Milano: Investigatore Privato. Consenso informato e autodeterminazione: il caso Montgomery

Milano: Investigatore Privato. Consenso informato e autodeterminazione: il caso Montgomery

 

 

Con sentenza dell’11 marzo 2015, la Corte Suprema del Regno Unito, (United Kingdom Supreme Court), nel caso Montgomery v Lanarkshire Health Board,[1] stabilendo che i medici hanno l’obbligo di informare i pazienti su tutti i rischi associati al trattamento medico che, una volta comunicati al paziente, possono influenzare le sue scelte terapeutiche, ha preso le distanze da un precedente, seguito per oltre trent’anni, in materia di consenso informato, ovvero il dovere di divulgare informazioni ai pazienti sui rischi del trattamento proposto e sulle possibili alternative. La ratio era allineare la normativa nazionale al rispetto del diritto fondamentale di autodeterminazione del paziente, garantito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dallo Human Rights Act del 1998. Dopo il caso Montgomery, il cosiddetto Bolam Test, non è stato più applicato al tema del consenso. Un medico ha l’obbligo di assumere “Ragionevole cura per garantire che il paziente sia consapevole di eventuali rischi materiali connessi a qualsiasi trattamento raccomandato e di eventuali trattamenti alternativi o varianti ragionevoli”[2]

La vicenda

L’appellante, Nadine Montgomery, affetta da diabete, aveva dato alla luce, il 1° ottobre 1999, presso il Bellshill Maternity Hospital, nel Lanarkshire, un bambino che, a seguito di complicazioni durante il parto (distocia di spalla e conseguente insulto ipossico), era nato con gravi disabilità (paralisi cerebrale). La ginecologa non aveva divulgato il maggior rischio di tale complicazione, nonostante la richiesta della Montgomery sulla potenziale problematicità legata alle dimensioni del bambino. La donna citava in giudizio il Lanarkshire Health Board, ente del Servizio Sanitario Nazionale (National Health System NHS) responsabile della fornitura dei servizi sanitari nell’area di Lanarkshire, in Scozia, per negligenza, sostenendo che, se avesse conosciuto il rischio aumentato, avrebbe richiesto un taglio cesareo. Le donne con diabete presentano maggiori probabilità di avere bambini di grandi dimensioni, e vi è un rischio del 9-10% di distocia di spalla durante il parto naturale. Sebbene ciò possa essere risolto con procedure d’emergenza durante il parto, la distocia di spalla presenta vari rischi per la salute della donna e del bambino. La signora Montgomery aveva sollevato preoccupazioni riguardo al parto naturale, ma la politica della ginecologa, dottoressa McLellan, non prevedeva di informare sistematicamente le donne diabetiche sulla distocia di spalla, poiché, secondo il suo parere, il rischio di un grave problema per il bambino era molto ridotto. Tuttavia, se alle donne fossero stati comunicati i rischi della distocia di spalla, esse avrebbero optato per un taglio cesareo, il che non era nell’interesse materno. La Corte Suprema del Regno Unito, discostandosi dal precedente espresso nel caso Sidaway, (Sidaway v Board of Governors of the Bethlem Royal Hospital del 1985, riguardante il consenso informato e la responsabilità medica), che in tale occasione aveva sostenuto che i medici erano tenuti a fornire informazioni sufficienti per consentire al paziente di prendere decisioni informate, ma che tuttavia aveva stabilito anche che i medici non erano tenuti a rivelare ogni possibile rischio, ma solo quelli che un “prudente” medico avrebbe considerato rilevanti, (noto come il principio di Bolam), emetteva sentenza a favore della Montgomery, stabilendo che, invece di essere una questione di giudizio clinico valutato dall’opinione medica professionale, al paziente dovrebbe essere detto tutto ciò che desidera sapere, non ciò che il medico ritiene che dovrebbe sapere. Il caso Montgomery ha elevato lo standard del test di ragionevolezza, rivolgendo l’attenzione al paziente ragionevole piuttosto che al medico ragionevole. Diverse organizzazioni, in particolare il General Medical Council (GMC), ente pubblico che mantiene il registro ufficiale dei medici nel Regno Unito, erano intervenute per presentare osservazioni sul caso, affermando che il caso Montgomery aveva consentito alla legge del Regno Unito di adeguarsi alle linee guida del GMC; altre l’avevano accolta come “La sentenza più importante nel Regno Unito in materia di consenso informato degli ultimi 30 anni”. Un dibattito pubblico nel 2015, che vedeva la partecipazione di medici, avvocati e studenti di medicina, evidenziava una rinnovata tensione tra discrezionalità professionale dei medici e scelte dei pazienti. Il verdetto, infatti, era stato caratterizzato quale supporto all’autonomia del paziente rispetto al paternalismo medico, stabilendo che i pazienti dovrebbero essere informati in modo completo e trasparente, consentendo loro di partecipare attivamente alle decisioni sulla propria salute.[3]

Dal Bolam Test alla svolta del caso Montgomery: un cambiamento evolutivo della pratica medica verso la cura centrata sul paziente

