Documento e prova documentale
In tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all’art. 2712 c.c., il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandole a presunzioni semplici, deve essere non solo tempestivo, soggiacendo a precise preclusioni processuali, ma anche chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta.
Cassazione civile sez. VI, 13/05/2021, n.12794
Sms, messaggi mail o WhatsApp
Per far perdere in un processo la qualità di prova alle riproduzioni informatiche di una chat occorre un disconoscimento «chiaro, circostanziato ed esplicito», che si deve concretizzare «nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta». Sono perciò inefficaci i semplici richiami, fatti dal ricorrente, ai propri scritti difensivi nei quali dichiarava che quanto rappresentato dalle riproduzioni informatiche non corrispondesse alla realtà dei fatti in essa descritta. A precisarlo è la Cassazione confermando in tal modo l’importanza delle riproduzioni informatiche di conversazioni via sms, messaggi mail o whatsapp. Nel caso di specie, si trattava di una relazione extraconiugale intrattenuta dal ricorrente a cui i giudici di merito avevano addebitato la separazione.
Cassazione civile sez. VI, 13/05/2021, n.12794
Messaggi WhatsApp: valore probatorio
Va riconosciuto valore probatorio ai messaggi inviati via WhatsApp.
Tribunale Gorizia, 12/08/2019, n.301
Acquisizione dei messaggi di posta elettronica
I messaggi di posta elettronica allocati nella memoria di un dispositivo dell’utente o nel server del gestore del servizio hanno natura di prova documentale sicché la loro acquisizione processuale non costituisce attività di intercettazione disciplinata dall’art. 266-bis c.p.p. – atteso che quest’ultima esige la captazione di un flusso comunicativo in atto – ma presuppone l’adozione di un provvedimento di sequestro.
(In motivazione, la Corte ha precisato che non è comunque applicabile la disciplina del sequestro di corrispondenza di cui all’art. 254 c.p.p., la cui nozione implica un’attività di spedizione in corso o almeno avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito).
Cassazione penale sez. III, 16/04/2019, n.29426
Sequestro cellulare
I dati informatici scambiati attraverso la comunicazione (quali e-mail, sms e messaggi WhatsApp), contenuti in uno strumento elettronico (computer o telefono cellulare) e archiviati su apposita memoria, hanno natura documentale ai sensi dell’art. 234 c.p.p., sicché la loro acquisizione non costituisce attività di intercettazione disciplinata dagli art. 266 e ss. c.p.p., e, in particolare, dall’articolo 266-bis del Cpp, atteso che quest’ultima esige la captazione di un flusso di comunicazioni in atto ed è, pertanto, attività diversa dall’acquisizione ex post del dato conservato in memoria che documenta flussi già avvenuti.
Tali dati, pertanto, possono essere acquisiti attraverso lo strumento del sequestro, senza peraltro dovere adottare la disciplina stabilita per la “corrispondenza” (art. 254 c.p.p.) perché detti messaggi non rientrano nel concetto di “corrispondenza”, la cui nozione implica un’attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito.
Diverso ragionamento deve farsi, invece, per l’intercettazione di email o altri messaggi similari (che di solito si attua attraverso la clonazione dell’account di posta elettronica dell’indagato e immediata trasmissione dei dati presso una postazione di decodifica), la quale si caratterizza, invece, per la contestualità tra la captazione dei messaggi e la loro trasmissione e, quindi, ha a oggetto un flusso comunicativo in atto e in ragione di ciò l’art. 266-bis c.p.p. predispone, proprio perché trattasi di un’attività di intercettazione telematica, una tutela rafforzata e l’adozione delle garanzie relative ai presupposti di applicabilità e alla necessità della autorizzazione giurisdizionale.
Cassazione penale sez. III, 16/04/2019, n.29426
E-mail con contenuto offensivo inviata a più persone
Nell’ipotesi dell’invio di messaggi di posta elettronica, il requisito della comunicazione con più persone non può presumersi sulla base dell’inserimento del contenuto offensivo nella rete (e cioè, nel caso di specie, della loro spedizione), ma è necessaria quantomeno la prova dell’effettivo recapito degli stessi, sia esso la conseguenza di un’operazione automatica impostata dal destinatario ovvero di un accesso dedicato al server.
