Investigatore Privato, Agenzia IDFOX Milano_Impugnazione del testamento

L’impugnazione del testamento è un’azione esercitabile, nei modi e nei tempi previsti dal codice civile, per farne valere i vizi che riguardano la forma, il contenuto, la capacità del testatore e i vizi della volontà

Impugnazione del testamento: cos’è

L’impugnazione del testamento è un’azione che può essere esperita solo dopo la morte del testatore.

Dal punto di vista pratico per impugnare un testamento occorre redigere un atto di citazione davanti all’autorità giudiziaria competente, che coincide con il Tribunale collegiale del luogo in cui si è aperta la successione del de cuius. Occorre tuttavia ricordare che le successioni ereditarie fanno parte di quelle materie per le quali il decreto legislativo n. 28/2010 impone la mediazione obbligatoria come condizione di procedibilità. Questo significa che prima di impugnare un testamento davanti al Tribunale è necessario esperire il tentativo preventivo di mediazione obbligatoria.

Azioni giudiziarie contro il testamento

Quando si desidera impugnare un testamento, le ragioni possono essere diverse, così come diverse sono le azioni che si possono intraprendere in base al vizio o al difetto che si ritiene infici l’atto di ultima volontà.

  – L’azione di annullamento è finalizzata ad ottenere una sentenza costitutiva in grado di eliminare le disposizioni testamentarie viziate

  – L’azione di nullità si pone l’obiettivo di dichiarare la nullità delle volontà testamentarie del de cuius. L’inesistenza, vizio creato dalla dottrina e dalla giurisprudenza riguarda quelle ipotesi in cui le alterazioni del testamento sono così gravi da impedirne il riconoscimento come tale. Simile per certi aspetti alla nullità, se ne discosta però per le conseguenze.

  – L’azione di riduzione infine è quella che viene riconosciuta in favore degli eredi legittimari che, a causa delle disposizioni testamentarie o di donazioni fatte in vita dal de cuius, subiscono la riduzione della propria quota.

Accettazione eredità e impugnazione del testamento

L’accettazione dell’eredità non ostacola l’impugnazione del testamento, che è atto separato. L’accettazione ha ad oggetto l’eredità devoluta, mentre il testamento è un negozio unilaterale. In alcuni casi l’accettazione dell’eredità è necessaria per poter procedere all’impugnazione del testamento. La distinzione tra accettazione e testamento emerge comunque dalla formulazione dell’art. 483 c.c, il quale dispone che: “L’accettazione dell’eredità non si può impugnare se è viziata da errore . Tuttavia, se si scopre un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione, l’erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti in esso oltre il valore dell’eredità, o con pregiudizio della porzione legittima che gli è dovuta . Se i beni ereditari non bastano a soddisfare tali legati, si riducono proporzionalmente anche i legati scritti in altri testamenti. Se alcuni legatari sono stati già soddisfatti per intero, contro di loro è data azione di regresso. L’onere di provare il valore dell’eredità incombe all’erede”.

Vizi del testamento

I vizi che possono determinare l’impugnazione del testamento sono classificabili nelle seguenti categorie:

  – vizi che riguardano la forma del testamento: il testamento olografo ad esempio deve essere sottoscritto dal testatore, mentre quello pubblico richiede necessariamente la redazione da parte di un notaio e la presenza di due testimoni. Il mancato rispetto di queste formalità vizia il testamento;

  – vizi relativi al contenuto testamentario: sono quelli che derivano dal mancato rispetto delle norme che regolano la formazione del contenuto delle disposizioni testamentarie;

  – vizi relativi alla capacità di disporre per testamento: pensiamo al testamento redatto da un soggetto che non ha ancora acquisito la capacità di agire come un minore;

  – vizi della volontà: sono quelli invece che alterano la manifestazione di volontà del testatore e sono l’errore, la violenza e il dolo.

I vizi delle volontà, della capacità di disporre e della forma conducono all’azione di annullamento del testamento. Analizziamoli distintamente uno ad uno.

Vizi della volontà e annullabilità del testamento

Il primo comma dell’art. 624 c.c. prevede che la disposizione testamentaria possa essere impugnata da chiunque vi abbia interesse quando è l’effetto di errore, di violenza o di dolo. Tale disposizione è espressione del principio generale secondo cui un negozio giuridico è in genere invalido in presenza di un c.d. vizio della volontà.

La disciplina sui vizi della volontà delle disposizioni testamentarie è in parte analoga a quella di cui all’art. 1427 e ss. del codice civile relativa ai vizi del consenso in ambito contrattuale, ma complessivamente intesa presenta delle caratteristiche peculiari. La differenza di disciplina si coglie avendo riguardo alla sostanziale assenza in materia testamentaria dell’esigenza di tutela dell’affidamento dei terzi.

