Non spetta l’assegno alla figlia maggiorenne senza progetti e volontà
La Cassazione rigetta il ricorso dei figli maggiorenni che si oppongono alla revoca dell’assegno di mantenimento del padre. La figlia femmina in particolare non ha dimostrato negli ultimi anni di avere una progettualità lavorativa o formativa. Sono quindi immotivati i rifiuti alle due offerte lavorative procuratele dal padre. Questi i concetti ribaditi nell’ordinanza n. 16771/2022 della Cassazione, che tira l’ennesima tirata di orecchie ai figli che non studiano e non lavorano.
La vicenda processuale
In un procedimento di divorzio i due figli della coppia chiedono che il giudice disponga l’aumento del contributo mensile dovuto dal padre per il loro mantenimento da 300 euro a 800 euro.
Il Tribunale però, accogliendo la domanda del padre, revoca completamente il suo obbligo di contribuzione. In sede di reclamo la misura in favore dei figli viene ripristinata nella misura stabilita in sede di divorzio. La Corte prende questa decisione perché rileva che la figlia di 22 anni ha abbandonato l’università dopo un anno senza dare un esame, ha rifiutato due offerte di lavoro procuratele dal padre e ha dimostrato, in diverse occasioni, di essere indecisa sul futuro e poco costante.
Per quanto riguarda il figlio invece, da poco maggiorenne, il quadro lascia aperta la strada a una progettualità.
Assegno più alto se le condizioni economiche del padre sono migliorate
I figli nel ricorrere in Cassazione sollevano le lamentele che si vanno a illustrare.
– La figlia rileva il travisamento dei fatti che emerge dal provvedimento impugnato, ribadendo prima di tutto la mala applicazione dei criteri che la Cassazione stessa detta in materia di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti. Nega la propria assenza di volontà nell’intraprendere un percorso formativo, per cui il giudice ha mal interpretato le ragioni del rifiuto delle offerte lavorative procuratele dal padre.
– Con il secondo i ricorrenti lamentano motivazione apparente del provvedimento.
– Con il terzo contestano il mancato accoglimento della domanda di aumento del contributo in loro favore, stante il venir meno di ogni rapporto con il padre e il miglioramento delle condizioni economiche di quest’ultimo per una sopravvenuta eredità.
Il mantenimento per i figli non è una misura assistenziale perpetua
La Cassazione rigetta il ricorso principale, così motivando la sua decisione.
Il primo motivo è inammissibile perché la critica sollevata è astratta e assai generica. Non si precisa nel motivo per quali ragioni la Corte avrebbe violato i principi giurisprudenziali in materia di mantenimento dei figli maggiorenni e non è neppure indicato il fatto che, se non omesso, avrebbe condotto all’accoglimento del reclamo.
Il secondo invece è manifestamente infondato perché la Corte ha spiegato nel dettaglio le ragioni per le quali non dovevano essere accolti i rilievi dei figli. E’ infatti emerso dalle prove raccolte che il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica delle figlia era imputabile direttamente alle scelte della stessa. La giovane ha rifiutato senza motivo diverse offerte lavorative. Non sono emerse inoltre neppure inclinazioni o aspirazioni lavorative tali da ritenere che la stessa stesse seguendo una strada formativa alternativa. Come precisato dalla Corte, il mantenimento per i figli non ha una funzione assistenziale illimitata nel tempo e nel contenuto nei riguardi dei figli maggiorenni e disoccupati. L’obbligo di corresponsione viene meno poi se il mancato raggiungimento dell’autonomia economica è frutto della mancanza di impegno verso un progetto formativo preciso.
Respinto infine anche il terzo motivo, anche perché, la difficoltà dei rapporti intercorrenti tra padre e figli non ha determinato una perdita di interesse dell’uomo. La Corte ha inoltre accertato la contrazione in realtà dei redditi del padre a causa di sopravvenute problematiche di salute.