Cassazione penale sez. V, 22/10/2018, n.55386
Minacce sui social network
La trasgressione al divieto di comunicazione con le persone offese, inglobato nel provvedimento di divieto di dimora, che concreta la fattispecie addebitata, in una delle sue modalità attuative, autorizza la configurazione di una delle manifestazioni dei maltrattamenti aggravati, potendo la prova di esse desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell’agente, che ha rivolto alle vittime messaggi vocali minacciosi, e messaggi dai contenuti infamanti pubblicati su Facebook.
Questi ultimi costituiscono documenti e mezzo invasivo di comunicazione, che oltrepassa la vicinanza fisica con la vittima e permane come atteggiamento inquietante ancor più presente nella sfera di libertà ed autonomia del destinatario. Si caratterizza sul piano della interazione tra il mittente e il destinatario – in relazione al profilo saliente dell’oggetto giuridico della norma incriminatrice – per la incontrollata possibilità di intrusione, immediata e diretta, del primo nella sfera delle attività del secondo.
Cassazione penale sez. VI, 22/05/2018, n.57870
Messaggi WhatsApp ed sms: l’acquisizione non costituisce intercettazione
I messaggi “WhatsApp” e gli “SMS” conservati nella memoria di un telefono cellulare sottoposto a sequestro hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., sicchè la loro acquisizione non costituisce attività di intercettazione disciplinata dagli artt. 266 e ss. cod. proc. pen., atteso che quest’ultima esige la captazione di un flusso di comunicazioni in atto ed è, pertanto, attività diversa dall’acquisizione “ex post” del dato conservato nella memoria dell’apparecchio telefonico che documenta flussi già avvenuti.
Cassazione penale sez. V, 21/11/2017, n.1822
Conversazioni via WhatsApp: sono prove documentali
È legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito rigetta l’istanza di acquisizione della trascrizione di conversazioni, effettuate via WhatsApp e registrate da uno degli interlocutori, in quanto, pur concretandosi essa nella memorizzazione di un fatto storico, costituente prova documentale, ex art. 234 c.p.p., la sua utilizzabilità è, tuttavia, condizionata all’acquisizione del supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione, al fine di verificare l’affidabilità, la provenienza e l’attendibilità del contenuto di dette conversazioni.
Cassazione penale sez. V, 19/06/2017, n.49016
Messaggi sul cellulare: prova dell’adulterio
In tema di separazione giudiziale dei coniugi, la prova dell’adulterio (nella specie, del marito) ben può fondarsi su messaggi (sms) estratti dal telefono cellulare dell’uomo, di cui la moglie è entrata in possesso, essendo recessivo, rispetto al diritto di difesa in giudizio, quello alla inviolabilità della corrispondenza.
Tribunale Roma, 17/05/2017
Messaggi sui social ad una minore
Per documento proveniente dall’imputato si intende, ai sensi dell’art. 237 c.p.p., il documento del quale è autore l’imputato ovvero quello che riguarda specificamente la sua persona, ancorché da lui non sottoscritto, anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto.
(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l’acquisizione da parte del giudice di merito di messaggi inviati attraverso i social network Whatsapp e Facebook dall’imputato ad una minore, e da questa messi a disposizione della polizia giudiziaria al momento di presentazione della querela) .
Cassazione penale sez. III, 26/04/2017, n.38681
Posta elettronica ordinaria: valore probatorio
Ai messaggi spediti e ricevuti mediante posta elettronica ordinaria (non certificata) va applicato il principio espresso in relazione alle comunicazioni via fax, incluse tra le riproduzioni meccaniche indicate (con elencazione non tassativa) dall’art. 2712 c.c. e formano piena prova dei fatti o delle cose rappresentate se colui contro il quale sono prodotti non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.
Tribunale Roma sez. XI, 03/06/2016, n.11254
Messaggio di posta elettronica: idoneo a provare il credito
Lo scambio di messaggi di posta elettronica tra due soggetti si traduce nell’invio di documenti informatici, da ritenersi sottoscritti con firma elettronica cd. semplice, in ragione dell’inserimento di username e password, la cui combinazione integra gli estremi di una sottoscrizione. Pertanto, il messaggio di posta elettronica inviato da una parte al proprio avvocato, in cui essa riconosce l’obbligo di corrispondere il compenso professionale, è idoneo a provare la sussistenza del credito.