La norma citata prevede infatti che la disposizione testamentaria possa essere impugnata ove sia “l’effetto” di errore, violenza e dolo, con ciò non richiedendo la riconoscibilità e l’essenzialità del vizio. In questi termini, nell’ambito della successione testamentaria, l’esigenza di carattere primario che l’ordinamento mira a tutelare è unicamente la libertà e volontà del testatore e conseguentemente l’accertamento della rilevanza del vizio verrà operato in concreto avendo riguardo esclusivamente alla volontà del de cuius.

Diversamente da quanto previsto dall’art. 1428 c.c., in materia testamentaria, è irrilevante la circostanza che l’errore sia o meno riconoscibile. Ciò che rileva è che vi sia stata una falsa rappresentazione della realtà che abbia inciso in maniera determinante sulla volontà del testatore. Analogamente, in tema di dolo o violenza la giurisprudenza ha precisato che occorre dare la prova che i fatti di induzione abbiano indirizzato la volontà del testatore in modo diverso da come essa avrebbe potuto normalmente determinarsi.

In base a quanto stabilito dal terzo comma l’azione di annullamento spetta a chiunque vi abbia interesse e si prescrive in cinque anni decorrenti dalla data in cui si è avuta notizia del vizio.

Errore sul motivo

L’assenza di qualsivoglia esigenza di tutela dell’affidamento dei terzi nei termini di cui si è detto spiega anche perché, al secondo comma dell’art. 624 c.c, viene previsto tra le cause di annullamento anche l’errore sul motivo sia di fatto, che di diritto. Tale previsione rappresenta un ulteriore scostamento dalla disciplina contrattuale nella quale l’errore sui motivi è in via di principio irrilevante. La norma prevede infatti che l’errore sul motivo possa essere causa di annullamento della disposizione testamentaria al ricorrere di due condizioni: da un lato ove il motivo erroneo “risulti” dal testamento e possa quindi essere desunto dall’insieme delle disposizioni testamentarie; dall’altro che il motivo sia stato “il solo che ha determinato il testatore a disporre”.

Errore ostativo

Particolare attenzione alla volontà del testatore si scorge nella disciplina di cui all’art. 625 c.c. relativa al c.d. errore ostativo. Tale norma prevede che nel caso in cui vi sia stata un’erronea indicazione circa il soggetto individuato quale erede o legatario o della cosa che forma oggetto del testamento, la disposizione testamentaria non perda efficacia se “dal contesto del testamento o altrimenti risulta in modo non equivoco quale persona il testatore voleva nominare” o parimenti ove sia comunque “certo a quale cosa il testatore intendeva riferirsi”. Tale disposizione è espressione del generale principio operante in materia testamentaria secondo cui in tema di interpretazione del testamento occorre riconoscere prevalenza alla volontà effettiva del testatore. Costituisce infatti applicazione specifica della regola di interpretazione soggettiva di cui all’art. 1362 c.c. che in ambito testamentario assume primario, se non assoluto rilievo.

Captazione

Quanto alle ipotesi di dolo – che in materia testamentaria prende il nome di captazione – non basta una qualsiasi influenza esercitata sul testatore, ma è necessario che vi sia stato l’impiego di mezzi fraudolenti che, tenuto conto dell’età, dello stato di salute e delle condizioni psichiche del de cuius, siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso verso il quale non si sarebbe spontaneamente indirizzata.

Vizi di forma e annullabilità del testamento

I vizi di forma del testamento che giustificano l’azione di annullamento sono quelli contemplati dall’art. 606 c.c. Trattasi di difetti residuali rispetto alla sottoscrizione del testamento olografo, alla mancata redazione in forma scritta da parte del notaio, alla mancata indicazione delle dichiarazioni del testatore e alla mancata sottoscrizione dell’atto da parte di entrambi per quanto riguarda il testamento pubblico, che ne determinano invece la nullità. Tanto per fare qualche esempio è annullabile il testamento olografo con data mancante o incompleta, la mancata lettura davanti ai testimoni di quello pubblico.

L’azione di annullamento, anche in questo caso, si prescrive nel termine di 5 anni, però dal giorno in cui è stata data esecuzioni alle disposizioni testamentarie e la stessa può essere intrapresa su istanza di chiunque vi abbia interesse.

Vizi della capacità di disporre per testamento

Il testamento non può essere redatto da un soggetto incapace a disporre come un minore, un interdetto e un soggetto incapace di intendere e volere nel momento in cui ha disposto per testamento, pur non essendo interdetto. Questo vizio, in base a quanto prevede l’art. 591 c.c, può essere fatto valere con l’impugnazione del testamento da chiunque vi abbia interesse. L’azione, come per i vizi di forma, si prescrive nel termine di 5 anni che decorre dal momento in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.

