Divieto di avvicinamento e di dimora: non importa se i luoghi preclusi coincidono con il luogo di lavoro e di abitazione dello stalker. La posizione della Cassazione
Se lo stalker si rivela particolarmente insistente nei confronti della sua vittima, è più che legittimo che gli venga imposto il divieto di avvicinamento o di dimora anche se questi luoghi coincidono con il luogo in cui lavora o abita. Occorre infatti e prima di tutto tutelare la persona offesa. Questo quanto emerge da due recenti sentenze della Cassazione che optano per la “linea dura” nei confronti dei responsabili del reato di stalking.
Ricordiamo che le norme procedurali che contemplano le suddette misure coercitive sono l’art. 282 bis c.p.c, che disciplina il “Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e l’art. 283 c.p.p che regolamenta il “Divieto e l’obbligo di dimora.”
Divieto di avvicinamento dello stalker
La prima sentenza è la n. 27271/2020 della Cassazione, la quale si esprime sul provvedimento previsto dall’art. 282 ter c.p.p. con cui il giudice può disporre il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, che nel caso di specie è stata vittima del reato di stalking ai sensi dell’art 612 bis c.p.
Nel ricorso in Cassazione il difensore dell’indagato fa presente che nel disporre tale misura il Tribunale ha violato la suddetta norma “trattandosi quanto al luogo per il quale è stato disposto il divieto, del luogo dell’indagato, per il quale la frequentazione è necessaria, in assenza della previsione, nel provvedimento, di modalità che consentano l’espletamento dell’esercizio del lavoro costituzionalmente tutelato.
La Cassazione però ritiene infondato detto motivo di ricorso precisando che: “Sussiste, invero, nella misura del divieto di avvicinamento, la piena legittimità del provvedimento che obblighi il destinatario a mantenere una certa distanza dalla vittima, ovunque questa si trovi. Ciò nel caso, come quello al vaglio, in cui la condotta si connoti per una persistente ricerca di avvicinamento alla vittima.
Tanto in ossequio all’indirizzo di questa Corte che va senz’altro condiviso, secondo cui è legittimo il provvedimento che, ex art. 282 – ter cod. proc. pen., obblighi il destinatario a mantenere una certa distanza dalla persona offesa, ovunque questa si trovi, senza specificare i luoghi oggetto del divieto, essendo tale provvedimento cautelare rivolto a tutelare il diritto della persona offesa ad esplicare la propria personalità e la propria vita di relazione in condizioni di assoluta sicurezza, a prescindere dal luogo in questa venga a trovarsi.”
Divieto di dimora per lo stalker anche se non può entrare in casa propria
Decisione similare è stata assunta con la sentenza n. 26222/2020. In questo caso tutto ha inizio quanto il Tribunale respinge l’appello cautelare verso l’ordinanza con cui il G.u.p si è rifiutato di sostituire la misura del divieto di dimora nei confronti del soggetto accusato di stalking. Il difensore nel ricorrere in Cassazione ritiene che il Tribunale sia andato incontro a un’errore di ultrapetizione perché nel disporre la misura del divieto di dimora, non ha tenuto conto del fatto che il suo assistito non avrebbe potuto avere accesso alla propria abitazione.
La Cassazione però ritiene manifestamente infondato tale motivo di ricorso. Per gli Ermellini “Il Tribunale, infatti, non è incorso in alcuna ultrapetizione e violazione dell’art. 291 cod. proc. pen. nell’applicazione della misura cautelare del divieto di dimora (…) sol perché tale inibizione impedisce al (…) di accedere alla propria abitazione (…).”