Tribunale Termini Imerese, 22/02/2015
Sequestri di messaggi di posta elettronica
Il diritto dell’Ue deve essere interpretato nel senso che non osta a che, ai fini dell’applicazione degli artt. 4 §.3 tUe, 325 tFUe, 2, 250 §. 1 e 273 direttiva 2006/112/Ce (cd. Direttiva i.v.a.) l’amministrazione tributaria possa, allo scopo di accertare la sussistenza di una pratica abusiva in materia d’i.v.a., utilizzare prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo non ancora concluso, all’insaputa del soggetto passivo, mediante, ad esempio, intercettazioni di telecomunicazioni e sequestri di messaggi di posta elettronica, a condizione che l’ottenimento di tali prove nell’ambito di detto procedimento penale e il loro utilizzo nell’ambito del procedimento amministrativo non violino i diritti garantiti dal diritto dell’Ue: spetterà al giudice di rinvio verificare se tali mezzi di prova sono utilizzabili e necessarie nel processo penale ed utilizzabili anche nel giudizio amministrativo, consentendo al soggetto passivo di avere accesso alle stesse e di esser sentito sul punto in ossequi agli artt. 7, 47 e 52 della Carta di Nizza.
Se esso constata che una violazione di tali diritti e/o l’impossibilità dell’interessato di visionare tali prove non deve ammetterle e deve annullare tale decisione se essa risulta, per tale ragione, priva di fondamento ed in deroga all’art. 7 della Carta di Nizza. Parimenti, non devono essere ammesse tali prove se detto giudice non è abilitato a controllare che esse siano state ottenute nell’ambito del procedimento penale conformemente al diritto dell’Ue o non può quantomeno sincerarsi, sulla base di un controllo già effettuato da un giudice penale nell’ambito di un procedimento in contraddittorio, che esse siano state ottenute conformemente a tale diritto.
Corte giustizia UE sez. III, 17/12/2015, n.419
Messaggi: sono documenti ai fini della prova?
In materia di utilizzazione di messaggistica con il sistema blackberry è corretto (e doveroso) acquisirne i contenuti mediante intercettazione ex art. 266 bis c.p.p, atteso che le chat, anche se non contestuali, costituiscono un flusso di comunicazioni: l’intercettazione, del resto, avviene con il tradizionale sistema, ossia monitorando il codice pin del telefono (ovvero il codice Imei), che risulta associato in maniera univoca a un nickname. Pertanto, deve escludersi che, per acquisire tale messaggistica, debba procedersi mediante lo strumento del sequestro probatorio ex art. 254 bis c.p.p, ove si consideri che il sequestro probatorio di supporti informatici o di documenti informatici, anche detenuti da fornitori di servizi telematici, esclude, di per sé, il concetto di comunicazione e va disposto solo quando è necessario acquisire al processo documenti a fini di prova, mediante accertamenti che devono essere svolti sui dati in essi contenuti (la Corte nel ribadire, quindi, l’utilizzo dello strumento delle intercettazioni ha anche escluso fosse necessario il ricorso a una rogatoria internazionale in quanto, benché la società fosse canadese, le comunicazioni tramite messaggi erano avvenute in Italia, per effetto del convogliamento delle chiamate in un nodo situato in Italia, ove era stata svolta l’attività di captazione, tanto che l’intercettazione, a livello tecnico, era stata gestita dalla sede italiana della società).
Cassazione penale sez. III, 10/11/2015, n.50452
Posta elettronica certificata e produzione della prova
La posta elettronica certificata, consentendo l’invio di messaggi validi agli effetti di legge, permette al mittente la produzione della prova circa l’avvenuta consegna del messaggio e la certificazione del momento in cui è stato consegnato al destinatario. Tale forma di comunicazione degli atti deve ritenersi pienamente equiparata alla missiva raccomandata con ricevuta di ritorno ed è dunque in grado di soddisfare i requisiti richiesti dall’art. 2479 bis c.c. per la convocazione dell’assemblea di società di capitali.
Tribunale Roma Sez. spec. Impresa, 31/07/2015, n.16929