Chi vuole impugnare il testamento redatto da un incapace ha l’onere, ovviamente, di dimostrare lo stato di incapacità, anche meramente transitorio, del soggetto che ha espresso e manifestato in un atto formale le sue ultime volontà.

L’articolo non fa alcun riferimento al soggetto sottoposto all’istituto dell’amministrazione di sostegno. Si ritiene pertanto che questo soggetto, a meno che il decreto di nomina dell’amministratore non disponga diversamente, possa redigere testamento.

La sentenza di annullamento

La sentenza che viene pronunciata al termine di un’azione di annullamento avente ad oggetto un intero testamento o una singola disposizione ha natura costitutiva. Questo comporta l’efficacia delle disposizioni testamentarie fino a quando qualcuno dei soggetti legittimati non impugni il testamento e non intervenga la relativa sentenza di annullamento. Se poi nessuno desideri impugnare il testamento e il termine di prescrizione di 5 anni previsto per agire decorre, a quel punto il testamento e le disposizioni in esso contenuto diventano efficaci in via definitiva.

Impugnazione del testamento e nullità

I vizi che determinato la nullità del testamento o delle singole disposizioni testamentarie sono più gravi di quelli che legittimano l’azione di annullamento. Essi possono riguardare la forma, la sostanza, ma anche la volontà.

Vizi di forma 

I vizi di forma che conducono alla nullità del testamento, secondo l’art. 606 c.c. comma 1 sono la mancanza di sottoscrizione del testamento olografo e la mancanza di “redazione per iscritto, da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore o la sottoscrizione dell’uno o dell’altro, nel caso di testamento per atto di notaio.”

Vizi di sostanza

I vizi di sostanza che determinano la nullità del testamento sono diverse, vediamo le più importanti:

  – art. 596 c.c: sono nulle le disposizioni testamentarie della persona sottoposta a tutela in favore del tutore, se fatte dopo la nomina di questo e prima che sia approvato il conto o sia estinta l’azione per il rendimento del conto medesimo, quantunque il testatore sia morto dopo l’approvazione. Questa norma si applica anche al protutore, se il testamento è fatto nel tempo in cui egli sostituiva il tutore;

  – art. 597 c.c: sono nulle le disposizioni a favore del notaio o di altro ufficiale che ha ricevuto il testamento pubblico, ovvero a favore di alcuno dei testimoni o dell’ interprete intervenuti al testamento medesimo;

  – art. 598 c.c: sono nulle le disposizioni a favore della persona che ha scritto il testamento segreto, salvo che siano approvate di mano dello stesso testatore o nell’atto della consegna. Sono pure nulle le disposizioni a favore del notaio a cui il testamento segreto è stato consegnato in plico non sigillato.

Trattasi di disposizioni che mirano a tutelare il rapporto esistente tra i soggetti coinvolti.

Vizi previsti a tutela della libertà testamentaria 

L’art. 458 c.c. sul divieto dei patti successori sanziona con la nullità qualsiasi convenzione con cui qualcuno dispone della propria successione. E’ altresì nullo “ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi.”

Vietati e quindi nulli anche i testamenti congiuntivi e reciproci, ossia quelli previsti dall’art. 589 c.c., il quale dispone infatti che “Non si può fare testamento da due o più persone nel medesimo atto, né a vantaggio di un terzo né con disposizione reciproca.”

Nulla altresì, ai sensi dell’art. 631 comma 1 “ogni disposizione testamentaria con la quale si fa dipendere dall’arbitrio di un terzo l’indicazione dell’erede o del legatario ovvero la determinazione della quota di eredità.”

Nullità delle singole disposizioni

Tra le ipotesi di nullità delle singole disposizioni testamentarie l’art. 626 c.c. prevede che il motivo illecito renda nulla la disposizione testamentaria, quando risulti dal testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre. In tal senso per motivo del testamento ci si riferisce alla ragione che ha determinato il testatore ad individuare un determinato soggetto. E’ illecito il motivo contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume ed è necessario, così come in materia di donazione (art. 788 c.c.), che il motivo risulti dall’atto.

La disposizione singola è nulla anche quando l’onere testamentario impossibile o illecito costituisce il solo motivo determinante della sua apposizione (art. 647 c.c.)

L’errore ex art. 625 c.c. può dar luogo a nullità della disposizione (e ciò diversamente da quanto avviene in materia contrattuale in cui l’errore ostativo rileva solo quale causa di annullamento) se non è possibile determinare con certezza il contenuto della disposizione testamentaria.

Nulla altresì la disposizione testamentaria fatta in favore di un soggetto indeterminabile (art. 628 c.c.).

Il legato di cosa dell’onerato o di un terzo è nullo salvo che dal testamento o da altra dichiarazione scritta dal testatore risulti che questi sapeva che la cosa legata apparteneva all’onerato o al terzo (art. 651 c.c.)

