Per la Cassazione è corretta la decisione di revocare il mantenimento alla figlia che, anche se con contratti a tempo, guadagna 900 euro al mese
Confermata la sentenza della Corte d’Appello che ha revocato il mantenimento alla figlia maggiorenne che lavora e che, anche con contratti a tempo, riesce a guadagnare il media 900 euro mensili. Questa la decisione contenuta nell’ordinanza n. 11746/2021 della Cassazione, al termine di un procedimento di separazione difficile, in cui si è dovuta esprimere anche su questioni personali ed economiche relative al rapporto tra marito e moglie.
La vicenda processuale
La Corte d’Appello riforma in parte la sentenza di primo grado, rigetta la richiesta di addebito di separazione al marito, conferma i provvedimenti provvisori, rigetta la richiesta di mantenimento della figlia, revoca l’assegno diretto alla stessa a far data dalla pubblicazione della sentenza di primo grado, così come l’assegnazione della casa coniugale in favore della moglie.
Figlia non ancora autosufficiente
Avverso la sentenza d’appello la moglie ricorre in Cassazione sollevando tre motivi di ricorso.
- Con il primo, che riguarda la questione dell’addebito della separazione, evidenzia come sarebbe spettato al marito dimostrare l’anteriorità della crisi matrimoniale rispetto alla violazione degli obblighi matrimoniali commessi.
- Con il secondo contesta il mancato riconoscimento alla figlia del diritto al mantenimento, visto che la stessa non è ancora economicamente autosufficiente.
- Con il terzo infine lamenta la mancata e corretta valutazione della documentazione presentata in giudizio, da cui emerge un reddito da lavoro mensile pari a 180 euro e un reddito da affitto di 120 euro e non di 800 euro come invece ritenuto dalla Corte in sentenza.
Revocato il mantenimento alla figlia che guadagna 900 euro mensili
La Corte di Cassazione però rigetta il ricorso della ricorrente per le seguenti ragioni.
Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato perché, per quanto riguarda la contestazione sull’onere probatorio, per costante giurisprudenza della Corte di Cassazione “in tema di separazione, grava sulla parte che richiede l’addebito l’onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.”
Principio che è stato rispettato dalla Corte d’Appello, la quale ha ritenuto insussistente il nesso di causa tra l’allontanamento del marito e la crisi del matrimonio, valorizzando il disinteresse della donna a ripristinare l’unità familiare. In dodici anni infatti, da quando il marito ha dato via alla separazione, la donna non ha assunto nessuna iniziativa per contrastare la situazione. Da tale inerzia la Corte ha quindi desunto la medesima volontà di porre fine al matrimonio.
Il secondo e terzo motivo, valutati congiuntamente, sono inammissibili perché si sostanziano in una richiesta di valutazione di merito, non consentita in questa sede. La Corte di merito in ogni caso ha ritenuto correttamente la figlia economicamente sufficiente in quanto la stessa, seppur con contratti a tempo, consegue un reddito medio mensile di 900 euro. Da qui la revoca dell’assegnazione della casa coniugale alla moglie, che la Corte ha ritenuto in grado di mantenersi da sola visto che la stessa è titolare di un immobile donatole dal marito da cui ricava redditi mensili fino a 800 euro mensili e lavora come addetta alle pulizie.