili sul fatto. Durante questo periodo, la persona che hai offeso può anche presentare delle prove per sostenere la sua denuncia.
Dopo le indagini preliminari, se il PM ha raggiunto le prove della colpevolezza del responsabile, ne chiederà il rinvio a giudizio, sicché inizierà il processo vero e proprio. Potrebbe anche avvenire che venga emesso direttamente un decreto penale di condanna contro cui il colpevole potrà poi opporsi.
La vittima potrebbe però chiedere che non venga emesso il decreto penale di condanna perché, se c’è un processo e un dibattimento, questa potrebbe costituirsi parte civile con un avvocato e chiedere, già in quella sede anche il risarcimento del danno (senza bisogno di un ulteriore giudizio civile).
Quali sono le pene per la diffamazione?
Il reato di diffamazione è punito con la pena della reclusione fino ad un anno o con la multa fino ad 1.032 euro.
Tuttavia se la diffamazione consiste nell’attribuire alla vittima un fatto determinato (si pensi a chi scrive «Mario ha corrotto il sindaco per ottenere il posto nella polizia locale»), la pena sarà sostanzialmente raddoppiata, con la reclusione fino a due anni o la multa fino a 2.065 euro.
Infine vediamo cosa rischia chi commette diffamazione su internet o sui social network (o anche con la stampa tradizionale oppure online). In tal caso la pena consiste nella reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore a 516 euro.
Se il giudice ritiene che il fatto sia isolato, che la vittima non abbia subito un grave danno e che il reo non sia “abituale”, allora potrà archiviare il processo penale richiamandosi all’articolo 131-bis del codice penale che sancisce la «non punibilità per particolare tenuità del fatto». In questo caso l’imputato non subisce la sanzione penale, ma resta ugualmente obbligato a risarcire i danni alla vittima e, nello stesso tempo, avrà la fedina penale macchiata.
A quanto ammonta il risarcimento del danno per diffamazione?
La vittima della diffamazione ha diritto a vedersi risarcire tutti i danni, patrimoniali e morali, conseguenti alla condotta illecita.
I danni patrimoniali vanno puntualmente dimostrati e possono consistere, ad esempio, nella perdita di clientela per un professionista che sia stato messo alla berlina e che abbia perciò perso clientela; potrebbe anche essere il caso di una azienda nei cui confronti sia stata pubblicata una recensione non veritiera e diffamatoria che, in conseguenza di ciò, abbia subito un significativo calo di fatturato.
I danni non patrimoniali corrispondono ai danni morali e al danno biologico (ad esempio una sofferenza psichica) che possa aver patito la vittima. Tali danni vengono calcolati in base ad apposite tabelle che tengono conto di una serie di parametri come (Cass. sent. 3772/2024):
* la notorietà del diffamante;
* la notorietà del diffamato, il ruolo istituzionale o professionale da lui eventualmente ricoperto;
* la natura della condotta diffamatoria e quindi il tipo di espressione usata o l’attribuzione di un fatto specifico;
* l’eventuale reiterazione della condotta in più post, commenti, scritti;
* nel caso di diffamazione a mezzo stampa, la collocazione dell’articolo e lo spazio che la notizia diffamatoria occupa;
* l’intensità della volontà del reo di danneggiare la vittima;
* il mezzo con cui è stata perpetrata la diffamazione e la sua diffusione;
* la risonanza mediatica suscitata dalle notizie diffamatorie;
* la natura ed entità delle conseguenze sull’attività professionale e sulla vita del diffamato;
* la limitata riconoscibilità del diffamato;
* la rettifica successiva e/o lo spazio dato a dichiarazioni correttive del diffamato oppure la cancellazione del post da internet.