Quali diritti non hanno le coppie di fatto? Nonostante il progressivo allargamento, operato dalla giurisprudenza, delle tutele previste per le coppie unite in matrimonio anche alle coppie di fatto, restano ancora delle profonde differenze tra chi si sposa e chi invece convive. Prima tra tutte il fatto che, in caso di separazione, al partner non è dovuto alcun mantenimento (salvo gli alimenti in caso di grave difficoltà economica tale da comprometterne la sopravvivenza), né l’obbligo di fedeltà. Ed ancora il convivente non è considerato erede legittimario: a questi quindi non va, di diritto, alcuna quota di patrimonio del defunto.
Cerchiamo, più nel dettaglio, di elencare quali diritti non hanno le coppie di fatto partendo proprio dalle tutele che la legge riconosce loro in modo poi da ricavare l’elenco per esclusione. Ma procediamo con ordine.
Cos’è la coppia di fatto?
La coppia di fatto è quella che convive stabilmente e che pertanto forma ciò che si definisce, in gergo tecnico, una convivenza more uxorio, ossia basata sugli stessi obblighi morali del matrimonio (stabilità, assistenza reciproca, contribuzione ai bisogni della famiglia).
La disciplina della famiglia di fatto è contenuta nella legge 20 maggio 2016 n.76, che definisce conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
La coppia di conviventi non deve essere necessariamente di sesso diverso, ben potendo essere rappresentata da omosessuali. Tuttavia, le coppie gay hanno anche un’altra e più incisiva forma di tutela: quella costituita dalla realizzazione di un’unione civile che garantisce loro gran parte dei diritti di una coppia sposata.
La coppia di conviventi può raggiungere tre diversi stadi di maturazione. C’è la coppia di conviventi pura e semplice, dove i due si limitano a vivere sotto lo stesso tetto. C’è poi quella che formalizza la propria situazione al Comune, registrandosi all’anagrafe come un unico nucleo familiare (i due conviventi dovranno dichiarare all’ufficio anagrafe di costituire una coppia di fatto e di coabitare nella stessa casa). Infine, c’è la coppia di fatto che ha stipulato un contratto di convivenza, regolando così liberamente alcuni aspetti della loro unione e dell’eventuale separazione.
I diritti delle coppie di fatto
I conviventi di fatto, che hanno formalizzato la loro unione all’anagrafe del Comune, costituendo così un unico nucleo familiare, hanno una serie di diritti che vengono riconosciuti tipicamente alle coppie sposate. Ad esempio, hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario.
In caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari.
Diritto agli alimenti
Se la convivenza cessa, nessuno dei due partner può chiedere all’altro il mantenimento come invece avviene nelle coppie sposate. Tuttavia, è diritto del convivente chiedere all’ex gli alimenti, una somma cioè appena sufficiente a sopravvivere nel caso questi, per una grave impossibilità (ad esempio, malattia) non sia in grado di procurarsi il necessario. In particolare, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti non durano in eterno ma sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e in proporzione alle capacità economiche dell’ex. Ai fini della determinazione dell’ordine degli obbligati, l’obbligo alimentare del convivente è adempiuto solo se non ci sono figli, nipoti, genitori.
Il diritto agli alimenti in favore del convivente comporta che una pretesa alimentare del convivente more uxorio è possibile solo per quelle convivenze cessate a partire dal 5 giugno 2016, data a partire dalla quale è stata prevista tale possibilità.
Diritto di abitare la casa comune
Come noto, se muore uno dei due coniugi, l’altro ha diritto di abitare la casa comune fino alla propria morte. Questo diritto è limitato nel caso di conviventi. In particolare, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.
Tale diritto viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.
Se la coppia viveva invece in affitto, nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto.
Graduatorie nell’assegnazione di case popolari
Nel caso in cui l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto.
In caso di condanna, anche non definitiva, o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del Codice di procedura penale per i reati, consumati o tentati, di cui agli articoli 564, 572, 575, 578, 582, 583, 584, 605, 609 bis, 609 ter, 609 quinquies, 609 sexies e 609 octies del Codice penale, commessi all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio, da unione civile o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto della coabitazione, anche in passato, con la vittima, il condannato assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica decade dalla relativa assegnazione; in tal caso, le altre persone conviventi non perdono il diritto di abitazione e subentrano nella titolarità del contratto.