La storica decisione della Corte Suprema nel caso Montgomery v Lanarkshire Health Board ha confermato che il diritto del paziente all’autodeterminazione nelle decisioni di trattamento trionfa sul paternalismo medico, concludendo che il test di Bolam non fosse appropriato nei casi di consenso ed affermando al paragrafo 87 della sentenza: “Una persona adulta in piena salute mentale ha il diritto di decidere quale, se del caso, dei trattamenti disponibili sottoporsi, e il suo consenso deve essere ottenuto prima che venga intrapreso qualsiasi trattamento che interferisca con la sua integrità corporea. Il medico ha quindi il dovere di prendere ragionevole cura per garantire che il paziente sia consapevole di eventuali rischi significativi connessi a qualsiasi trattamento consigliato e di qualsiasi trattamento alternativo o variante ragionevole. Il test di materialità è se, nelle circostanze del caso particolare, una persona ragionevole nella posizione del paziente sarebbe probabilmente incline ad attribuire importanza al rischio, o se il medico è o dovrebbe ragionevolmente essere consapevole che il paziente particolare sarebbe probabilmente incline ad attribuirgli importanza”.[4] Il caso Montgomery ha segnato la conclusione di una battaglia tra due filoni del diritto: il difensivo Bolam Test, istituito nel 1957 e diventato un precedente per valutare lo standard di cura nei casi di negligenza medica, a seguito della decisione della Corte d’Appello del Regno Unito nel caso Bolam v Frierm Barnet Hospital Management Committee (HMC)[5], secondo cui un medico non è negligente se agisce in conformità con la pratica accettata dalla comunità medica, a condizione che tale pratica sia supportata da un corpo significativo e responsabile di professionisti della stessa disciplina e che il medico abbia l’adeguata competenza e abilità, e un approccio basato sui diritti del paziente. Già nel 1997, il caso Bolitho v City and Hackney Health Authority aveva introdotto una modifica/precisazione al Bolam Test, la cui critica principale era di estendersi oltre i suoi limiti previsti, consentendo che lo standard di legge venisse stabilito soggettivamente dai medici. La House of Lords aveva infatti deciso che, anche se la pratica medica è supportata da un corpo responsabile di professionisti, il giudice ha il potere di esaminare se quella pratica è razionale e ha senso. Se una pratica è scientificamente irragionevole, il giudice può ritenere che un medico sia negligente, nonostante il supporto della pratica da parte della comunità medica. In sintesi, il test di Bolitho introduceva un elemento di ragionevolezza scientifica al di là della semplice conformità alla pratica medica comune, imponendo il requisito di una spiegazione del fondamento logico alla base dello standard di cura proclamato.[6]

Il consenso informato post-Mongomery: più di una firma su un modulo

Da quando la Corte Suprema ha rivoluzionato il panorama legale in merito al consenso informato con la sua sentenza fondamentale nel caso Montgomery, è nato il c.d. test of materiality o test di rilevanza, nella cui valutazione la Corte Suprema nel caso Montgomery ha fornito le seguenti linee guida: 1) la valutazione se un rischio è rilevante non può essere ridotta a percentuali. La rilevanza di un dato rischio è probabile che rifletta una varietà di fattori oltre alla sua entità: la natura del rischio, il suo effetto sulla vita del paziente, l’importanza per il paziente dei benefici cercati dal trattamento, le alternative disponibili e i rischi associati alle alternative. 2) Il ruolo consulenziale del medico implica un dialogo, il cui scopo è garantire che il paziente comprenda tutti gli aspetti coinvolti. Le informazioni fornite devono essere comprensibili e non vengono soddisfatte bombardando con informazioni tecniche e/o abbondanti opuscoli/letteratura. Dopo il caso Montgomery, il GMC ha emesso nuove linee guida per i medici intitolate Decision Making and Consent. entrate in vigore nel novembre 2020, che hanno sostituito quelle pubblicate per l’ultima volta nel 2008: esse si concentrano sull’importanza di un dialogo significativo, una comunicazione personalizzata e sui potenziali benefici e danni, e su come i medici possono sostenere i pazienti nel prendere decisioni su trattamenti e cure. Al loro nucleo vi sono i seven principles of decision making and consent, che trovano la loro genesi e significato nella sentenza Montgomery e al cui centro vi è il concetto di dialogo significativo.[7] Le nuove linee guida traducono la decisione Montgomery in orientamenti pratici per i professionisti medici, tra cui centrale è la tenuta di note mediche contemporanee, che riferisce alla pratica di registrare dettagliatamente e tempestivamente le informazioni cliniche e le decisioni prese durante l’interazione tra medico e paziente. Tali note sono scritte in tempo reale o poco dopo l’evento o la consultazione medica e servono a documentare in modo accurato le informazioni rilevanti. Nel contesto della pratica medica, la tenuta di note mediche contemporanee è di fondamentale importanza, in particolare in situazioni che coinvolgono il consenso informato. Mantenere registrazioni accurate e tempestive delle discussioni e delle decisioni relative al trattamento aiuta a stabilire in modo chiaro ciò che è stato comunicato al paziente, compresi i rischi e le alternative discusse durante il consenso informato. Tale pratica è fondamentale per garantire la trasparenza, l’accountability e l’accuratezza nei confronti dei pazienti e può essere cruciale in caso di controversie legali, in quanto fornisce una testimonianza dettagliata degli eventi e delle informazioni divulgate durante il percorso di trattamento.

Fonte internet

 

Articolo precedente
Milano: Investigatore Privato.Condotta sportiva violenta: quando è reato
Articolo successivo
Milano: Investigatore Privato. Come intestare una casa senza notaio con l’usucapione?
Menu