Il legato di cosa che al tempo in cui fu fatto il testamento era già di proprietà del legatario è nullo, se la cosa si trova in proprietà di lui anche al tempo dell’apertura della successione (art. 656 c.c.).

Testamento inesistente

Alla nullità e all’annullabilità si affianca il vizio di natura dottrinale e giurisprudenziale dell’inesistenza, che è talmente grave da non potersi applicare l’art. 590 c.c. il quale dispone che “La nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità ha, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione.”

È inesistente ad esempio il testamento nuncupativo, ossia quello orale, che non può essere convalidato, così come quello falso, il cui contenuto viene cambiato per intervento di soggetti terzi rispetto al testatore. Ovviamente anche questo testamento non può essere convalidato.

La sentenza di nullità

Dal momento che le disposizioni o i testamenti nulli o inesistenti sono improduttivi di effetti, la sentenza avrà un mero valore dichiarativo. L’azione relativa non è inoltre soggetta ad alcun termine di prescrizione.

Convalida delle disposizioni testamentarie

Alla luce delle recenti considerazioni sulla possibilità di convalidare anche le disposizioni viziate, si può concludere che, in base alla previsione contenuta nell’art. 590 c.c. è certa la possibilità di convalidare disposizioni nulle. Dottrina e giurisprudenza sono tuttavia concordi nel riconoscere questa possibilità anche in relazione alle disposizioni testamentarie o ai testamenti annullabili.

Azione di riduzione per lesione della legittima

L’azione di riduzione è prevista per ridurre le disposizioni testamentarie. Essa è prevista dall’articolo 553 del codice civile e spetta ai legittimari, successori a cui la legge accorda una tutela particolare. I legittimari sono infatti coloro che hanno con il de cuius un rapporto di coniugio o di parentela più stretti. Trattasi del coniuge, dei figli e degli ascendenti. Solo a questi soggetti compete l’azione di riduzione.

Ovviamente l’entità delle quote della legittima varia in base al numero dei legittimari che concorrono sulla stessa successione, essa è però è condizionata anche dalla consistenza del patrimonio del defunto, che in base all’articolo 556 del codice civile è rappresentato dei diritti di credito presenti all’apertura della successione detratti i debiti e sommate le donazioni effettuate dal defunto quando era ancora in vita.

Per quanto riguarda le modalità concrete dell’azione di riduzione l’articolo 558 del codice civile stabilisce che la riduzione è proporzionale, senza distinzione alcuna tra eredi e legatario. Se la riduzione delle disposizioni testamentarie risulta però insufficiente ad integrare la quota del legittimario che è stato leso costui potrà agire in riduzione nei confronti delle donazioni perfezionate in vita dal defunto a partire dall’ultima in ordine di tempo.

Per poter attivare l’azione di riduzione però i legittimari devono prima accettare le utilità con beneficio di inventario, chi invece è destinatario di un legato in sostituzione della legittima prima di poter intraprendere l’azione di riduzione dovrà rinunciare al legato a meno che non si tratti di un legato con facoltà di supplemento.

Abbiamo trattato il discorso dell’azione di riduzione perché collegata alle disposizioni testamentarie e all’impugnazione del testamento. Occorre però precisare a riguardo che nel caso di questa azione le disposizioni testamentarie impugnate non sono nulle né tantomeno annullabili, esse infatti vengono solo ridotte nella loro entità.

Giurisprudenza e dottrina sono concordi infine nel riconoscere a questa azione natura di accertamento costitutivo, infatti essa accerta la lesione della legittima e avvia la reintegrazione della parte lesa.

Il termine di prescrizione per poter esercitare l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie e di 10 anni. Dubbi sussistono in ordine alla decorrenza del termine. Una parte della dottrina ritiene che esso decorre dalla data di apertura della successione ossia dalla data di morte del de cuius, altra giurisprudenza più autorevole e anche più recente ritiene inviene che il termine di prescrizione decorra dalla data di accettazione dell’eredità.

Costi dell’impugnazione del testamento

Giunti al termine di questa trattazione occorre chiarire, per quanto riguarda il costo della procedura di impugnazione del testamento o delle singole disposizioni, che lo stesso è assai variabile.

Abbiamo visto infatti che prima di tutto è necessario esperire il tentativo obbligatorio di mediazione come condizione di procedibilità dell’azione in giudizio. Ne consegue che se la controversia relativa al testamento si risolve in sede di mediazione i costi saranno decisamente contenuti. In questi casi potrebbe essere sufficiente l’esborso di qualche centinaio di euro.

Quando si intraprende invece un’azione giudiziaria, in caso di insuccesso della mediazione, è necessario ragionare in termini di qualche migliaio di euro.

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