Investigatore privato_Maltrattamenti in famiglia: possibile estendere il reato all’amante?

Per la giurisprudenza il reato può configurarsi anche in presenza di rapporti familiari di mero fatto, ma solo se emerge un progetto di vita basato su reciproca solidarietà e assistenza

Il legislatore italiano, all’art. 572 c.p., ha recato una norma specifica per tutelare l’integrità psico-fisica dei soggetti che appartengono alla medesima famiglia o che fanno parte di contesti contraddistinti da un vincolo assimilabile. Si tratta del reato di “Maltrattamenti in famiglia”.

Nel dettaglio, la norma sanziona chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte. Fattispecie aggravate si registrano qualora il fatto sia commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità oppure se dallo stesso deriva una lesione personale grave.

Si tratta di un reato proprio, stante il vincolo che deve intercorrere tra l’autore e la vittima affinché sia integrata tale fattispecie delittuosa, e che si perfeziona (come conferma la giurisprudenza) in presenza di
un minimo di condotte (delittuose o meno) collegate da un nesso di abitualità, che dunque non siano atti sporadici, bensì caratterizzati da un nesso di abitualità, dunque persistenti e tali da acquistare rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo.

È dunque indispensabile che tra le singole condotte vi sia un raccordo che dimostri il consapevole perseverare in condotte lesive della dignità della persona offesa. Dalla fattispecie descritta dall’art. 572 c.p. resterebbero fuori, dunque, quelle condotte sporadiche e non abituali, che originano da situazioni contingenti e particolari, le quali, , ove ne ricorrano i presupposti, possono al più assumere singolarmente l’autonomo rilievo di delitti contro la persona (ingiurie, percosse, lesioni, ecc.).

 

Maltrattamenti e famiglia di fatto

L’interesse giuridico tutelato dalla norma, che si colloca tra “i delitti contro l’assistenza familiare”, coinvolge un’ampia gamma di persone legate tra loro particolari legami, non si limita alla sola famiglia “tradizionale”, fondata sul matrimonio, estendendosi anche alle convivenze more uxorio e alle famiglie di fatto, formazioni sociali di rilievo costituzionale in cui si svolge la personalità dell’individuo.

Una conclusione, questa, ormai pacifica e confermata in più occasioni dalla Corte di Cassazione, che non sorprende anche alla luce dell’evoluzione della concezione di famiglia legata ai cambiamenti nelle relazioni sociali.

Per gli Ermellini è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona convivente “more uxorio”, quando le condotte illecite avvengano all’interno di una coppia “di fatto”, purché il rapporto tra le parti sia connotato da stabilità, reciproca assistenza e protezione. Addirittura, in presenza di figli, la Suprema Corte ha ritenuto configurabile il reato anche nella famiglia di fatto, nonostante la cessazione della convivenza, stante il permanere del diritto-dovere all’adempimento dei doveri di assistenza protezione e solidarietà.

Il delitto di maltrattamenti si ritiene configurabile anche qualora con la vittima degli abusi vi sia un rapporto familiare di mero fatto, desumibile (in assenza di una stabile convivenza) dall’avvio di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà e assistenza, come nel caso di una situazione di condivisa genitorialità derivante dalla filiazione (che non sia stata esito occasionale di rapporti sessuali, avendo, almeno nella fase iniziale del rapporto, prodotto una significativa relazione di carattere affettivo) che, pur in assenza di una anche solo iniziale materiale convivenza, abbia ingenerato l’aspettativa di un rapporto di solidarietà personale autonomo rispetto ai vincoli giuridici derivanti dalla filiazione (cfr. Cass. n. 37628/2019).

 

Maltrattamenti in famiglia anche contro l’amante?

Il rilievo dato alla stabilità delle relazioni affettive ha condotto a confrontarsi con un tema particolare, ovvero se si possa estendere il reato di maltrattamenti in famiglia anche a quelle condotte che si verificano in relazione adulterine, ovvero qualora la vittima sia l’amante. Dalla lettura dei provvedimenti con cui la giurisprudenza si è espressa in situazioni simili, ciò sembrerebbe possibile, ma non in via generale, dunque soltanto in quei casi in cui il rapporto assuma una particolare connotazione.

In occasione della sentenza n. 7929/2011, gli Ermellini hanno rigettato la richiesta di riesame proposta da un uomo contro la misura cautelare della custodia in carcere, applicata dal GIP tra l’altro per il delitto di maltrattamenti ex art. 572 del codice penale, commesso nei confronti della donna con cui intratteneva una relazione adulterina.

Nonostante l’uomo lamentasse la mancanza degli elementi costitutivi del delitto di maltrattamenti, i giudici hanno condiviso le argomentazioni del giudice a quo e, nonostante all’epoca l’imputato convivesse con moglie e figli, il rapporto tra i due è stato ricostruito in termini di “relazione stabile”. Un’apertura che ha fatto supporre l’estensione del reato di maltrattamenti anche a quei rapporti affettivi di stabile frequentazione non accompagnati da convivenza, come potrebbe essere quello con l’amante.

In realtà, la stessa Cassazione, con la recente sentenza n. 34086/2020 ha fornito precisazioni più significative in una vicenda analoga, affermando che, pur potendo il delitto di maltrattamenti in famiglia configurarsi anche in presenza di un rapporto familiare di mero fatto, questo presuppone una relazione (tra agente e vittima) che comporti un “rapporto stabile di affidamento e solidarietà, per cui le aggressioni che il soggetto attivo compie – sul fisico e sulla psiche del soggetto passivo – ledono la dignità della persona infrangendo un rapporto che dovrebbe essere ispirato a fiducia e condivisione”.

 

Progetto di vita basato su reciproca solidarietà e assistenza

In altri termini, la Corte ha precisato che l’art. 572 c.p. si applica non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, bensì a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale, come avviene tra persone legate solo da un mero rapporto di fatto, che, per le intime relazioni e consuetudini di vita correnti tra le stesse, presenti somiglianza e analogia con quello proprio delle relazioni coniugali, o anche nel caso di persone legate da una relazione sentimentale, che abbia comportato un’assidua frequentazione dell’abitazione, se si tratta di un rapporto abituale tale da far sorgere sentimenti di solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale.

Nel caso in esame, si ritiene che il giudice a quo abbia sbagliato ad attribuire rilevanza alla stabilità della relazione fra l’indagato e l’amante, desumibile dal fatto l’uomo prese in locazione un appartamento per gli incontri con la donna, poiché questi aveva infatti continuato a vivere con moglie e prole e non aveva mai coabitato né convissuto con la persona offesa. L’appartamento aveva rappresentato unicamente la base per gli incontri, senza che fosse emerso un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà e assistenza o anche soltanto l’aspettativa dell’evolversi in questa direzione del rapporto instauratosi.

 

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