Per la Cassazione l’esame obiettivo va affiancato a quello clinico e ai dati strumentali.
L’accertamento del danno alla persona va condotto secondo una rigorosa criteriologia medico-legale, ma i referti degli esami strumentali non sono l’unico mezzo utilizzabile, ponendosi in una posizione di fungibilità ed alternatività rispetto all’esame obiettivo (criterio visivo) e all’esame clinico.
Pertanto, in tema di risarcimento del danno da “micropermanente”, il solo esame obiettivo del CTU non può ritenersi sufficiente a determinare l’insussistenza di postumi invalidanti permanenti, soprattutto se appare documentata una frattura per cui sono le stesse tabelle del D.M. 3 luglio 2003 a prevedere un danno biologico.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell’ordinanza n. 13292/2020 accogliendo il ricorso promosso da una signora che avevano riportato lesioni personali dopo essere stata investita da un’autovettura che si muoveva in retromarcia.
Insufficiente il solo criterio visivo in presenza di una frattura documentata
In primo grado, la responsabile civile e l’assicurazione venivano condannate a risarcire quasi 7.600 euro, importo che, in appello, il Tribunale riduceva a poco più di 2.300 euro. Il risarcimento veniva limitato ai postumi di natura temporanea, mentre veniva escluso il risarcimento per i postumi permanenti, per come richiesti dalle tabelle delle micropermanenti di cui D.M. 3/7/03.
Nello specifico, il Tribunale evidenziava come la CTU non avesse rilevato nulla in ordine ad esiti permanenti in quanto dall’esame obiettivo risultava “non dolente la palpopressione del bacino, completo l’accosciamento, nella norma dell’età i movimenti”. In base alle risultanze dell’esame, inoltre, residuavano postumi permanenti, rappresentati da “esiti di frattura branca ischio pubica di destra che configuravano una percentuale di danno biologico pari al 3,5%.
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