Investigatore Privato_Quando la vendetta è illegale

Quando reagire a un torto, una violenza o un’offesa è vietato dalla legge.

Spesso, dinanzi a un torto subìto, si assumono determinati comportamenti in difesa di sé stessi, a volte connotati più da uno scopo vendicativo che riparatorio. Ma la legge non sempre lo consente. Non è ammesso, ad esempio, danneggiare o trattenere ciò che si è già venduto solo perché il cliente non ha pagato. Allo stesso modo, non si può stalkerizzare un debitore, minacciare con la violenza una persona violenta e così via. Il rischio è di passare dalla ragione al torto, subendo peraltro una denuncia per «esercizio arbitrario delle proprie ragioni».

Individuando i comportamenti più diffusi che, a volte inconsciamente, vengono commessi nella vita di tutti i giorni, ecco quando la vendetta è illegale e non è tollerata dal nostro ordinamento.

La vendita di oggetti e il diritto di ritenzione

Chi vende un oggetto e non viene pagato non può riprendersi ciò che prima era suo. Questo perché la vendita, una volta formalizzata, trasferisce definitivamente la proprietà del bene. Tale effetto scaturisce dal semplice scambio dei consensi delle parti, scambio che può avvenire anche verbalmente, non necessariamente con la firma di un contratto.

Diverso è il discorso se il bene è ancora nelle mani del venditore. Questi, in tal caso, ha il cosiddetto diritto di ritenzione: può cioè trattenere ciò che non è più suo finché non viene pagato. Ma per farlo deve prima diffidare il cliente con una raccomandata a.r. o una pec, rinnovandogli l’invito ad adempiere al contratto e anticipandogli che, in caso contrario, continuerà a tenere per sé l’oggetto.

Il creditore può tutelarsi anche vendendo i beni del debitore sui quali esercita il diritto di ritenzione: si tratta però di una procedura complessa che deve essere diretta dall’ufficiale giudiziario.

Usare il materiale protetto dal diritto d’autore

Una volta che un professionista ha ricevuto l’incarico di svolgere una determinata attività creativa (ad esempio, un logo, un sito Internet, un book fotografico) non può poi appropriarsi delle sue stesse opere (magari sfruttandole per altre commissioni) se non riceve il pagamento. Anche in questo caso, infatti, la proprietà si è trasferita con la consegna delle opere al cliente e, quindi, con la vendita stessa.

Non poche volte si registra la tendenza di alcuni programmatori, ancora in possesso delle chiavi d’accesso del sito loro commissionato, di danneggiare la propria creazione in modo che il cliente moroso non se ne avvantaggi. Questo comportamento configura reato.

Minacce

È lecito minacciare una persona di trascinarla in tribunale, ma non anche di farle del male. La minaccia costituisce reato quando la conseguenza paventata alla vittima sia realizzabile e dipenda dal reo. Dire «Ti ammazzo» oppure «Aspetta e vedrai che ti faccio» integra una minaccia. Dire «Con un calcio ti spedisco sulla luna» non è reato perché non è un evento possibile.

Dire «Ti faccio fallire» non è reato perché la sentenza dipende dalla decisione del giudice. Allo stesso modo, affermare «Ti denuncio» non è vietato perché costituisce esplicazione di un diritto – quello alla tutela giudiziaria – riconosciuto a tutti i cittadini dalla Costituzione. Se poi non dovessero sussistere i presupposti per l’azione civile o penale l’ordinamento prevede una forma di ristoro con la condanna alle spese legali.

La reazione fisica

Non è possibile reagire fisicamente a un torto subito. Non si può ad esempio essere giustificati per una spinta, un pugno o uno schiaffo solo perché si è stati offesi o provocati. Lo stato d’ira potrebbe costituire tutt’al più un’attenuante ma mai una causa di giustificazione.

Fa chiaramente eccezione solo la legittima difesa che ricorre non appena c’è un imminente pericolo di un grave pregiudizio alla propria o all’altrui incolumità fisica, pericolo che non è altrimenti evitabile se non innescando appunto l’atto violento di difesa. Il caso tipico è quello del ladro che, avendo già estratto l’arma dalla tasca, minacci la vittima di consegnarle tutto.

Non si può invocare la legittima difesa quando l’aggressore si è già allontanato e il pericolo è cessato, a prescindere dalle lesioni subite per via del suo attacco.

Le offese

Alle offese si può rispondere con altre offese senza commettere alcun illecito. Ad esempio, chi viene diffamato o ingiuriato può, a sua volta, replicare con una diffamazione o un’ingiuria. Ma non deve lasciare troppo tempo tra l’offesa e la replica. Diversamente, il suo comportamento non verrebbe visto come l’insopprimibile impulso di reagire a un torto ma come una vendetta. E l’ordinamento non tollera vendette.

I tradimenti

Chi, in un giudizio di separazione o divorzio, vuol addebitare al coniuge la crisi della coppia per via del tradimento deve fornire le prove dell’infedeltà. Ma nel farlo ha le mani legate: non può, ad esempio, rovistare nell’altrui cellulare o nell’e-mail. Commetterebbe reato e le prove non potrebbero essere più utilizzate.

Lo stalking e la diffamazione del debitore

Solo perché una persona non paga i propri debiti non è possibile assillarla tante volte al giorno con telefonate e messaggi. Né è possibile informare della situazione altre persone. Nel primo caso, si potrebbe sconfinare nel reato di molestie o, nei casi più gravi, di stalking. Nel secondo caso, si avrebbe diffamazione: secondo la Cassazione, non è lecito riferire dei debiti altrui su un social o su altre “piazze”. È consentito solo in condominio quando il moroso è uno dei condòmini: e ciò perché la gestione delle casse condominiali è affare di tutti i proprietari di appartamenti.

 

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