Diritti del convivente nell’impresa familiare
Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.
Designazione del convivente quale rappresentante
Ciascun convivente di fatto può designare l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati:
– in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute;
– in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.
La designazione deve essere effettuata in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone.
Astensione dall’obbligo di testimoniare
Il convivente more uxorio dell’imputato rientra tra i soggetti che hanno la facoltà di astenersi dal testimoniare.
I prossimi congiunti dell’imputato possono astenersi dall’obbligo di testimoniare salvo quando hanno presentato denuncia, querela o istanza ovvero essi o un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato. Il giudice deve, a pena di nullità, avvisare tali persone della facoltà di astenersi chiedendo loro se intendono avvalersene.
Tali disposizioni si applicano anche a chi è legato all’imputato da vincolo di adozione e limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall’imputato durante la convivenza coniugale:
– a chi, pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso;
– al coniuge separato dell’imputato;
– alla persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con l’imputato.
Quali diritti non hanno i conviventi?
Tutti gli altri diritti che la legge riconosce alle coppie sposate non spettano invece alle coppie di fatto tra conviventi. In particolare, al convivente non spetta il diritto al mantenimento in caso di separazione, ma lo stesso può essere invece previsto nel contratto di convivenza stipulato tra i due.
Al convivente non spetta il diritto alla legittima, ossia a una quota del patrimonio del compagno o della compagna qualora questi dovesse decedere. L’unico modo per garantirgli la partecipazione all’eredità è fare testamento e citarlo espressamente, fermo restando che in presenza di legittimari (figli o, in mancanza, genitori) a questi sarà comunque dovuta una quota prefissata dalla legge. In assenza di testamento, invece, ai conviventi non spetta nulla.
Al convivente non si deve garantire la fedeltà né il rispetto dell’obbligo di convivenza come invece avviene per le coppie sposate. Sicché, non esiste neanche il cosiddetto addebito in caso di separazione. E del resto se la coppia di fatto si separa, non ha bisogno del giudice: la separazione viene attuata di fatto, così com’era iniziata, senza che si possa chiedere un provvedimento del giudice (al quale al massimo ci si può rivolgere per dividere i beni cointestati ossia sui quali si era formata la comunione, anche a seguito di patto di convivenza).
Sempre in tema di regime degli acquisti, ai conviventi non spetta di diritto la comproprietà sui beni acquistati dall’altro, come la comunione tra i coniugi, ma il contratto di convivenza può prevedere diversamente.
Il convivente – al pari del coniuge – non ha diritto a vedersi rimborsati i soldi spesi nell’interesse familiare se la coppia si separa.
Coppie di fatto e adozione
L’adozione nazionale ed internazionale di minori di età è preclusa alle famiglie di fatto.
La legge consente l’adozione solo ad una coppia di coniugi uniti in matrimonio benché consenta la possibilità di tener conto di una convivenza stabile e continuativa tra i coniugi antecedente al matrimonio.
È consentita, invece, ai coniugi, ai singoli nonché a chi non sia coniugato l’adozione in casi particolari nei seguenti casi:
– persone unite al minore da parentela fino al sesto grado, ovvero da rapporto stabile e duraturo quando il minore sia orfano di padre e di madre;
– i minori si trovino nelle condizioni indicate dall’art. 3 della legge n. 104/92 e siano orfani di entrambi i genitori;
– sia constatata l’impossibilità dell’affidamento preadottivo.
Convivenza e procreazione assistita
Possono ricorrere alle tecniche per superare problemi di sterilità le coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. Quindi, i conviventi ove siano afflitti da problemi di sterilità possono accedere alla procreazione medicalmente assistita.
Per l’accertamento della convivenza il medico si avvale di una dichiarazione sottoscritta dai soggetti richiedenti.
L’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è vietato ai minorenni, ai singoli ed alle coppie omosessuali, nonché è impedita la fecondazione post mortem ovvero utilizzando il seme del convivente o del coniuge nel frattempo morto e l’accesso alla genitorialità tardiva.
Contratto di convivenza
I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza. Il contratto, le sue modifiche e la sua risoluzione sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.
Il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.
Il contratto di convivenza reca l’indicazione dell’indirizzo indicato da ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo. Il contratto può contenere:
– l’indicazione della residenza;
– le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
– il regime patrimoniale della comunione dei beni.
Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti.
Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza. La modifica deve essere effettuata in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.